Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 marzo 2017, n. 6985

Licenziamento - Per giusta causa - Configurabilità - Lesione del vincolo fiduciario - Proporzionalità della sanzione

 

Svolgimento del processo

 

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza depositata il 4/8/2014, in riforma della sentenza resa il 4/2/2014 dal Tribunale della stessa sede, annullava il licenziamento intimato da (...) S.p.A. a (...) con lettera del 28/3/12, ordinando alla (...) di reintegrare il (...) nel posto di lavoro e di corrispondergli, a titolo di risarcimento del danno, una indennità pari alla retribuzione globale di fatto dell’importo di Euro 2.597,89 mensili dal 28/3/12 alla data della reintegrazione, oltre accessori di legge e versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti per il periodo dal licenziamento alla reintegrazione.

Per la cassazione della sentenza ricorre la (...) SpA. articolando quattro motivi.

Il (...) resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale articolando due motivi e ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi, cui resiste, a sua volta, la (...) con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 del codice di rito.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo la società ricorrente, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.1175, 1375, 1455, 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., in riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., lamentando che la Corte di merito abbia ritenuto sproporzionato il licenziamento intimato al (...), andando in contrasto con i principi che, con consolidato orientamento, questa Corte ha nel tempo cristallizzato in numerose pronunzie afferenti all’art. 2119 c.c., secondo cui, nel caso di giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro ed in particolare del vincolo fiduciario.

1.1 II motivo non è fondato.

Va, innanzitutto, osservato che la giusta causa di licenziamento è una nozione di legge che si viene ad inscrivere in un ambito di disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi "normativi" e di clausole generali (Generalklauseln) - correttezza (art. 1175 c.c.); obbligo di fedeltà, lealtà, buona fede (art. 1375 c.c); giusta causa, appunto (art. 2119 c.c.) - il cui contenuto, elastico ed indeterminato, richiede, nel momento giudiziale e sullo sfondo di quella che è stata definita la "spirale ermeneutica" (tra fatto e diritto), di essere integrato, colmato, sia sul piano della quaestio facti che della quaestio iuris, attraverso il contributo dell’interprete, mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza sociale o dal costume o dall'ordinamento giuridico o da regole proprie di determinate cerchie sociali o di particolari discipline o arti o professioni, alla cui stregua poter adeguatamente individuare e delibare altresì le circostanze più concludenti e più pertinenti rispetto a quelle regole, a quelle valutazioni, a quei giudizi di valore, e tali non solo da contribuire, mediante la loro sussunzione, alla prospettazione e configurabilità della tota res (realtà fattuale e regulae iuris), ma da consentire inoltre al giudice di pervenire, sulla scorta di detta complessa realtà, alla soluzione più conforme al diritto, oltre che più ragionevole e consona.

Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica, come in più occasioni sottolineato da questa Corte, e la disapplicazione delle stesse è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. Pertanto, l'accertamento della ricorrenza, in concreto, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, è sindacabile nel giudizio di legittimità, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli "standards" conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale (Cass. n. 25044/15; Cass. n. 8367/2014; Cass. n. 5095/11). E ciò, in quanto, il giudizio di legittimità deve estendersi pienamente, e non solo per i profili riguardanti la logicità e la completezza della motivazione, al modo in cui il giudice di merito abbia in concreto applicato una clausola generale, perché nel farlo compie, appunto, un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma, dando concretezza a quella parte mobile della stessa che il legislatore ha introdotto per consentire l’adeguamento ai mutamenti del contesto storico-sociale (Cass., S.U., n. 2572/2012).

E le censure formulate alla sentenza della Corte di merito non appaiono conferenti poiché non evidenziano in modo puntuale gli "standards" dai quali il Collegio di merito si sarebbe discostato. Mentre il procedimento di sussunzione appare correttamente operato proprio nella valutazione delle specificazioni del parametro normativo e della corretta dosimetria della proporzionalità della sanzione disciplinare da applicare nel caso di giusta causa di licenziamento.

2. Con il secondo motivo si censura, sempre in riferimento all’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729, 2730, 115 e 116 c.p.c., lamentando la non correttezza della decisione laddove, "nonostante il (...) non abbia provato di avere agito sulla base di un’autorizzazione del direttore della filiale, in considerazione del contesto emerso dagli atti e dall’istruttoria, non è inverosimile che lo stesso abbia potuto ritenere che l’utilizzo del conto inattivo costituisse irregolarità tollerata dalla datrice di lavoro al fine di ottenere un incremento del portafoglio dei prodotti assicurativi commercializzati".

2.1 II motivo è inammissibile, perché con esso si tende ad ottenere una nuova valutazione dei fatti che, in questa sede non può trovare accesso. Con esso, in sostanza si censura la valutazione e non il riparto dell’onere della prova. Alla stregua dei più recenti arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr., Cass. n 13983/14), una violazione dell’art. 115 c.p.c. è configurabile solo nell’ipotesi in cui il giudice ometta di valutare le risultanze istruttorie indicate dalla parte come decisive e non sussiste violazione dell’art. 116 c.p.c. laddove il giudice indichi, come è avvenuto nella fattispecie, con motivazione logica ed esauriente, quali siano le ragioni della ritenuta decisività di alcune istanze istruttorie rispetto alle altre.

3. Con il terzo motivo si censura, in riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, avendo la Corte di Appello fondato, a parere della ricorrente, la propria decisione sulla rilevabile attenuazione dell’intensità dell’elemento soggettivo pur in assenza di prova circa un’autorizzazione che sarebbe stata fornita al (...) dai superiori della (...).

3.1 Neppure questo motivo può essere accolto.

Invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 4 agosto 2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n, 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza "così radicale da comportare" in linea con "quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione".

E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue in ordine alla valutazione degli elementi posti a base della sua decisione, valutando, come innanzi rappresentato tutti gli "standards" ed effettuando una equa valutazione dosimetrica della proporzionalità della sanzione.

4. Con il quarto motivo si deduce, in riferimento all’art. 360, n 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, co. 42 della legge 92/2012 e 11 delle preleggi, e si lamenta che la Corte territoriale non abbia applicato l’art. 18 della legge 300/1970 nei termini temporalmente modificati dalla legge n. 92/2012. Il recesso sarebbe stato intimato al (...) prima dell’entrata in vigore di quest’ultima legge, mentre la pronuncia di illegittimità ricadrebbe nella vigenza di quest’ultima. A parere della ricorrente vi sarebbe, quindi, violazione dell’art. 11 delle preleggi, perché essendo la sentenza successiva alla legge n. 92, i giudici avrebbero dovuto conformarsi a tali nuove disposizioni.

4.1 Il motivo non è fondato, in quanto l’art. 1, comma 42 della legge n. 92/12, trattandosi di disciplina sostanziale deve necessariamente applicarsi alle fattispecie sorte dal momento della sua entrata in vigore, cioè dal 18/7/12; per la qual cosa ne rimane senza alcun dubbio escluso il licenziamento di cui si tratta perché intimato il 28/3/12, come risulta, appunto dalla lettera di recesso della Banca.

Il ricorso principale dunque é da respingere con assorbimento del ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi (con i quali si censura la violazione dell’art. 2119 c.c. e del principio di immediatezza della contestazione, nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360, n. 3 c.p.c.).

Parimenti da respingere è il ricorso incidentale, articolato in due motivi, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in riferimento all’art. 360, n. 3 c.p.c., nonché la nullità della sentenza in punto di regolamento delle spese, non essendo state esplicitate le ragioni della compensazione delle stesse, pur in danno di una parte vittoriosa.

In realtà, la Corte di merito ha indicato compiutamente le ragioni che hanno condotto alla compensazione, nel pieno rispetto del dettato codicistico, reputando che la complessità interpretativa della vicenda fattuale e giuridica in ordine alla quale ha ampiamente motivato, fossero un motivo plausibile per disporre la compensazione.

Pertanto, neppure il ricorso incidentale può trovare accoglimento.

Le spese vanno compensate in ragione dell’esito del giudizio,

Avuto riguardo alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, sia per il ricorrente principale che per quello incidentale.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; dichiara assorbito l’incidentale condizionato e compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.