Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 giugno 2017, n. 29544

Reati penali - Art. 10 ter d.lgs. n. 74 del 2000 - Omesso versamento d’imposta sul valore aggiunto -

Art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000 - Omesso versamento ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti d'imposta

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 22 maggio 2014 il Tribunale di Lecco condannò G.C., quale amministratore della S.r.l. O., alla pena di mesi dodici di reclusione, in relazione ai reati di cui agli artt. 10 ter d.lgs. n. 74 del 2000 (per avere omesso di versare l'imposta sul valore aggiunto per l'anno 2009, pari a complessivi euro 137.764, capo 2 della rubrica), 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000 (per avere omesso di versare le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti d'imposta nell'anno 2010, pari a complessivi euro 110.528,40, capo 3 della rubrica), e 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000 (per aver omesso di versare le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti d'imposta nell'anno 2008, pari a complessivi euro 158.216,91, capo 4 della rubrica).

La Corte d'appello di Milano, investita della impugnazione dell'imputato, ha dato atto della assoluzione del Corti da parte del Tribunale dal reato di cui al capo 1) della rubrica, desumibile in maniera inequivocabile dalla motivazione della sentenza di primo grado, e ha disatteso la prospettazione difensiva a proposito della rilevanza della crisi finanziaria che aveva investito l'impresa amministrata dall'imputato, sia in relazione al reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto di cui all'art. 10 ter d.lgs. n. 74 del 2000, sia con riferimento agli omessi versamenti di ritenute certificate operate negli anni 2008 e 2010, e dunque al reato di cui all'art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000, sottolineando la mancata dimostrazione della adozione di tutte le possibili iniziative per poter provvedere alla corresponsione delle imposte dovute nonostante lo stato di crisi.

E' stata, inoltre, disattesa la censura relativa alla mancata dimostrazione dell'effettiva corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti e della consegna delle relative certificazioni, ritenendone prova sufficiente quanto emergente dal modello 770 redatto dallo stesso imputato.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, affidato a tre motivi, così enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.

2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione degli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. n. 74 del 2000, per la mancata considerazione da parte della Corte d'appello della insussistenza dell'elemento psicologico dei reati ascrittigli, non essendo state adeguatamente valutate dalla Corte territoriale le difficoltà finanziarie della società amministrata dal ricorrente, che gli avevano impedito di provvedere ai versamenti dell'Iva e delle ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti. Nonostante ciò l'imputato si era attivato per salvaguardare i dipendenti e l'attività d'impresa, mettendo a disposizione anche il proprio patrimonio personale e chiedendo alla agenzia Equitalia incaricata della riscossione dei tributi una dilazione rateale dei pagamenti.

2.2. Con un secondo motivo ha prospettato vizio della motivazione a proposito della insufficiente considerazione della adozione di tutte le iniziative volte a provvedere al versamento delle imposte dovute, tra cui la richiesta di rateizzazione del proprio debito avanzata prima della notificazione dei decreti penali di condanna emessi nei suoi confronti, e il pagamento parziale e per alcune mensilità dell'imposta sul valore aggiunto e delle altre imposte dovute.

2.3. Con un terzo motivo ha denunciato ulteriore violazione dell'art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000, per l'insufficienza della sola dichiarazione di cui al modello 770 predisposto dall'imputato ai fini della prova del pagamento delle retribuzioni e del rilascio delle certificazioni ai dipendenti.

3. Con memoria depositata il 3 gennaio 2017 il difensore dell'imputato ha fatto rilevare la sopravvenuta irrilevanza penale delle condotte di cui ai capi 2) e 3) della rubrica, i cui importi risultavano inferiori alle nuove soglie di rilevanza penale stabilite dall'art. 8 d.lgs. n. 158 del 2015.

Ha, inoltre, domandato l'applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, introdotta dall'art. 11 d.lgs. n. 158 del 2015, avendo richiesto alla S.p.a. Equitalia la rateizzazione in 72 mensilità del debito tributario portato dalla cartella emessa nei suoi confronti, con decorrenza dal 15 ottobre 2012 al 15 settembre 2018, provvedendo regolarmente a corrispondere quanto dovuto per ogni rata.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è parzialmente fondato.

2. Va preliminarmente considerato, come peraltro sottolineato anche dal ricorrente nella sua memoria, che l'art. 8 del d.lgs. 24/09/2015 n. 158, entrato in vigore in data 22/10/2015, ha modificato gli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. n. 74 del 2000, nel senso di attribuire rilevanza penale, elevando il precedente limite, unicamente alle condotte di omesso versamento dell'imposta per un ammontare superiore, rispettivamente, a euro 150.000 per gli omessi versamenti di ritenute e ad euro 250.000 per gli omessi versamenti Iva, per ciascun periodo di imposta; va aggiunto che tale modifica, in quanto comportante una disposizione più favorevole rispetto alla precedente, si applica, ex art. 2, comma 4, cod. pen., anche ai fatti posti in essere antecedentemente. Ciò posto, nella specie, l'ammontare non versato è, come da contestazione, pari a euro 137.764 per l'omesso versamento Iva di cui al capo 2) della rubrica e a euro 110.528,40 per l'omesso versamento di ritenute per il periodo d'imposta 2010 di cui al capo 3) della rubrica, importi entrambi inferiori ai limiti di legge di cui sopra.

Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio con la formula «il fatto non sussiste» quanto ai reati di cui ai capi 2) e 3), posto che la soglia di rilevanza penale suddetta deve ritenersi elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo la stessa a definirne il disvalore, e versandosi, dunque, in una ipotesi di mancanza di un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, Vanni, Rv. 265938; conf. Sez. 3, n. 6105 del 18/11/2015, Marchese, Rv. 266273; Sez. 3, n. 35611 del 16/06/2016, Monni, Rv. 268007).

