Giurisprudenza - TRIBUNALE DI TORINO - Ordinanza 27 settembre 2016

Previdenza e assistenza - Trattamenti pensionistici - Riconoscimento della perequazione per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il minimo INPS, relativa agli anni 2012-2013 come determinata dall'art. 24, comma 25, del decreto-legge n. 201 del 2011, nella misura del 20 per cento negli anni 2014-2015 e del 50 per cento a decorrere dall'anno 2016

 

Il ricorrente è titolare di pensione Vobanc numero (...), di importo superiore a sei volte il minimo, con decorrenza 1° luglio 2012. Per effetto dell'art. 24, comma 25, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, non ha usufruito della perequazione automatica per l'anno 2013: la norma in questione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale e la fattispecie è stata nuovamente disciplinata dal decreto-legge n. 65/2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109/2015.

 Il nuovo comma 25 introdotto da tale ultima disposizione legislativa prevede, per quanto qui interessa (ossia per coloro che percepiscono una pensione superiore a sei volte il trattamento minimo I.N.P.S.), l'esclusione dalla rivalutazione per gli anni 2012 e 2013. In altre parole, la situazione del lavoratore non è affatto cambiata, nonostante la sentenza della Corte costituzionale già citata che aveva dichiarato illegittimo l'originario art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011. Il blocco della rivalutazione, con riferimento alle pensioni di valore superiore a sei volte il minimo I.N.P.S., veniva poi prolungato per gli anni successivi dal comma 25-bis, il quale disponeva che «La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo I.N.P.S. è riconosciuta:

 a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento;

 b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento».

 Proponeva l'odierno ricorso al fine di ottenere il pagamento della differenza tra quanto effettivamente percepito, a seguito del blocco della rivalutazione, con quanto avrebbe avuto diritto applicando la rivalutazione automatica per il periodo dal 2013 sino al luglio 2015.

 Chiedeva di sollevare questione di legittimità costituzionale in merito all'art. 24, commi 25 e 25-bis, così come introdotti dall'art. 1 decreto-legge n. 65/2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109/2015.

Rilevanza

Il ricorrente, sulla base del meccanismo di rivalutazione automatica delle pensioni, come introdotto dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, avrebbe diritto alla rivalutazione annua del trattamento pensionistico percepito. La rivalutazione della propria pensione era stata bloccata per l'anno 2013 (egli gode della pensione dal 2012) dall'art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011; la norma era stata dichiarata incostituzionale con la sentenza della Consulta n. 70/2015.

 Il legislatore, con decreto-legge n. 65/2015, che si apre affermando «Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di provvedere in materia di rivalutazione automatica delle pensioni al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015» e che quindi si pone come strumento normativo di attuazione di tale pronuncia, ha modificato l'art. 24, comma 25 dichiarato incostituzionale e ha aggiunto il comma 25-bis.

 Tali norme prevedono: art. 24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011: «La rivalutazione automatica  dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, è riconosciuta:

(...)

e) non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo I.N.P.S. con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi»;

 comma 25-bis: «La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo I.N.P.S. è riconosciuta:

a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento;

b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento».

Il ricorrente è titolare di trattamento pensionistico di oltre sei volte superiore al minimo I.N.P.S.: pertanto, la rivalutazione della propria pensione è nuovamente esclusa dalla nuova normativa introdotta a seguito della sentenza n. 70/2015.

 Con la domanda proposta in giudizio, chiede l'applicazione della rivalutazione sulla propria pensione a decorrere dal 2013; l'I.N.P.S., applicando le norme ora esaminate, l'ha del tutto esclusa.

La rilevanza della questione è quindi evidente: nel caso in cui la norma venga ritenuta costituzionalmente legittima, il ricorso non può che essere rigettato, in quanto la domanda avanzata in giudizio trova la sua diretta negazione nella legge, che esclude ogni rivalutazione per le pensioni di importo di oltre sei volte rispetto al trattamento minimo I.N.P.S. (come quella del ricorrente) non solo per gli anni 2012 e 2013, ma anche per gli anni successivi. Infatti, per gli anni 2012 e 2013 la rivalutazione è esclusa dall'art. 24, comma 25, lettera e), introdotto dal decreto-legge n. 65/2015 e sopra riportato; per gli anni successivi, la rivalutazione è esclusa dal comma 25-bis dello stesso articolo. Tale seconda disposizione riconosce la rivalutazione nel limite prima del 20% (anni 2014 e 2015) e poi del 50% (2016 in poi ) rispetto ai criteri stabiliti dal precedente comma 25: è evidente che, essendo la rivalutazione spettante al ricorrente pari a zero, la pensione da lui goduta continuerà a non essere rivalutata in futuro.

