Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 ottobre 2016, n. 21992

Provvedimento espulsivo - Danno patrimoniale, biologico ed esistenziale - Risarcimento - Richiesta - Prescrizione

Svolgimento del processo

 

Con sentenza n. 2613/2010, depositata il 5 novembre 2010, la Corte di appello di Lecce respingeva il gravame di C.A.C. e confermava la sentenza del Tribunale di Lecce, che aveva ritenuto prescritto il diritto del ricorrente al risarcimento del danno patrimoniale, biologico ed esistenziale conseguente al provvedimento di destituzione adottato nei suoi confronti dalla Società Trasporti Pubblici di T.O. S.p.A. nel 1987 e dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato con sentenza del 22/6/1996.

La Corte osservava che l'azione di risarcimento danni era stata proposta con ricorso notificato nel novembre 2006 e, pertanto, oltre il termine di prescrizione decennale, decorrente dal provvedimento di destituzione, richiamando l'orientamento, secondo il quale la pendenza di una controversia avente ad oggetto l'accertamento del diritto, la cui lesione venga dedotta come titolo di una pretesa di risarcimento danni, non vale a precludere alla vittima un immediato esercizio dell'azione risarcitoria e, quindi, non è suscettibile di configurarsi come causa impeditiva del decorso della relativa prescrizione; osservava altresì, su tale premessa, l'irrilevanza della questione relativa all'efficacia interruttiva della comunicazione del 7/6/2000, posto che a tale data il diritto al risarcimento era già estinto.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il C. con unico motivo; la società ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2935 c.c. e delle norme in materia di prescrizione, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., censura la sentenza impugnata sotto un duplice profilo: a) per avere la Corte territoriale errato nel ritenere che il termine di prescrizione dovesse cominciare a decorrere fin dalla irrogazione del provvedimento espulsivo, avvenuta nel novembre del 1987, anziché dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 778/96 del 22/6/1996, che aveva definito la controversia, posto che solo da tale momento il ricorrente aveva avuto, con il titolo formato dalla sentenza, la possibilità di far valere il suo diritto al risarcimento; b) per avere la Corte erroneamente ritenuto priva di efficacia interruttiva del decorso del termine la lettera raccomanda del 7/6/2000, con la quale egli aveva avanzato richiesta di risarcimento danni.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già avuto plurime occasioni di precisare che "la disposizione dell'art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di far valere il diritto, e quindi agli impedimenti di ordine giuridico e non già a quelli di mero fatto. Pertanto, la pendenza di una controversia avente ad oggetto l'accertamento del diritto la cui lesione venga dedotta come titolo di una pretesa di risarcimento di danni, non vale a precludere alla vittima un immediato esercizio dell'azione risarcitola e, quindi, non è suscettibile di configurarsi come causa impeditiva del decorso della relativa prescrizione" (Cass. n. 8720/2004).

L'orientamento, per il quale la disposizione di cui all'art. 2935 c.c. ha riguardo alla sola possibilità legale dell'esercizio del diritto, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilità di fatto in cui venga a trovarsi il titolare, è consolidato e risalente nella giurisprudenza di legittimità: cfr. in tal senso già Cass. n. 3222/1968; conformi ex multis Cass. n. 5682/1985, Cass. n. 8797/1990, Cass. n. 2429/1994.

Sulla natura di impedimento di fatto specificamente riconosciuta alla pendenza di una controversia avente ad oggetto l'accertamento di un diritto cfr. anche, oltre alla pronuncia sopra richiamata, Cass. n. 7645/1994 e Cass. n. 26755/2006, la quale ha ribadito il principio, in termini generali, anche per i giudizi risarcitori nei confronti della P.A..

A tali principi si è attenuta, facendo decorrere il termine della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni dal provvedimento di destituzione dal servizio disposto nel 1987, anziché dalla pronuncia del Consiglio di Stato del 1996, la sentenza impugnata, la quale, pertanto, va del tutto esente dalla censura che le è stata mossa sub a).

Con riguardo, poi, al profilo di censura sub b), è del tutto evidente che la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito (irrilevanza ai fini interruttivi della comunicazione in data 7/6/2000, in quanto posteriore al decorso del termine prescrizionale) si pone come mero, quanto logicamente conseguente, corollario dell'(esatta) interpretazione dell'art. 2935 c.c. adottata dalla stessa Corte, sicché anche sotto il particolare profilo in esame nessuna critica può essere rivolta alla sentenza impugnata.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e, tenuto conto del valore della controversia, si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.