Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 maggio 2017, n. 13479

Indennità di reperibilità - Differenze retributive

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata il 21.6.2011 la Corte d'appello di Napoli, ha riformato la sentenza del Tribunale di Avellino che aveva accolto la domanda proposta da B.G., dipendente del Ministero per i Beni e le Attività culturali - Sovrintendenza per i Beni archeologici della provincia di Salerno-Avellino-Benevento, per l'accertamento del diritto all'indennità di reperibilità con decorrenza dall'anno 1987, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive, oltre accessori di legge.

La Corte, in sintesi, ha osservato che l'istituto dell'indennità di reperibilità non può ritenersi attualmente operativo essendo mancata, a livello decentrato, la procedura di informazione e confronto con le organizzazioni sindacali (come richiesto dagli artt. 7, 8 e 19, comma 2 del c.c.n.I. comparto Ministeri 16.5.1995); ha aggiunto che è rimasta indimostrata la soggezione del B. ad un preciso obbligo di disponibilità (con correlative sanzioni in caso di inottemperanza e fruizione di riposi o altri benefici compensativi di recupero), risultando esclusivamente una disponibilità connessa alle mansioni di addetto ai servizi di vigilanza del sito di Avella, disponibilità che veniva retribuita, come lavoro straordinario, in caso chiamata da parte della Stazione dei Carabinieri per problemi di funzionamento concernenti il sistema di allarme del sito stesso.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il lavoratore con un motivo a sua volta articolato in plurime censure, ulteriormente illustrate da memoria ex art. 378 cod.proc.civ. Resiste il Ministero con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l'unico motivo il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione - ultra petizione - nullità - omessa, contraddittoria ed inefficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione all'art. 360 n. 3 cod.proc.civ.», essendo la Corte territoriale incorsa nel vizio di ultrapetizione a fronte di un unico motivo di appello proposto dal Ministero (viene trascritta una parte preliminare) e concernente una scorretta interpretazione della norma. Inoltre, la sentenza: contiene un errore materiale (avendo, la Corte distrettuale, ritenuto che non vi era un ordine gerarchico all'obbligo di reperibilità essendoci, invece, «l'ordine di servizio del 19/3/1997» nonché «un intero carteggio»); opera una distinzione tra reperibilità e disponibilità che è leziosa, essendo la disponibilità parte della reperibilità e distinta dal lavoro straordinario; da atto che i fatti sono certi ed incontestati. La quantificazione dell'indennità non era contestata, come ha rilevato il giudice di prime cure; la reperibilità e la relativa indennità è oggetto solamente di contrattazione di livello nazionale, come previsto dall'art. 4 «del C.C.N.L.», essendo stato altresì previsto, «all'art. 11», un fondo unico per il finanziamento; il suddetto istituto è disciplinato dall'art. 8 del c.c.n.I. 16.5.1995, che stabilisce altresì la somma di lire 33.600.

2. Il motivo non è fondato.

L'eccezione di ultrapetizione prospettata dal ricorrente non appare fondata essendo stato devoluta alla Corte distrettuale tutta la questione dell'indennità di reperibilità.

La Corte distrettuale enuncia, invero, la proposizione di tre motivi di appello da parte del Ministero (pag. 3 della sentenza) concernenti - il primo - la scorretta interpretazione delle norme applicabili in materia a fronte dell'inclusione del compito di custodia dei beni, con obbligo di reperibilità, nell'ambito delle mansioni degli addetti al servizio di vigilanza e della mancanza di ordini di servizio che imponessero al B. di conferire con i Carabinieri per la verifica di effrazioni al sistema di allarme del sito di Avella; il secondo motivo concernente la mancata applicazione, a livello decentrata, dell'istituto della reperibilità; il terzo motivo relativo all'eccezione di prescrizione quinquennale.

Il tema decisionale devoluto alla Corte distrettuale e delimitato dai motivi esposti nella sentenza impugnata prospettava, pertanto, ragioni di censura che sono state accolte in sede di appello con particolare riguardo al profilo di diritto attinente alla fonte contrattuale di disciplina dell'istituto e alla questione di merito concernente la sussunzione di determinati compiti nella mansione di addetto ai servizi di vigilanza.

Le ulteriori censure prospettate dal ricorrente presentano profili di inammissibilità ove si consideri che: non sono indicate, né nella rubrica né nel corpo del motivo, le norme che si assumono violate, posto che il ricorrente fa rinvio al n. 3 dell'art. 360 cod.proc.civ.; la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso sia l'integrale contenuto dell'atto di appello del Ministero sia gli ordini di servizio (nella specie quello del 19/3/1997) che prevedevano l'obbligo di reperibilità per il B.; vengono ricondotte sotto l'archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale; né può rinvenirsi un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice.

3. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità alla controparte, liquidate in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.