Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 marzo 2017, n. 7279

Imposte sui redditi - Accertamento - Redditi d’impresa - Reddito da partecipazione - Cessione farmacia - Plusvalenza

 

Ritenuto in fatto

 

In data 18.1.2001 l'Agenzia delle Entrate notificava alla comunione ereditaria Eredi del dottor R.B., nonché ai singoli componenti B.J.S., B.J.L.D. e B.J., distinti avvisi di accertamento con i quali, in relazione all'anno di imposta 1995, accertava a carico della comunione un maggior reddito di impresa di lire 610.692.000, a titolo di plusvalenza derivante dalla cessione di una farmacia; a carico dei componenti della comunione accertava il corrispondente reddito da partecipazione. In particolare l'Ufficio contestava ai contribuenti di avere provveduto al pagamento delle imposte sulla plusvalenza negli anni dal 1996 al 1999 in cui avevano percepito le singole frazioni del prezzo della cessione, applicando erroneamente il principio di cassa anziché versare integralmente l'imposta dovuta sull'intera plusvalenza nel periodo di competenza (anno 1995).

I contribuenti proponevano ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Imperia che con sentenza n. 148 del 2002, confermava la plusvalenza accertata dall'Ufficio, fermo restando il diritto dei contribuenti alla compensazione dell'imposta dovuta con le somme corrisposte negli anni successivi al 1995.

Contro la sentenza l'Agenzia delle Entrate proponeva appello, rigettato dalla Commissione tributaria regionale con sentenza n. 60 del 2006.

Nelle more del giudizio di appello, i contribuenti presentavano istanza di definizione delle liti fiscali pendenti a norma dell'art. 16 legge n. 289 del 2002, scomputando dalle somme versate a titolo di perfezionamento del condono quelle già corrisposte negli anni dal 1996 al 1999. Ricevute le istanze, l'Agenzia delle Entrate dapprima inviava ai contribuenti inviti ad integrare il versamento necessario per il perfezionamento del condono; poiché i contribuenti non aderivano all'invito, l'Agenzia delle Entrate notificava in data 15.11.2004 formali provvedimenti di diniego di condono.

Contro il diniego di condono i contribuenti proponevano distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Imperia che, dapprima sospendeva il giudizio in attesa della definizione di quello avverso gli avvisi di accertamento; successivamente alla citata pronuncia della Commissione tributaria regionale n.60 del 2006, divenuta definitiva per mancata impugnazione, la Commissione tributaria provinciale pronunciava le sentenze n. 95, 96 e 97 del 2008 con le quali accoglieva i ricorsi dichiarando l'illegittimità del diniego di condono.

L'Agenzia delle Entrate proponeva distinti appelli alla Commissione tributaria regionale della Liguria che, previa riunione, li rigettava con sentenza del 19.7.2011, sul rilievo che l'interpretazione dell'art. 16 comma 5 della legge n. 289 del 2002 proposto dalla Agenzia delle Entrate vanificava il diritto alla compensazione giudizialmente riconosciuto ai contribuenti dalla sentenza della Commissione tributaria regionale passata in giudicato.

Contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del 19.7.2011 l'Agenzia delle Entrate propone ricorso con unico motivo, per violazione e falsa applicazione dell'art. 16 comma 5 legge n. 289 del 2002.

I contribuenti B.J. e B.J.L.D., in proprio e quali eredi della madre B.J., resistono con controricorso. Chiedono di rigettare il ricorso e, subordinatamente, chiedono di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 comma 5 legge n. 289 del 1992 (ndr art. 16 comma 5 legge n. 289 del 2002).

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso è infondato.

L'Agenzia delle Entrate incentra il proprio ricorso sulla interpretazione dell'art. 16 comma 5 della legge n. 289 del 2002, secondo cui dalla somma dovuta per la chiusura della lite fiscale pendente possono essere scomputate soltanto quelle già versate per effetto delle disposizioni vigenti in materia di riscossione frazionata del tributo in pendenza della lite, tali non essendo i pagamenti effettuati spontaneamente dai contribuenti ed erroneamente imputati agli anni dal 1996 al 1999, anziché all'anno di competenza 1995. La ricorrente non considera che la sentenza impugnata non ha teorizzato una interpretazione della norma sul condono difforme da quella propugnata dalla Agenzia delle Entrate, ma ha reputato che il diritto dei contribuenti alla utilizzazione, a titolo di compensazione della imposta dovuta sulla plusvalenza, delle somme erroneamente versate secondo il principio di cassa anziché di competenza, era stato affermato con sentenza passato in giudicato dalla Commissione tributaria regionale n. 60 del 2006, con conseguente preclusione della facoltà della Amministrazione finanziaria di contestare il legittimo utilizzo di detti versamenti a scomputo della somma da versare a titolo di condono. Sulla specifica ratio decidendi della sentenza impugnata, basata sulla preclusione derivante da un giudicato esterno, la ricorrente non ha svolto censure.

La peculiarità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese.