Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 marzo 2019, n. 7536

Esposizione all'amianto - Diritto alla maggiorazione contributiva - Accertamento

Rilevato che

 

la Corte d'appello di Catania, con sentenza pubblicata il 3 marzo 2016, ha accolto l’appello proposto dall’Inps contro la sentenza resa dal Tribunale di Siracusa che aveva riconosciuto a V. S. il diritto alla maggiorazione contributiva prevista dall’art. 13, comma 8°, l. n. 257/1992 e successive modifiche, in conseguenza dell'esposizione all'amianto subita durante il periodo di lavoro compreso tra aprile 1975 e aprile 1989, durante il quale aveva lavorato come operatore impianti Onsite (Lube 2); per l’effetto, ha rigettato la domanda del lavoratore; ha quindi ritenuto assorbito l’appello incidentale spiegato dal S. e avente ad oggetto la mancata pronuncia di condanna dell’Inps al riconoscimento dei contributi ed il capo della sentenza che aveva compensato le spese processuali;

la Corte territoriale, dopo aver precisato che, per mancanza di impugnazione da parte del lavoratore, era passato in giudicato l’accertamento contenuto nella sentenza impugnata che aveva negato l’esposizione all’amianto per il periodo successivo al 1989 - quando il ricorrente aveva lavorato con mansioni di operatore antincendio, operatore trasporto campioni e, poi, analista di laboratorio chimico - e dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, ha escluso che nel periodo in questione (1975-1989) il lavoratore fosse stato esposto all’amianto in misura superiore alla soglia fissata dal legislatore, e ciò in considerazione delle mansioni svolte (operatore impianti onsite presso gli impianti dell’area Lube 2), della presenza di amianto nell’ambiente di lavoro limitata alle sole coperture in eternit dell’area Lube 2 e dello sporadico uso di materiali di consumo a base di amianto in interventi di piccola manutenzione (sostituzione di tenuta a baderna con cordone di amianto, di guarnizioni o cordoncini deteriorati, con uso di guanti in fibra di amianto, controlli e prelievi di campioni su parti calde); contro la sentenza il lavoratore propone ricorso per cassazione, fondato su plurimi motivi, al quale resiste con controricorso l’Inps; la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ. è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

il ricorrente ha depositato memoria, con la quale dissente dalla proposta del relatore e chiede che la causa sia rimessa alla pubblica udienza della sezione semplice.

 

Considerato che

 

1. -il ricorso è proposto per i seguenti motivi:

A) violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., degli artt. 24 e 111 Cost., 6 Cedu, in combinato disposto con l’art. 13, comma 8°, L. n. 257/1992, in relazione all’art. 360, n. 4, cod.proc.civ.: in sintesi, censura la sentenza per aver dato rilievo alla relazione Contarp e alle mansioni indicate dalla Esso alla Contarp; per non aver pronunciato sull’appello incidentale, con cui si contestava il termine finale di esposizione fissato dal primo giudice al 1989, anche sotto il profilo delle mansioni concretamente svolte, come confermate dai testimoni e dalle consulenze tecniche d’ufficio, comprese quelle disposte in giudizi analoghi, che avevano accertato l’esposizione indiretta e il superamento della soglia di legge anche con riguardo a tale periodo;

B) violazione dell’art. 132, n. 4, cod.proc.civ. e 111 Cost.; omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5 cod.proc.civ., sia in relazione all’appello

incidentale sia in relazione alle difese svolte contro l’appello dell’Inps: i testi avevano confermato le sue mansioni; era stata contestata la relazione Contarp ed il mansionario risso, in riferimento alle attività svolte fino al 1992; l’appello incidentale aveva riguardato anche il periodo successivo al maggio 1989; l’Inps non aveva contestato le mansioni di fatto svolte dal lavoratore; la Corte territoriale non aveva considerato le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio in ordine alle mansioni svolte dal lavoratore, né gli esiti di altre consulenze disposte in giudizi promossi da colleghi di lavoro; su questi aspetti la sentenza era priva di motivazione;

C) violazione delle medesime norme, «sub specie millitatis» della sentenza per apparenza della motivazione, per l’errato presupposto della mancanza di appello incidentale in ordine al termine finale di esposizione, per la mancata considerazione della CTU e delle altre consulenze depositate;

D) violazione delle stesse norme, per la motivazione apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile rispetto all’accertamento peritale che aveva ad oggetto anche le mansioni e l’attività dell’appellato;

