Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 novembre 2017, n. 28694

Tributi - Associazione dilettantistica - Gestione di approdi turistici - Natura commerciale dell’attività - Ente commerciale - Sussiste

 

Premesso

 

- che con sentenza n. 26 del 6 aprile 2009 la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia accoglieva parzialmente l'appello principale proposto dall'associazione dilettantistica denominata Società Nautica di P.S.R.O. ed accoglieva quello incidentale proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva parzialmente accolto, limitatamente alle sanzioni (ridotte nella misura di un terzo), il ricorso proposto dalla predetta associazione avverso sette avvisi di accertamento con cui l'amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di una verifica fiscale condotta dalla G.d.F. a carico della predetta associazione e compendiata in apposito processo verbale di constatazione, riconosciuta la natura commerciale della predetta associazione nella gestione di approdi turistici, rideterminava induttivamente i redditi imponibili ai fini IVA, IRPEG, ILOR ed IRAP relativamente agli anni di imposta dal 1997 al 2002, irrogando le relative sanzioni;

- che i giudici di appello rideterminavano in diminuzione i redditi societari, nella misura accertata a seguito di espletata consulenza tecnica d'ufficio, ritenendo inattendibili le scritture contabili relative agli anni di imposta 1997 e 1998, ed attendibili quelle relative alle annualità successive fino al 2002, con conseguente rideterminazione delle sanzioni da applicarsi senza alcuna riduzione;

- che avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione, anche nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, affidato a tre motivi, cui replica l'intimata;

 

Considerato

 

- che va preliminarmente rilevata ex officio l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, che non ha legittimazione passiva né è stato parte dei giudizi di merito (Cass. S.U. n. 3118/2006; n. 3116/2006; n. 20781/2016) con compensazione tra le parti delle spese processuali non avendo l'intimato Ente spiegato difese;

- che con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione dell'art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di esaminare e pronunciare su alcuni motivi di appello con cui aveva dedotto (v. pagg. 16 e 17 del ricorso):

a) la violazione da parte del giudice di primo grado degli artt. 32 e 48 d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione al contenuto della memoria di replica del 17/11/2005 prodotta dall'Agenzia delle entrate in quel grado di giudizio e dell'applicazione dell'istituto della conciliazione giudiziale, nonché dell'art. 36 del medesimo decreto, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e per violazione e falsa applicazione di norme di diritto;

b) la violazione degli artt. 3 legge n. 241 del 1990 e 7 legge n. 212 del 2000 nonché l'eccesso di potere in carenza di motivazione;

c) la violazione degli artt. 87, 108 e 111 d.P.R. n. 917 del 1986;

d) la violazione dell'art. 4, comma 5, lett. a), d.P.R. n. 633 del 1972 e l'infondatezza e l'erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, in eccesso di potere per violazione di circolare, in relazione all'imponibilità dei ricavi dell'associazione afferenti ai presunti "servizi portuali";

e) la violazione dell'art. 111-bis d.P.R. n. 917 del 1986 in relazione alle condizioni per la perdita della qualifica di ente non commerciale;

f) il disconoscimento dell'imponibilità ai fini IRAP ai sensi del d.lgs. n. 446 del 1997 per insussistenza di base imponibile;

g) l'infondatezza del rilievo di omesso versamento di ritenute d'acconto e di obbligo di presentazione del mod. 770 per carenza del presupposto di legge;

- che il motivo è infondato, essendo noto che «ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia» (cfr. Cass. n. 16788 del 2006; conf. 9545 del 2001, n. 20311 del 2011, n. 3417 del 2015, n. 1360 del 2016);

