Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 aprile 2018, n. 8309

Tributi locali - TARSU - Tariffe - Categorie tassabili - Classificazione economica

 

Svolgimento del processo

 

La Società H.C.M. s.p.a. titolare dell'omonimo complesso ricettivo in T. proponeva ricorso avverso il silenzio rifiuto del Comune sulla istanza in data 8.10.2007 di rimborso, con interessi e rivalutazione, della somma di € 68.143,66 a suo dire indebitamente versata al Comune per TARSU afferente l'anno 2005.

La CTP di Palermo, con sentenza n. 182 dei d.l. 9 giugno/16 settembre 2009 rigettava il ricorso.

Interposto appello dalla contribuente, la CTR della Sicilia con sentenza n. 158/01/12 depositata in data 20.12.2012 in accoglimento dell'appello dichiarava dovuto il rimborso Tarsu reclamato dalla società appellante previa detrazione di quanto da questa dovuto per lo stesso titolo in base alle tariffe applicate in precedenza.

La commissione tributaria regionale, in particolare, pur ammettendosi il diritto del Comune di diversificare per regolamento i contribuenti in base a categorie e sottocategorie omogenee che tenessero conto dei differenti coefficienti di produttività di rifiuti (anche nel raffronto tra destinazione alberghiera e destinazione abitativa), ha ritenuto che tale diritto doveva essere esercitato attraverso una adeguata motivazione che indicasse i parametri tariffari utilizzati; in assenza di adeguata motivazione sul punto, ha disapplicato l'atto normativo ritenuto illegittimo.

Ricorre per Cassazione il Comune di T. con ricorso notificato in data 24.1.2014 affidato a due motivi.

Resiste con controricorso, illustrato con memoria H.C.M. s.p.a. la quale solleva altresì - in via subordinata - questione di legittimità costituzionale, ex artt. 3 e 53 Cost., dell'articolo 68 d.lgs. 507/93.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di T. lamenta - ex art. 360, 1° co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione degli articoli 68 e 69 del d.lgs. 507/93.

2. Con il secondo motivo il Comune di T. lamenta la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al fatto controverso e decisivo per il giudizio attinente al rapporto tra le tariffe tarsu applicate alle abitazioni e agli alberghi. Sostiene quindi la nullità della sentenza (art. 360 n. 4 e 5 c.p.c.).

3.1 motivi possono essere trattati congiuntamente.

I motivi sono fondati.

La pretesa impositiva del Comune di T. si basa sulla delibera GM n. 25 del 20 marzo 2006 la quale richiama, nelle premesse, la classificazione delle categorie tassabili approvata con atto consiliare n. 8 del 31.12.1997.

Deve ribadirsi l'orientamento consolidato di questa Corte di legittimità secondo cui la previsione regolamentare di una tariffa Tarsu alberghiera anche di molto superiore a quella applicata alle case di civile abitazione deve ritenersi del tutto legittima, posto che la maggior capacità produttiva di rifiuti di uno stabile alberghiero, rispetto ad uno di civile abitazione, costituisce dato di comune esperienza (Cass. 302/10 ed altre).

Ricorre, in particolare, quanto già affermato da questa corte (Cass. 2202/11), secondo cui: "in tema di TARSU, la disciplina contenuta nel d.lgs 15 novembre 1993, n. 507 sulla individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario "chi inquina paga", sia perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell'immobile posseduto, sia perché la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un'ampia prova contraria, ma contiene previsioni (v. art. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni". Tale pronuncia ha preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all'esclusione della violazione del principio in esame, le sentenze CGUE 24.6.08 in causa C-188/07 e 16.7.09 in causa C-254/08 (quest'ultima, avente ad oggetto un rinvio pregiudiziale in una causa pendente dinanzi al TAR Campania, nella quale veniva contestata proprio la legittimità, per affermato contrasto con l'art. 15 della direttiva 2006/12/CE, della disciplina legislativa sulla Ta.r.s.u., nonché di norme di un regolamento comunale in base alle quali le imprese alberghiere sarebbero state tenute al versamento della tassa sui rifiuti in misura superiore ai privati). Ebbene, nella valutazione di conformità della disciplina nazionale in materia rispetto al principio evincibile dall'art. 15 lett. a), della direttiva 2006/12 (già desumibile dall'art. 11 della direttiva 75/442), la CG ebbe ad affermare (come recepito da Cass. cit.), che: "è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; - in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonché della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; - sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l'art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12; - nella materia, le autorità nazionali dispongono di un'ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; - per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili". Sicché, in definitiva, "il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sé, contrario al principio ‘chi inquina paga’ recepito dall'art. 11 della direttiva 75/442.

