Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 novembre 2016, n. 22314

Versamento contributivo - Accertamento ispettivo Inps - Retribuzione virtuale

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza non definitiva n. 492/08 la Corte d'appello di Roma accolse parzialmente l'impugnazione della società F. s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che le aveva dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato il ricorso volto alla declaratoria di illegittimità dell'accertamento ispettivo dell'Inps del 13.3.2000, di nullità della richiesta di pagamento della somma di € 26.955,90 e di insussistenza dell'obbligo di versamento contributivo inerente al periodo dicembre 1995 - gennaio 2000, sotto la voce "retribuzione virtuale".

La Corte d'appello rilevò l'infondatezza della censura riflettente la pretesa insussistenza dell'obbligo contributivo, affermando che doveva applicarsi il principio del cosiddetto "minimo retributivo" finalizzato ad assicurare un minimo di contribuzione ad opera della parte datoriale. La stessa Corte ritenne, invece, fondata la doglianza formulata avverso l'irrogazione delle sanzioni "una tantum" e di quelle aggiuntive, spiegando che era applicabile la più favorevole disposizione di cui all'art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000 entrata in vigore prima che venisse esercitata la potestà sanzionatoria, a nulla rilevando che l'infrazione fosse stata commessa nella vigenza della precedente disciplina sanzionatoria di cui alla legge n. 662/1996.

Con sentenza definitiva del 6/5 - 4/8/2010 la Corte d'appello di Roma ha parzialmente accolto l'opposizione, ha dichiarato la nullità della cartella esattoriale ed ha condannato l'appellante società al pagamento del minor importo di € 22.167,97, dopo aver rilevato che nella fattispecie era ravvisabile un'ipotesi di omissione contributiva e non di evasione.

Per la cassazione della sentenza ricorre l'Inps, anche quale mandatario della S. s.p.a., con due motivi.

Resiste con controricorso la società F. s.r.l che propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato a due motivi.

 

Motivi della decisione

 

1. Col primo motivo del ricorso principale l'Inps deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 116, commi 8 e 18, della legge n. 388/2000 in relazione all'art. 1, commi 217 e 218, della legge n. 662/1996 ed all'art. 11 delle preleggi (art. 360 n. 3 c.p.c.), contestando che nella fattispecie potesse trovare applicazione, così come ritenuto nell'impugnata sentenza, il regime sanzionatorio introdotto dalla legge n. 388/00. Al contrario, la difesa dell'ente fa osservare che le inadempienze oggetto di causa, relative al periodo dicembre 1995 - gennaio 2000, erano state accertate con verbale ispettivo del 10 febbraio/13 marzo 2000, allorquando il regime sanzionatorio applicabile era ancora quello previsto dalla legge n. 662/1996, per cui non avrebbe potuto essere applicato quello nuovo di cui alla legge n. 388/2000 per il solo fatto che nel vigore di quest'ultima disciplina era stato esercitato il potere sanzionatorio.

1.a. Il motivo è fondato.

Infatti, in materia di sanzioni civili (somme aggiuntive) per omissioni contributive, lo ius superveniens (di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, commi 8 e seguenti, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001) ) - che reca disposizioni più favorevoli ai contribuenti - non deroga, neanche implicitamente, al principio generale di irretroattività (di cui all'articolo 11 preleggi), con la conseguenza che - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 19334/2003, e precedenti conformi ivi menzionati, 15136, 15713, 23615/2004, 28295/2005; in senso contrario, pare la sentenza n. 6680/2002, motivatamente confutata, tuttavia, dalla successiva sentenza n. 19334/2003, cit.) - non sono applicabili a violazioni consumate, come nella specie, prima della sua entrata in vigore.