 Al contrario, nel caso in cui le norme vengano dichiarate costituzionalmente illegittime, la domanda dovrà essere accolta, in quanto la rivalutazione della pensione dovrà avvenire secondo i criteri già stabiliti. Il ricorrente ha specificato nel ricorso il beneficio economico di cui avrebbe diritto, limitandone la quantificazione al luglio 2015: l'importo, non contestato dall'I.N.P.S., è pari a € 2.833,40. 

Vi è quindi un evidente interesse economico del ricorrente alla rimozione della normativa in oggetto, la quale deve necessariamente essere presa in considerazione dal giudice al fine della decisione della causa.

 Non appare possibile addivenire ad alcuna interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, le quali sono chiare nello stabilire che la rivalutazione, per le pensioni oltre sei volte il trattamento minimo, è esclusa. 

 Non manifesta infondatezza

 Premesso che, ovviamente, la valutazione della costituzionalità della norma è rimessa alla Consulta, si evidenzia che sussistono quantomeno seri dubbi di legittimità delle disposizioni riportate, per il contrasto con alcune norme di rango costituzionale. 

1. Per quanto riguarda il comma 25, si ritiene manifestamente infondata la questione relativamente al contrasto con gli articoli 36 e 38 della Costituzione: infatti, non si può ritenere che il blocco della rivalutazione per due anni, in una situazione di inflazione molto vicina allo zero (nell'anno 2013, il primo per cui il ricorrente poteva godere della rivalutazione, l'inflazione è stata pari al 1,1% (1) , sia tale da compromettere gli interessi richiamati nella sentenza n. 70/2015, ossia «L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata». Le pensioni per cui la nuova norma prevede il blocco della rivalutazione (superiori a sei volte il trattamento minimo previsto dall'I.N.P.S.) garantiscono importi sufficientemente elevati da consentire una vita dignitosa, anche escludendo la rivalutazione per gli anni 2012 e 2013.

 Non pare quindi che si possa essere alcuna violazione dell'art. 38 della Costituzione, poiché, nonostante il blocco della rivalutazione, anche per questi due anni lo Stato continua a garantire «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».

 Lo stesso ragionamento deve essere fatto con riferimento al comma 25-bis, che dispone per gli anni 2014 e seguenti il prolungamento del blocco della rivalutazione per le pensioni di importo sei volte superiore al minimo: peraltro, la disposizione può ritenersi illegittima, dal punto di vista costituzionale, solo laddove vi sia un effettivo impoverimento dei pensionati, al punto che sia violata l'esigenza di garantire loro dei mezzi adeguati o che la pensione goduta non si possa più ritenere proporzionata alla contribuzione versata, secondo l'interpretazione congiunta degli articoli 36 e 38 della Costituzione che la Corte ha richiamato anche nella sentenza n. 70/2015.

 Infatti, se dal punto di vista teorico il blocco della rivalutazione potrebbe causare un pregiudizio ai pensionati per la perdita del potere d'acquisto degli importi erogati dall'I.N.P.S., sotto il profilo concreto si devono di nuovo richiamare i dati diffusi dall'Istat, che descrivono un andamento inflazionale in deciso ribasso, con un'inflazione dello 0,2% nel 2014 e addirittura una deflazione del 0,1% nel 2015; nuovamente, non viene in evidenza alcun effettivo pregiudizio, tale da far ritenere la norma costituzionalmente legittima.

 2. Si ritiene invece non manifestamente infondata la questione di costituzionalità proposta con riferimento al contrasto con l'art. 136 della Costituzione dell'art. 24, comma 25-bis. La sentenza n. 70/2015 è stata chiara nel sancire il seguente principio, già conclamato in precedenti pronunce, secondo cui «la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, "esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità", poiché risulterebbe incrinata la principale finalità di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d'acquisto delle pensioni» (2) .

 Ebbene, il comma 25-bis già richiamato, che prevede che per gli anni 2014 e seguenti si applicherà «il meccanismo stabilito  dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25», con successivi decrementi percentuali prima del 20% e poi del 50%, non fa altro che bloccare la rivalutazione delle pensioni il cui importo sia oltre sei volte il minimo previsto dall'I.N.P.S., con ciò contravvenendo al monito della Corte costituzionale, secondo il quale il blocco del meccanismo perequativo deve essere necessariamente contenuto nel tempo.

 Si ritiene quindi che questa questione non sia manifestamente infondata e debba essere sottoposta all'attenzione della Consulta.

(1) Secondo i dati dell'Istat, che si possono ritenere notori.

(2) Corte costituzionale, sentenza n. 70/2015, che richiama uno stralcio della sentenza n. 316 del 2010.

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 23 legge n. 53/1987: accertata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, sospende il giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale affinché la stessa si pronunci, adottando i provvedimenti di competenza, in merito alla costituzionalità dell'art. 24, comma 25-bis, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, introdotto dal decreto-legge n. 65/2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109/2015 per contrasto con l'art. 136 della Costituzione; manda alla cancelleria di notificare il presente provvedimento alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri nonché di comunicarlo ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 01 febbraio 2017, n.5.