Il limite posto dalla Corte di Giustizia alla discrezionalità delle autorità nazionali costituisce attuazione del principio di proporzionalità, largamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, secondo il quale non sono ammessi regimi d'imposizione i cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria. La Corte richiama, a titolo esemplificativo, la sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 1997 in causa C - 28/95, LeurBIoemr punti da 41 a 45".

Tale indirizzo ha poi ottenuto ulteriori, anche recenti, conferme da parte della giurisprudenza di legittimità, nel senso che: "in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), l'art. 62, comma 1, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicché, ai fini dell'esenzione dalla tassazione prevista dal comma 2 del citato art. 62 per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di in utilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione" (Cass. ord. 19469/14; in termini, Cass. 3772/13); e che: "in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, grava sul contribuente l'onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell'esenzione prevista dall'art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993, per quelle aree detenute od occupate aventi specifiche caratteristiche strutturali e di destinazione, atteso che il principio, secondo il quale è l'Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell'obbligazione tributaria, non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, costituendo l'esenzione, anche parziale, un'eccezione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale" (Cass. ord. 17622/16). Quanto così affermato rende, al contempo, manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla controricorrente, atteso che - da un lato - la disciplina dei presupposti costitutivi dell'imposizione deriva dalla legge statale e non dalla disciplina secondaria dell'ente locale (viceversa mirata sull'individuazione della tariffa in rapporto ai costi economici di smaltimento), e che - dall'altro - è sempre ammessa la possibilità, per il contribuente, di fornire la prova dei requisiti della esenzione, ovvero riduzione dell'imposta, in ragione della effettiva destinazione delle superfici e della loro assente o minore generazione di rifiuti; così da ricondurre il rapporto impositivo alla concretezza della fattispecie, ed escludere la paventata disparità di trattamento tra categorie o sottocategorie di contribuzione.

Quanto all'onere motivazionale posto a carico del Comune, si è stabilito - con orientamento che va qui confermato (ord. 913/16 cit., con ulteriori richiami) - che, in tema di TARSU, "è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applica a queste ultime. Infatti, la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

Senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell'attività, il quale può eventualmente dar luogo all'applicazione di speciali riduzioni d'imposta, rimesse alla discrezionalità dell'ente impositore" (Cass. n. 4797/14, Cass. n. 8336/15).

Si tratta, pare opportuno precisare, di principio già affermato proprio in relazione alle tariffe applicate alle strutture alberghiere; in ordine alle quali si è aggiunto che gli "elementi di riscontro della legittimità della delibera non vanno, d'altronde, riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica" (Cass. ord. 11655/09; così Cass. ord. 15861/11). Rileva infine, a disattendere quanto sostenuto, sul punto, dal giudice di appello, che: "in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all'art. 65 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile 'ex post', di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili" (Cass. n. 7044/14; così Cass. 22804/06).

Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata. Non risultando altri profili controversi necessitanti di accertamenti fattuali, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., mediante rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente (in relazione agli importi ancora risultanti a debito all'esito del disposto sgravio parziale).

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, vengono poste a carico di quest'ultima; quelle di merito vengono invece compensate, in ragione del consolidarsi soltanto in corso di causa dell'orientamento interpretativo qui recepito.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; - cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente; - condanna quest'ultima alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in euro 7.200,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge; compensa le spese del giudizio di merito.