1.b. Parimenti, nella materia degli illeciti amministrativi, i principi di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell'analogia (risultante dalla L. n. 689 del 1981, art. 1) comportano l'assoggettamento della condotta addebitata alla legge del tempo del suo verificarsi, con la conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole (cioè del principio del favor rei) - secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 9889, 14771, 16422, 18761/2005, 16630, 12758, 12654, 10631/2003, 16699/7524/2002) - e, pertanto, la disposizione di cui alla legge n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, che ha abolito tutte le sanzioni amministrative relative a violazioni in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, non opera retroattivamente, non contenendo elementi che possano indurre a ritenere che sia stata conferita retroattività a tale disposizione, con riferimento a fatti che si siano verificati, come nella specie, prima dell'entrata in vigore della norma più favorevole.

1.c. Da ultimo, questa Corte ha ribadito (Sez. L, n. 2112 del 3/2/2016) che "in materia di sanzioni per il ritardato o l'omesso pagamento di contributi previdenziali, resta escluso che in una controversia relativa alle sanzioni civili e interessi per omesso versamento di contributi dovuti all'INPS, possa rilevare lo "ius superveniens" di cui all'art. 116 della I. n. 388 del 2000, contenente norme più favorevoli ai contribuenti, atteso che nessuna di tali disposizioni induce a ritenerne la retroattività e il riferimento del comma 18 dello stesso articolo ai crediti già accertati al 30 settembre 2000 esclude la deroga al principio di irretroattività quanto all'obbligo d'immediato pagamento delle predette sanzioni, limitandosi la norma a prevedere un meccanismo di conguaglio per la differenza tra il dovuto e il calcolato ai sensi dei commi precedenti, (conf. a Sez. L, n. 8651 del 12/04/2010).

2. Col secondo motivo del ricorso principale l'Inps denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1, comma 217, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché il vizio di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), assumendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, la mancata presentazione, da parte del datore di lavoro, dei cc.dd. modelli DM 10, recanti la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali dovuti nella misura di legge, e l'accertamento dell'inadempimento contributivo attraverso l'attività ispettiva dell'istituto previdenziale configuravano, nella vigenza della legge n. 662/1996, la fattispecie dell'evasione di cui all'art. 1, comma 217, lett. b) della stessa legge.

2.a. Il motivo è fondato.

Invero, come hanno già statuito le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 4808 del 7/3/2005), "in tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali e assistenziali, la mancata presentazione del modello DM/10 (recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare) configura la fattispecie della evasione - e non già della semplice omissione - contributiva, ricadente nella previsione della lettera b) dell'art.1, comma secondo, della legge n. 662 del 1996, che commina una sanzione "una tantum" il cui pagamento (alla stregua della modifica apportata al predetto comma secondo dall'art. 59 della legge n. 449 del 1997) può essere evitato effettuando la denuncia della situazione debitoria spontaneamente (prima, cioè, di contestazioni o richieste da parte dell'ente) e comunque entro sei mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi, purché il versamento degli stessi sia poi effettuato entro trenta giorni dalla denuncia (cd. ravvedimento operoso), senza che, "in subiecta materia", spieghi influenza l'entrata in vigore dell'art. 116, commi 8 ss. della legge n. 388 del 2000 (configurante la fattispecie dell'evasione contributiva in termini diversi e più favorevoli al datore di lavoro), attesane la indiscutibile inapplicabilità alle vicende precedenti alla sua entrata in vigore."