E) violazione dell’art. 416 cod.proc.civ., 115, comma primo cod.proc.civ., in combinato disposto con l’art. 13, comma ottavo, L. n. 257/1992, in relazione all’art. 360, n. 3, cod.proc.civ. e si ribadisce che la Corte territoriale avrebbe dovuto fare applicazione del principio di non contestazione con riguardo alle specifiche mansioni di manutentore e di manipolazione dell’amianto nell’impianto Lube 1 e Lube 2 all’interno della raffineria Esso di Augusta, nonché con riguardo alla pericolosità dell’ambiente di lavoro;

F) violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 115 e 116, 420, 421, 445 cod.proc.civ., 24 e 111 Cost., 191 e ss. cod.proc.civ., 2697 cod.civ., in combinato disposto con l’art. 13, comma 8, 1. n 257/1992, degli artt. 24 e 31 del D.Lgs. n. 277/1991, in relazione all’art. 360 n. 3, in riferimento al mancato espletamento di un supplemento di CTU, anche attraverso l’uso dei poteri ufficiosi del giudice, al mancato esame delle deposizioni testimoniali raccolte in primo grado o, eventualmente, al mancato riesame del, testimoni già escussi, al mancato esame delle consulenze tecniche d’ufficio svolte in altri giudizi, nonché delle altre sentenze rese;

G) violazione degli artt. 61, 191 e seguenti, 445 cod.proc.civ., in combinato disposto con l’art. 13, comma 8, L. 257/1992, in relazione all’art. 360, n. 3 cod.proc.civ., nella parte in cui la Corte ha rigettato la domanda che invece avrebbe dovuto essere accolta per i periodi dal 1989 al 1992, così come accertato dai consulenti tecnici di ufficio.

2. - Il primo motivo è inammissibile.

2.1. - Nell’illustrazione del motivo in esame, proposto anche ai sensi del n. 4 dell’art. 360, cod.proc.civ., il ricorrente prospetta una pluralità di questioni mescolando alla deduzione di violazioni di legge il vizio di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ipotesi questa che è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (Cfr. al riguardo, ex phmmis: Cass., 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 12/10/2017, n. 24054).

2.2. - Nel caso in esame la commistione tra profili attinenti all’esatta interpretazione della norma di legge e profili riguardanti la ricostruzione della fattispecie concreta, attraverso la asseritamente erronea valutazione delle risultanze di causa, è talmente stretta che non consente a questa Corte di cogliere con chiarezza le denunciate violazioni di legge (Cass. Sez. Un. 6/5/2015, n. 2015, n. 9100); deve aggiungersi che il vizio di cui all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all'art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto non solo con l'indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 12/01/2016, n. 287). Anche sotto questo aspetto il motivo è inammissibile, non risultando con la necessaria chiarezza quale delle affermazioni della Corte sarebbe in contrasto con le disposizione indicate, e in particolare con l’art. 13 l. n. 257/1992.

3. -Il secondo (proposto anche in relazione all’art. 360, n. 5, cod.proc.civ.), il terzo e il quarto motivo, che si trattano congiuntamente perché evidentemente connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

3.1. - I giudici dell’appello hanno espressamente delimitato l’ambito dell’appello incidentale alla parte della sentenza del Tribunale «in cui ha omesso di condannare l’Inps al riconoscimento dei contributi e nella parte in cui ha compensato le spese processuali» (pag. 3 della sentenza). A fronte di questa precisa delimitazione del devolutimi, era onere della parte trascrivere gli esatti termini dell’appello incidentale, di cui invece riporta solo le conclusioni che, per la loro genericità, non consentono di apprezzare la diversa e più ampia consistenza del motivo di impugnazione.

3.2. - La deduzione del vizio di omessa pronuncia, nel caso in esame, non rispetta il principio consolidato di questa Corte, secondo cui «è inammissibile, per violazione del criterio dell'autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano "nuove" e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte» (principio consolidato: Cass. 20/08/2015, n.17049).

3.3. - Alla luce di questo principio, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere la parte argomentativa volta a confutare e contrastare l’affermazione del Tribunale - secondo cui doveva escludersi un’esposizione qualificata all’amianto per il periodo successivo al maggio del 1989, e tanto in ragione della genericità dell’allegazione di mansioni diverse da quelle su indicate (operatore impianti onsite presso gli impianti dell’area Lube 2), nonché della genericità e contraddittorietà delle deposizioni testimoniali in ordine alle occasioni di contatto con amianto in relazione a tale attività lavorativa - «il che confermala) che l’unico periodo cui si riferiscono le deduzioni di cui all’atto introduttivo è quello dall’aprile 1975 al maggio 1989» (v. pag. 6 della sentenza di primo grado, pure trascritta nel ricorso per cassazione).

