Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 novembre 2017, n. 26101

Cartella esattoriale - Tardività dell'opposizione - Possibilità di esaminare la questione della inesigibilità del credito - Opposizione nel merito - Termine perentorio

 

Rilevato

 

che con sentenza del 21.1.2010 il Tribunale di Caltanisetta dichiarò l'inammissibilità della domanda della società E. s.r.l. volta a far dichiarare l'illegittimità della procedura esecutiva intrapresa in forza di cartella esattoriale contenente l'intimazione di pagamento della somma di € 476.322.71;

che il Tribunale qualificò l'azione come di accertamento negativo concernente lo stesso credito indicato nella cartella opposta che era stata oggetto di precedente giudizio conclusosi con sentenza n. 105/2007, confermata in appello, dichiarativa della tardività dell'opposizione, per cui ritenne preclusa dal giudicato la possibilità di esaminare la questione della inesigibilità del credito;

che la E. srl ha impugnato tale sentenza assumendo che non si trattava di accertamento negativo, bensì di contestazione dell'esistenza di un valido titolo idoneo (ruolo) a consentire l'azione esecutiva, posto che l'Inps non avrebbe potuto richiedere il pagamento di contributi prescritti, per cui una tale contestazione poteva essere fatta valere come opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c.;

che la Corte d'appello di Caltanisetta (sentenza 7.11.2011), investita dall'impugnazione della E. srl, ha ribadito l'inammissibilità della domanda, spiegando che si trattava di valutazione di una questione di merito (prescrizione) che avrebbe dovuto essere fatta valere tempestivamente attraverso l'opposizione alla cartella esattoriale che implicava anch'essa un giudizio di cognizione;

che la causa estintiva della prescrizione, in quanto antecedente alla formazione del ruolo, non poteva essere fatta più valere in sede di opposizione all'esecuzione;

che per la cassazione della sentenza ricorre la E. srl con quattro motivi, illustrati da memoria;

che l'Inps resiste con controricorso;

 

Considerato

 

che col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 29 del d.lgs. n. 46/1999, dell'art. 615 c.p.c., dell'art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995 e degli artt. 2115 e 2116 c.c., la ricorrente rileva che la Corte d'appello, dopo aver qualificato l'azione in esame come opposizione all'esecuzione ex art. 29 del d.lgs n. 46/1999 e ex art. 615 c.p.c., ha affermato che la questione di prescrizione era una questione di merito che non poteva incidere sul titolo esecutivo rappresentato dal ruolo esattoriale già formato e che avrebbe potuto essere fatta valere nel giudizio ex art. 24 del d.lgs n. 46/1999. Assume, invece, la ricorrente che il ruolo era stato formato sulla base di un credito prescritto e, perciò, era nullo per violazione di norma imperativa, per cui tale nullità non doveva essere dedotta tramite il giudizio di cui all'art. 24 del d.lgs n. 46/1999, bensì attraverso quello di cui all'art. 29 dello stesso d.lgs n. 46/1999.

2. che col secondo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 e 615 c.p.c., degli artt. 24 e 29 del d.lgs n. 46/1999, dell'art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995 e degli artt. 2115, 2116 e 2909 cod. civ., la ricorrente contesta l'affermazione della Corte di merito secondo la quale il giudicato intervenuto nel giudizio di opposizione ex art. 24 del d.lgs n. 46/99 aveva precluso la possibilità di esperire un'autonoma azione tesa ad accertare la nullità ab origine del ruolo, sostenendo, in contrario, che il ruolo, quale titolo esecutivo stragiudiziale di natura amministrativa, non poteva acquistare efficacia di giudicato.

3. che col terzo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione dell'art. 615 c.p.c., dell'art. 29 del d.lgs n. 46/1999, dell'art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995, degli artt. 2115 e 2116 cod. civ. e dell'art. 21 septies, comma 1, della legge n. 241/1990, dell'art. 23 della Costituzione e dell'art. 161 c.p.c., si assume che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, il ruolo è nullo per assoluta carenza di potere dell'Inps a richiedere il pagamento di contributi prescritti.

4. che col quarto motivo, prospettato per violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 29 del d.lgs n. 46/1999, dell'art. 3, comma 9, della legge n. 335/1995, dell'art. 55, comma 1, del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 e degli artt. 2115 e 2116 cod. civ., la ricorrente sostiene che in considerazione degli effetti estintivi della prescrizione l'Inps non solo non avrebbe potuto esigere il pagamento di un credito previdenziale prescritto ma neppure riceverlo. Quindi, anche a prescindere dal fatto che il ruolo era divenuto definitivo per omessa impugnazione nei termini previsti dall'art. 24 del d.lgs n. 46/1999, il credito contributivo non avrebbe potuto essere riscosso in via esecutiva dall'Inps stante la sua intervenuta prescrizione;

5. che i quattro motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati;

che si è, infatti, statuito (Cass. sez. 6 - L, Ordinanza n. 8931 del 19.4.2011) che "in tema di iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, il termine previsto dall'art. 24, quinto comma, del d.lgs. n. 46 del 1999 per proporre opposizione nel merito, onde accertare la fondatezza della pretesa dell'ente, deve ritenersi perentorio, pur in assenza di un'espressa indicazione in tal senso, perché diretto a rendere incontrovertibile il credito contributivo dell'ente previdenziale in caso di omessa tempestiva impugnazione ed a consentire una rapida riscossione del credito iscritto a ruolo. Tale disciplina non fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con l'art. 24 Cost., poiché rientra nelle facoltà discrezionali del legislatore la previsione dei termini di esercizio del diritto di impugnazione (v. Corte costituzionale, ord. n. 111 del 2007), né per contrasto con gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., rientrando nell'ambito della delega, avente ad oggetto il riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, la previsione di un sistema di impugnazione del ruolo stesso. Ne consegue che, trattandosi di decadenza di natura pubblicistica, attinente alla proponibilità stessa della domanda, il suo avverarsi, rilevabile d'ufficio, preclude l'esame del merito della pretesa creditoria quale sia la natura delle contestazioni mosse dal debitore";

che, pertanto, correttamente la Corte territoriale ha rilevato che nella fattispecie non potevano essere esaminate le conseguenze della prescrizione sull'efficacia esecutiva del titolo, cioè il "ruolo", poiché il credito in esso trasfuso era divenuto incontrovertibile in conseguenza del carattere definitivo della pronuncia che aveva dichiarato tardiva l'opposizione proposta dalla società avverso la cartella ai sensi dell'art. 24 del d.lgs n. 46/1999;

6. che si è, altresì, precisato (Cass. sez. lav. n. 11596 del 6.6.2016) che "in tema di iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, il termine per proporre opposizione nel merito ex art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, è previsto a pena di decadenza, sicché la sospensione della riscossione del credito, disposta ai sensi del successivo art. 25, comma 2, non incide sul suo decorso";

che è inconferente il richiamo al principio enunciato nella sentenza n. 23397 del 17.11.2016 delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui la scadenza del termine - pacificamente perentorio - per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della I. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 che, invero, nella fattispecie non si pone il problema della trasformazione o meno del termine di prescrizione breve in quello ordinario in quanto gli effetti preclusivi esplicitati nell'impugnata sentenza e dei quali si duole la ricorrente discendono non dalla mancata opposizione, comportante come si è visto solo l'irretrattabiIità del credito, bensì dalla dichiarazione di inammissibilità dell'opposizione svolta ex art. 24 del d.lgs n. 46/1999, divenuta definitiva per la rilevata tardività di tale rimedio processuale;

7. che, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 5200,00, di cui € 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.