- che, nella specie, il rilievo che i giudici di appello abbiano esaminato la causa nel merito rende evidente che hanno ritenuto di non condividere sia la tesi dell'illegittimità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione, sia la tesi dell'illegittimità dell'accertamento e delle sue risultanze per le dedotte violazioni di legge, i corrispondenti motivi di impugnazione proposti dovendosi, quindi, ritenersi essere stati implicitamente rigettati in quanto evidentemente incompatibili con la rideterminazione dei redditi conseguiti dall'associazione, operata dalla CTR alla stregua delle risultanze dell'espletata consulenza tecnica d'ufficio, che è statuizione che chiaramente presuppone il riconoscimento della natura commerciale dell'attività svolta dall'associazione;

- che con il secondo motivo di ricorso, con cui viene dedotta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia priva dell'esposizione dei fatti rilevanti della causa nonché delle ragioni giuridiche della decisione;

- che il motivo è inammissibile;

- che va preliminarmente ribadito che «in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (e, dunque, anche alle sue disposizioni di attuazione) contenuto nell'art. 1, comma secondo, del D.Lgs. 546/1992, è applicabile al nuovo rito tributario così come disciplinato dal citato decreto il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l'estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l'individuazione del "thema decidendum" e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo» (Cass. n. 13990 del 2003; conf. n. 9745 del 2017);

- che, invero, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che «ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017); ipotesi, queste, che non ricorrono nel caso in esame, laddove la CTR, sia pure in maniera sintetica, ha dato atto in sentenza dei motivi di impugnazione proposti dall'associazione ricorrente in primo grado e, ancorché in modo generico, del fatto che le predette questioni erano state riproposte in secondo grado e, nella motivazione, di condividere le risultanze della CTU contabile espletata in primo grado, sulla cui base rideterminava i «risultati di esercizio», «ai sensi dell'art. 108 TUIR come individuati dalla perizia contabile», e le sanzioni «in relazione agli anzidetti imponibili»;

- che quella di cui si è tratteggiato il contenuto è motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita, seppur in maniera assai concisa, le ragioni della decisione ed i profili di insufficienza motivazionale, che indubbiamente caratterizzano la sentenza qui vagliata, ma che andava censurata ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non viziano tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l'idoneità ad assolvere alla funzione cui all'art. 36 d.lgs. 546/1992 (arg. da Cass. n. 5315 del 2015);

- che il terzo motivo di cassazione, con cui la ricorrente ha denunciato il vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata «relativamente alle ragioni di fatto e di diritto che hanno condotto a qualificare il reddito della ricorrente ai sensi dell'art. 108 (ora art. 143) T.U.I.R. (d.P.R. n. 917 del 1986), includendo tra le entrate commerciali anche le attività svolte dall'associazione a favore dei propri soci e associati in ottemperanza ai propri fini istituzionali» (così nel momento di sintesi), che andrebbero esclusi ai sensi dell'art. 111 (ora 148), comma 1, TUIR, è inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo la ricorrente omesso di trascrivere le parti essenziali del contenuto della consulenza tecnica d'ufficio espletata in primo grado nonché delle osservazioni critiche del consulente di parte dell’amministrazione finanziaria e delle memorie di replica della società contribuente (di cui si riporta il solo contenuto riassuntivo a pag. 26 del ricorso), necessarie ai fini della valutazione di fondatezza del motivo in esame, nonché per la genericità del momento di sintesi, laddove censura la statuizione di inclusione tra le entrate commerciali della società contribuente anche le attività svolte nei confronti dei soci ed associati per fini istituzionali, esclusa per gli enti associativi dall'art. 111 (ora 148) TUIR, che i giudici di appello hanno ritenuto però non applicabile nel caso di specie, «implicitamente assumendo che la Società Nautica e di P.S.R.O. dovesse considerarsi un mero "ente commerciale" e non già un "ente di tipo associativo"», come ammette la stessa ricorrente a pag. 27 del ricorso;

- che, conclusivamente, va rigettato il primo motivo di ricorso perché infondato e dichiarati inammissibili gli altri e la ricorrente condannata al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Dichiara l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze compensando le relative spese processuali; rigetta il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili gli altri e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.