Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 aprile 2018, n. 10207

Tributi - Accertamento analitico induttivo - Attività di bar - Presunzioni - Quantità di caffè venduto in base alla grammatura della singola tazzina - Ricarico dei prodotti al minimo previsto dal settore - Onere di prova contraria a carico del contribuente

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 18/11/2011, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l'appello proposto dalla Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia n. 273/02/2009 della Commissione tributaria provinciale di Benevento, con la quale era stato annullato un atto impositivo a carico di G. M.. A parere del Collegio, l'Agenzia appellante - oltre a non aver proposto censure puntuali alla prima sentenza - avrebbe quantificato i ricavi derivanti dalla vendita di caffè con un criterio meramente empirico (8 grammi a tazzina) e senza tener conto di plurimi, ulteriori elementi negativi, tali da incidere sull'ammontare dei ricavi stessi; ancora, quanto al ricarico del 100% sugli altri prodotti venduti nel bar, l'appellante non avrebbe rispettato i principi di cui alla circolare n. 185/2000 e, in particolare, non avrebbe allegato l'elenco analitico delle merci.

2. Propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate, deducendo i seguenti motivi:

- violazione e falsa applicazione dell'art. 53, comma 1, d. Igs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, cod. proc. civ.. Contrariamente all'assunto della Commissione regionale, l'atto di appello conterrebbe puntuali doglianze alla motivazione della prima decisione, come da stralci che il gravame riporta;

- violazione dell'art. 39, comma 2, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, in combinato disposto con l'art. 2697 cod. civ. e con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza non avrebbe considerato che, in materia di prova presuntiva, sarebbe sufficiente anche un unico fatto noto, quando i suoi aspetti siano chiaramente ed univocamente concordanti sul verificarsi del fatto ignoto; proprio come nel caso di specie, nel quale il primo sarebbe costituito dal consumo di caffè, in sé pacifico, e sulla base di questo sarebbero stati poi accertati i ricavi. Ciò, peraltro, portando da 7 a 8 i grammi indicati come necessari per una tazzina di caffè, nonché applicando una percentuale di ricarico - sugli altri prodotti - pari al 100%, ossia inferiore a quella mediamente applicata. Criteri, peraltro, sui quali il M. non avrebbe speso considerazioni, non allegando elementi di segno contrario, come invece suo onere a fronte di prova per presunzioni;

- insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.. La sentenza non indicherebbe da quale fonte avrebbe tratto la misura del calcolo degli sfridi, né le ulteriori considerazioni in ordine al caffè non venduto; si ribadisce, inoltre, che la percentuale di ricarico del 100% (applicata dall'Agenzia e mai smentita dal ricorrente) costituirebbe il minimo previsto dagli studi di settore, e sarebbe ben inferiore a quella del 279% risultante dalla parte 11 della circolare n. 185 del 2000, ampiamente rispettata nel calcolo effettuato dall'Ufficio, contrariamente a quanto affermato in sentenza.

Con controricorso ritualmente depositato, e successiva memoria, il M. ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e, comunque, rigettarlo.

 

Considerato in diritto

 

3. Il gravame merita accoglimento.

Per quanto riguarda il primo motivo, lo stesso risulta fondato, sebbene di fatto irrilevante; ed invero, premesso che - come legittimamente verificato da questa Corte - le doglianze proposte dall'Agenzia non rivestivano carattere generico ed aspecifico, ma sufficientemente puntuale, devesi osservare che la Commissione regionale - pur pervenuta a differente giudizio - ha comunque affrontato nel merito le questioni alla stessa sottoposte (all'evidenza, quindi, di adeguato contenuto), sì che la doglianza appare priva di decisivo rilievo.

4. Per quanto poi concerne il secondo motivo, il controricorrente assume trattarsi di censura inammissibile, poiché volta ad ottenere in questa sede una nuova indagine sul fatto oggetto di giudizio (grammi di caffè impiegati per una tazzina; calcolo della percentuale di ricarico); orbene, tale assunto non sembra condivisibile.

La sentenza impugnata, infatti, ha obliterato del tutto il criterio impiegato dall'Agenzia delle Entrate per l'individuazione dei consumi di caffè (e, quindi, dei redditi prodotti), ossia l'elemento noto - non controverso - costituito dal confronto tra le rimanenze iniziali di materiale presenti in bilancio, le fatture di acquisto rilevate nell'anno di interesse e le rimanenze di fine esercizio; acquisito, in tal modo, un dato quantitativo certo, sullo stesso è stato quindi applicato un criterio comune di consumo (8 grammi a tazza), sì da pervenire ad una presunzione di reddito nei termini poi contestati al contribuente. Presunzione che, pertanto, quest'ultimo avrebbe avuto onere di superare, senza che di ciò, tuttavia, risulti traccia in sentenza; in violazione, quindi, del costante indirizzo di legittimità in forza del quale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico - induttivo del reddito d'impresa, ai sensi dell'art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all'ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici - purché gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente stesso (Sez. 5, n. 7871 del 18/5/2012, Rv. 622907-01; Sez. 5, n. 6852 del 20/3/2009, Rv. 607154-01).

La radicale, omessa valutazione del criterio suddetto costituisce, dunque, una violazione dell'appena citato art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 (in uno con l'art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972), a mente del quale l'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti; norma che la sentenza non ha preso affatto in esame, sì da doversi accogliere la seconda censura.

5. Nei medesimi termini, poi, conclude la Corte anche quanto alla terza doglianza, con la quale si contesta il vizio motivazionale con riguardo ai criteri impiegati in sentenza per "abbattere" il consumo presunto di caffè e, pertanto, i ricavi del contribuente. Ed invero, le "circostanze negative fattuali" indicate dalla Commissione (dal calcolo dello sfrido al 10% alla mancata somministrazione dei primi caffè della giornata; dall'impiego di parte del caffè per i cappuccini alla vendita del prodotto anche in confezioni) risultano non solo oggetto di mera elencazione, del tutto astratta e priva di riferimenti concreti, ma anche - ed a monte - scevre da qualsivoglia indicazione in punto di fonte, sì da non potersi comprendere da dove la Commissione le abbia concretamente tratte. E fermo restando, peraltro, che lo stesso motivo di gravame deve esser accolto anche nell'ulteriore sviluppo, laddove si contesta che le percentuali medie di ricarico impiegate dall'Agenzia sarebbero state individuate in assenza di riferimenti alla circolare n. 185 del 13/10/2000 (per contro, prodotta con l'atto di appello ed espressamente richiamata nel presente gravame) e, soprattutto, in termini superiori; quanto al caffè in tazza, ad esempio, l'Agenzia aveva pacificamente applicato un ricarico del solo 100%, pur a fronte di una percentuale del 502%, per come riportata nella citata circolare. Dal che, il vizio motivazionale denunciato, ravvisabile nel passaggio con il quale la sentenza ha erroneamente contestato la mancata allegazione (id est: il mancato utilizzo) del medesimo documento amministrativo.

6. In forza di quanto precede, dunque, il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, per nuovo giudizio, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.