3. Per quanto riguarda la residua imputazione di cui al capo 4) della rubrica, e cioè l'omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti nel 2008 per complessivi euro 158.216,91, ammontare superiore alla attuale soglia di rilevanza stabilita dall'art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000, risultano infondate le doglianze formulate con il primo e il secondo motivo, mediante i quali sono stati prospettati vizio della motivazione e violazione di legge penale a causa della insufficiente considerazione dello stato di grave crisi finanziaria che aveva colpito l'impresa amministrata dall'imputato, al punto tale da determinare una riduzione della metà del fatturato, alla quale il ricorrente aveva cercato di fare fronte salvaguardando i livelli occupazionali, l'avviamento e il konw how dell'impresa.

Va al riguardo ricordato il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte in proposito, secondo cui, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorre l'allegazione e la prova della non addebitabilità all'imputato della crisi economica che ha investito l'impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262).

Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell'inadempimento alla obbligazione verso l'Erario a fatti non imputabili all'imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014).

Ora, nella specie, la crisi economico-finanziaria che investì l'impresa amministrata dall'imputato non fu affatto improvvisa né imprevedibile, avendo avuto inizio sin dal 2007 e andamento negativo costante, con una progressiva riduzione del fatturato, e l'imputato non ha illustrato le iniziative via via adottate nel corso di tale crisi, onde dimostrare l'incolpevolezza della crisi di liquidità che gli avrebbe impedito in modo assoluto di adempiere l'obbligazione tributaria.

Tale inadempimento risulta, invece, proprio sulla base della prospettazione difensiva dell'imputato, riconducibile a una sua precisa scelta imprenditoriale e non a una situazione di obiettiva e assoluta impossibilità, tale da escluderne la volontarietà e dunque la riconducibilità a una libera volizione dell'imputato, in quanto quest'ultimo, in presenza di una crisi economico-finanziaria, scelse consapevolmente di mantenere i medesimi livelli occupazionali e retributivi e la stessa organizzazione dell'attività d'impresa, sia pure allo scopo di non perdere l'avviamento e il konw how altamente specializzato di detta impresa, omettendo di corrispondere all'Erario le ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte, senza perseguire alcuna altra via per fronteggiare tale crisi e ripartirne in modo omogeneo ed equilibrato il peso (ricorrendo ad accordi per la riduzione temporanea e parziale dei livelli occupazionali e retributivi): ne consegue che la omissione addebitata all'imputato deve ritenersi frutto di una sua libera determinazione, sia pure ispirata alla volontà di salvaguardare l'attività di impresa e i livelli di occupazione, ma che ha comportato l'inadempimento alle obbligazioni tributarie nei confronti dello Stato, con la conseguente corretta configurazione del residuo reato ascrittogli e l'insussistenza del vizio di illogicità della motivazione denunciato, avendo la Corte territoriale correttamente sottolineato, sulla scorta del ricordato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, la mancata adozione di iniziative volte a evitare di non riversare esclusivamente sull'Erario l'aggravio della crisi finanziaria che colpì l'impresa amministrata dall'imputato.

4. Il terzo motivo, mediante il quale è stata prospettata l'insufficienza di quanto emergente dalla dichiarazione Mod. 770 predisposta dall'imputato per consentire di ritenere provato il rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti l'ammontare delle ritenute, è inammissibile a causa della sua genericità, essendo riproduttivo di identica censura formulata con l'atto d'appello e privo del necessario confronto critico con la motivazione sul punto della sentenza impugnata, nella quale sono state sottolineate la portata confessoria di tale modello (che l'imputato non ha neppure affermato di non aver predisposto né sottoscritto), oltre che la sua valenza indiziaria riguardo alla consegna delle certificazioni, che l'imputato non ha negato, con la conseguente inammissibilità della doglianza a causa della mancanza della necessaria specificità, consistendo nella mera riproposizione di doglianze motivatamente disattese dalla Corte d'appello, con argomenti con cui il ricorrente ha omesso di confrontarsi.

5. La richiesta di applicazione dell'art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall'art. 11 d.lgs. n. 158 del 2015, richiede accertamenti in fatto che sono preclusi a questa Corte di legittimità e debbono, dunque, essere demandati ai giudici del merito.

La disposizione invocata dal ricorrente prevede attualmente che: "I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. I reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sennpreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell'applicabilità dell'articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione".

Tale disposizione è stata ritenuta applicabile anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, sia già stato aperto il dibattimento, giacché, diversamente, si determinerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali (e cioè relative a soggetti che abbiano aderito alle speciali procedure conciliative e di adesione e abbiano in corso i relativi pagamenti), in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di legittimità costituzionale (cfr. Sez. 3, n. 40314 del 30/03/2016, Fregolent, Rv. 267807), sicché la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, affinché accerti se i pagamenti eseguiti dall'imputato abbiano comportato l'estinzione del debito tributario relativo al reato di cui al capo 4) della rubrica, e sussistano di conseguenza i presupposti di applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000 invocata dal ricorrente.

6. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio la sentenza impugnata quanto ai reati di cui ai capi 2) e 3) perché i relativi fatti non sussistono e con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, quanto all'eventuale applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000 in riferimento al reato di cui al capo 4) e quanto all'eventuale rideternninazione della pena, e il ricorso deve, nel resto, essere rigettato.

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto ai reati di cui ai capi 2) e 3) perché il fatto non sussiste e con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, quanto all'eventuale applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000 in riferimento al reato di cui al capo 4) e quanto all'eventuale rideterminazione della pena.

Rigetta nel resto.