3.4. - La sentenza qui impugnata prende atto di questa affermazione e la fa propria, precisando a pagina 4, che lo stesso ricorrente aveva dichiarato in ricorso «di avere lavorato nel periodo dal giugno 1975 al maggio 1989 come operatore impianti onsite presso l’impianto Lube 2, come accertato nella sentenza e non contestato con l’appello incidentale e come emerge anche nella certificazione dei servizi proveniente dal datore di lavoro, prodotta dall’Inail e mai contestata», e aggiunge che la dichiarazione resa dal lavoratore al consulente tecnico di ufficio di aver lavorato presso gli impianti dell’area Lube 1 nel periodo dal 1977 al 1989 è del tutto irrilevante.

3.5. - Emerge pertanto dalla lettura della sentenza che, indipendentemente dalla proposizione di uno specifico motivo di appello incidentale, la Corte territoriale ha compiuto un esaustivo e autonomo accertamento delle mansioni in concreto svolte dal ricorrente, sicché non è fondato il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, denunciabile ex art. 360, n. 5, cod.proc.civ.

3.6. - Al riguardo deve ribadirsi che la ricostruzione in fatto operata dal giudice d’appello con riguardo alle mansioni e alla durata dell’esposizione (operatore impianti insite presso il reparto Lube 2 limitatamente al periodo giugno 1975-maggio 1989) è in tutto sovrapponibile a quella compiuta dal tribunale, sicché la censura riguardante questo aspetto della controversia e prospettata come vizio di motivazione si presenta inammissibile, trovandoci al cospetto di un'ipotesi di «doppia conforme» prevista dal quarto e quinto comma dell'art. 348 ter cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell'art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, al giudizio in esame, pacificamente introdotto in appello dopo il settembre 2012), in forza del quale è inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi del n. 5 dell'art. 360, nel testo novellato dallo stesso d.l. citato.

3.6. - Né il ricorrente, al fine di evitare l'inammissibilità del motivo, ha allegato e dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello sono tra loro diverse (Cass. 10/3/2014, n. 5528; Cass. 22/1272016, n. 26774).

3.7. - Non sono pertanto pertinenti i rilievi svolti nella memoria depositata ai sensi dell’art.380 bis cod.proc.civ. dal ricorrente -che ha escluso possa parlarsi di doppia conforme perché in primo grado le domande del S. sono state accolte - dal momento che non considera che, per un verso, il giudizio di inammissibilità ex art. 348 ter cod.proc.civ. è formulato con riferimento alla singola censura ex art. 360, n. 5, cod.proc.civ. e, per altro verso, con riferimento al periodo successivo al 1989, su cui si appuntano gran parte delle critiche del ricorrente, la domanda è stata rigettata anche dal Tribunale (v. pag. 5 della sentenza del Tribunale) e tale giudizio è stato confermato, per le medesime ragioni fattuali, dalla Corte d’appello. Il Collegio, pertanto, non reputa necessaria la rimessione della causa alla sezione semplice per la sua trattazione in pubblica udienza ex art. 380 bis, ult. comma, cod.proc.civ.

4. - Da quanto su esposto, deve escludersi ogni profilo di nullità della sentenza, con la conseguente infondatezza di motivi sub C) e D), dal momento che la motivazione è esistente e non apparente, né contraddittoria: la Corte territoriale ha escluso l’esposizione qualificata all’amianto sulla base di quanto emerso dalla consulenza tecnica d’ufficio, che ha affermato che, in ragione delle mansioni svolte dal S. quale operatore process on sites nel reparto Lube 2, l’esposizione all’amianto non ha superato i limiti previsti per la scarsa presenza di amianto nelle coibentazione dell’impianto, limitata alle sole coperture in Eternit, e per la natura degli interventi di piccola manutenzione, che comportavano l’uso di materiali a base di amianto non tale da determinare il superamento del valore soglia di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo (pag. 5 della sentenza).

