Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 novembre 2017, n. 26139

Tributi - Accertamento - Compensi erogati in "nero" per lavoro autonomo - Deducibilità

Fatti di causa

 

A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l'Ufficio Imposte Dirette di Roma notificava alla s.r.l. Istituto di Istruzione A. due avvisi di accertamento, relativi all'anno di imposta 1993, con i quali: a) accertava il maggior reddito di impresa della società con determinazione delle corrispondenti maggiori imposte Irpeg ed Ilor; b)contestava l'omessa effettuazione delle ritenute sui compensi per lavoro autonomo corrisposti dalla società.

Contro gli avvisi di accertamento la società proponeva distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che, previa riunione, li rigettava con sentenza n. 325 del 2009.

La società proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo rigettava con sentenza del 27.9.2010. In particolare il giudice di appello riteneva che C.L., oltre a rivestire la qualità di socia dell'Istituto, ne era anche l'amministratrice di fatto, "risultando per tabulas delegata e garante di tutti i conti correnti dell'Istituto"; reputava irrilevante che C.L., relativamente ai redditi propri di lavoro autonomo, avesse aderito alla proposta di accertamento con adesione di cui all'art. 3 della legge 656 del 1994.

Contro la sentenza di appello l'Istituto di Istruzione A. s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

L'Agenzia resiste con controricorso

 

Ragioni della decisione

 

1. Primo motivo: "violazione dell'art. 2697 cod. civ. ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente interpretato l'art. 2697 cod.civ. ed avere pertanto erroneamente ritenuto che l'Istituto A. avesse un amministratore di fatto nella persona di L.C.".

Il motivo è inammissibile perché la ricorrente, dopo avere denunciato una violazione di legge con riguardo alla norma del codice che disciplina la ripartizione dell'onere della prova, articola in concreto tutt'altra censura contestando le valutazioni di merito (insindacabili in questa sede se congruamente motivate) con le quali la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che la socia C.L. avesse svolto il ruolo di amministratore di fatto della società, delegata in particolare alla gestione dei conti correnti bancari.

2. Secondo motivo di ricorso: "violazione dell'art. 3 legge n. 656 del 1994 ex art. 360 n.3 cod.proc.civ. per avere la Commissione tributaria regionale escluso l'accesso al concordato di massa per l'Istituto d'Istruzione A., avendo erroneamente interpretato il suddetto articolo ed escluso l'accesso per la società ricorrente al concordato di massa.(Per non avere annotato nell'apposito libro alcuni blocchetti di ricevute fiscali che non dovevano neanche essere emesse essendo un locale aperto al pubblico)".

Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata non si è pronunciata sul provvedimento di rigetto della richiesta della società di adesione al cosiddetto concordato di massa, (oggetto di autonomo procedimento sul quale è intervenuta la sentenza di questa Corte n. 10091 del 2003, segnalata nel controricorso), ma ha statuito sul motivo di appello relativo alla dedotta nullità degli avvisi per avvenuta presentazione del condono per irregolarità formali, rigettandola sull'assunto che l'art.19 bis del d.I.23.2.1995 n.41, convertito nella legge, 23.3.1995 n. 85 e relativo alla sanatoria delle irregolarità formali, e pertanto non può trovare applicazione alla fattispecie in esame attinente all'omesso versamento delle ritenute di acconto, costituente violazione di carattere sostanziale.

3. Terzo motivo: "violazione degli artt. 32, 33 e 38 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, ex art.. 360 n.3 cod.proc.civ., per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente interpretato i suddetti articoli e per avere quindi ritenuto legittimo l'operato dell'Ufficio e della Guardia di Finanza nella utilizzazione dei movimenti bancari rilevati dai conti correnti di C.L.", in quanto il concordato di massa richiesto dalla predetta C.L. avrebbe dovuto impedire l'accesso e l'utilizzazione dei conti correnti bancari a norma dell'art. 8 del d.P.R. 177 del 1995.

Il motivo è infondato. L'art. 8 del d.P.R. n. 177 del 1995 inibisce lo svolgimento dei poteri istruttori di accertamento in rapporto ai redditi da lavoro autonomo o di impresa per i quali il contribuente si è avvalso della definizione agevolata prevista dall'art. 3 legge 656 del 1994, identificabile nel caso in esame nella contribuente C.L. e non nella società ricorrente.

4. Quarto motivo: "violazione dell'art. 19 bis del d.I. 23.2.95 ex art. 360 n.3 cod.proc.civ. per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto inapplicabile la richiesta di definizione sulla base della motivazione secondo cui l'omesso versamento delle ritenute d'acconto debba essere ritenuta irregolarità sostanziale e non formale".

Il motivo è infondato. La sanatoria per irregolarità nelle dichiarazioni dei redditi e nella dichiarazione Iva prevista dall'art. 19 bis del d.l. 23.2.1995 n. 41, convertito nella legge n. 85 del 1995, ha per oggetto" le irregolarità, le infrazioni e le inosservanze di obblighi o adempimenti che non rilevano ai fini della determinazione del reddito e della imposta sul valore aggiunto", e quindi non riguarda una violazione sostanziale quale l'omesso versamento delle ritenute d'acconto.

5. Quinto motivo: "violazione dell'art. 360 n.5 cod. proc. civ. in quanto la Commissione tributaria regionale ha insufficientemente e genericamente motivato la deducibilità dei ricavi occulti o in nero", nella parte in cui non ha riconosciuto i costi in nero, con particolare riguardo alla corresponsione, non contabilizzata, di compensi a terzi per prestazioni di lavoro autonomo.

Il motivo è fondato. Nella sentenza impugnata si afferma che "per quel che concerne la censura relativa alla mancata detrazione dai ricavi occulti, o in nero, dei costi riguardanti i compenso di lavoro autonomo accertati in più, dalla lettura degli atti risulta di tutta evidenza che l'Ufficio, già nel corso del giudizio di primo grado, ne aveva riconosciuto la deducibilità". Atteso che la sentenza della Commissione tributaria provinciale ha rigettato integralmente i ricorsi riuniti, e che la sentenza impugnata ha confermato in toto la decisione del giudice di primo grado, la motivazione contenuta nella sentenza impugnata risulta insufficiente poiché, a prescindere dall'allegato riconoscimento di costi ( in misura non precisata in sentenza) effettuato dall'Ufficio nel corso del giudizio di primo grado, la statuizione non chiarisce, né nella parte-motiva, né nella conseguente parte dispositiva, se ed in quale misura sia stata concretamente riconosciuta dal giudice la deducibilità dei costi per corresponsione di compensi non contabilizzati, con conseguente riduzione del reddito imponibile accertato mediante gli atti impositivi impugnati.

La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, alla quale è demandata la liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quinto motivo di ricorso; dichiara inammissibili il primo ed il secondo; rigetta il terzo ed il quarto; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.