4.1. - La sentenza è conforme al cosiddetto «minimo costituzionale», non riscontrandosi, inoltre, alcuna incoerenza o contraddittorietà logica giuridica, tale da rendere oscuro l’iter motivazionale (Cass. Sez. Un., n. 8053/2014) e dovendosi rammentare che, a seguito della riforma del 2012, è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza (v. pure Cass. 25 marzo 2015, n. 5929).

5. - Sono inammissibili i motivi sub E), F) e G), anch’essi da trattarsi insieme in quanto, nonostante siano proposti apparentemente come violazione di norme di legge, mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di mento (Cass. 04/04/2017, n. 8758).

5.1. - In sintesi e per completezza, va ricordato che:

a) la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all'apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass., 20 settembre 2013, n. 21603);

b) la non contestazione non determina di per sé la decisione della controversia, dovendo il giudice di merito valutare se il fatto non contestato sia inquadrabile nell'astratto parametro normativo e, prima ancora, stabilire la sussistenza o l'insussistenza di una non contestazione. A tal fine ove il giudice, anche tacitamente, abbia manifestato la propria interpretazione in senso contrario alla non contestazione e, in assenza di ogni deduzione sulla stessa, abbia proceduto all'espletamento incontestato di un mezzo istruttorio in ordine all'accertamento del fatto, la successiva deduzione di parte in ordine all'altrui pregressa contestazione diventa inammissibile (Cass. 02/05/2007, n. 10098; Cass. 16/03/2012, n. 4249).

c) con riguardo al mancato espletamento di un supplemento di consulenza tecnica o del riesame dei testimoni già escussi, già sotto il vigore del vecchio testo art. 360, n. 5, cod.proc.civ., prima della riforma introdotta dalla L. n. 134/2012, la mancata pronuncia su un'istanza istruttoria può dar luogo ad omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell'art 360, n 5 cod. proc. civ., ove attenga a circostanze che, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata (Cass. 16/05/1977, n. 1985; Cass. 11/03/1995, n.2859; Cass. 03/02/2000, n. 1203);

d) la violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., 10 giugno 2016, n. 11892); è nel potere del giudice, senza che si determini alcuna violazione del principio della disponibilità delle prove, ammettere esclusivamente le prove che ritenga motivatamente rilevanti ed influenti al fine del giudizio richiestogli e negare le altre (fatta eccezione per il giuramento) che reputi del tutto superflue e defatigatorie (Cass. 7 dicembre 1974, n. 4090; Cass. 20 aprile 1973, n. 1141; Cass. 24 ottobre 1970, n. 2141);

e) la deduzione della violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; ne consegue l'inammissibilità delle doglianze prospettate sotto il profilo della violazione di legge ai sensi del n. 3 dell'art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass., 20 dicembre 2007, n. 26965; v. pure, Cass., 10 giugno 2016, n. 11892; Cass., 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass., 9 luglio 2015, n. 14324; Cass., 27 novembre 2014, n. 25216), non avendo la parte ricorrente evidenziato né in quale parte della sentenza risultino affermazioni in contrasto con l'art. 115 nel senso su indicato, né che in che modo la Corte abbia violato l'art. 116 c.p.c. attribuendo valore di prova legale a prove che non l'avevano o negandolo a prove che lo avevano;

f) con riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio, la parte non ha individuato omissioni di accertamenti strumentali imprescindibili per la formulazione di una corretta conclusione tecnica, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una difformità tra le valutazioni del consulente e quelle auspicate dalla parte; al di fuori di tale ambito, infatti, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico, non attinente a vizi del processo logico, che si traduce in un’inammissibile richiesta di revisione nel merito del convincimento del giudice (Cass. 21 agosto 2007, n. 17779; Cass. 17 aprile 2004 n. 7341; Cass. 28 ottobre 2003 n. 16223);

g) l’ulteriore profilo di doglianza, con il quale si censura la sentenza nella parte in cui non avrebbe tenuto conto delle risultanze delle consulenze tecniche d'ufficio espletate in altri procedimenti analoghi e di altrettante sentenze favorevoli è, all'evidenza, inammissibile poiché non idonea ad infirmare validità e decisività delle ragioni sulle quali si fonda la sentenza impugnata, in adesione alle conclusioni dell'ausiliare officiato in giudizio (Cass. n. 5929/2015).

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio in applicazione del criterio della soccombenza. Poiché il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma pari a quella già versata per il contributo unificato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 3000,00 per compensi professionali, oltre al '15% di rimborso forfettario delle spese generali e agli altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quuter del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.