2.b. Pertanto, la fattispecie dell'omissione contributiva deve ritenersi limitata all'ipotesi del (solo) mancato pagamento da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie, mentre la mancanza di uno solo degli altri, necessari adempimenti - in quanto strettamente funzionali al regolare svolgimento dei compiti di istituto dell'Ente previdenziale, ed alla tempestiva soddisfazione dei diritti pensionistici dei lavoratori assicurati - è sufficiente ad integrare gli estremi della evasione. Supporta tale conclusione la considerazione - fatta propria dalla citate sentenze nn. 1552/2003 e 5386/2003 - che, diversamente opinando, non troverebbe mai applicazione l'ipotesi particolare - ricadente appunto nella lettera b) e non nella lettera a) secondo l'espressa previsione dell'ultimo periodo dell'art. 1, comma 217, cit. - della spontanea denuncia tardiva (c.d. ravvedimento operoso) entro sei mesi dalla scadenza del termine stabilito per il pagamento dei contributi se il ritardo nella denuncia dovesse equipararsi per ciò solo (e quindi sempre) alla fattispecie del mero mancato o ritardato pagamento dei contributi. E, se è vero che, nel caso di denuncia presentata spontaneamente entro i sei mesi dalla scadenza del termine di adempimento, la sanzione una tantum non è dovuta, realizzandosi una fattispecie di "ravvedimento operoso", previsto dal legislatore, occorre pur sempre considerare che, per beneficiare della misura premiale dell'eliminazione della sanzione predetta, il versamento dei contributi o premi deve essere effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa. Senza trascurare di considerare che un'interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all'Ente previdenziale l'accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche prescritte dalla legge n. 843 del 1978, aggraverebbe la posizione dell'Ente previdenziale, imponendo allo stesso un'incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati.

2. c. Del resto, l'espresso riferimento da parte del legislatore alle denuncie mensili obbligatorie non può restare privo di significato, anche in considerazione del valore legale attribuito a tali titoli: ne deriva, quindi, che, nel vigore della legge n. 662 del 1966 (ndr legge n. 662 del 1996) (applicabile alla specie), in ogni ipotesi in cui le denuncie obbligatorie non siano state presentate è integrata la fattispecie legale sanzionatoria, anche qualora i dipendenti risultino registrati nei libri matricola. Non è inutile sottolineare, da ultimo, che il rigore della disciplina si giustifica in base alla circostanza che le denunce mensili obbligatorie costituiscono titolo esecutivo ai sensi dell'art. 2 della legge n. 389 del 1989 e consentono, pertanto, all'Istituto previdenziale di agire immediatamente per il recupero del credito.

3. Col primo motivo del ricorso incidentale la società F. s.r.l. deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 29 del D.L. 23 giugno 1995 n. 244 (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.). In particolare, si contesta la decisione di rigetto del motivo di gravame col quale era stata eccepita l'insussistenza dell'obbligo contributivo in relazione alla mancata osservanza di un orario di lavoro da parte dei dipendenti che avevano chiesto permessi non retribuiti, assumendosi che nel caso in esame non si trattava di verificare se il datore di lavoro avesse la possibilità di derogare all'obbligo di versare i contributi sull'orario convenzionale anche in caso di orario ridotto, ma di stabilire con riferimento alle norme vigenti se la contribuzione previdenziale fosse dovuta anche in relazione alla sospensione o alla riduzione dell'attività lavorativa su richiesta del lavoratore per motivi personali. Si chiede, quindi, di conoscere se, in relazione alla retribuzione minima imponibile stabilita dall'art. 29 del D.L. n. 244/1995, l'imprenditore edile sia tenuto ad assolvere la contribuzione previdenziale ed assistenziale anche in caso di sospensione dell'attività lavorativa per permessi non retribuiti richiesti e se, nel caso di specie, la F. s.r.l. era tenuta al versamento dei contributi anche in relazione alle giornate in cui i lavoratori avevano omesso la prestazione lavorativa godendo di permessi non retribuiti.

3.a. Il motivo è infondato.

Invero, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. sez. lav. n. 5233 del 7/3/2007), "in tema di minimale contributivo previsto, nel settore edile, dall'art. 29 del decreto-legge n. 244 del 1995, convertito in legge n. 341 del 1995, è necessario scindere le due ipotesi ivi previste, quella della sospensione dell'attività, per la quale deve sussistere il presupposto dell'obbligo della retribuzione corrispettivo, obbligo che non sussiste nelle ipotesi di sospensione debitamente comunicate all'INPS in via preventiva ed oggettivamente accertabile, e quella della riduzione dell'attività, nella quale, sussistendo una retribuzione, seppure parziale, esprime tutto il suo vigore la regola del minimale e della tassatività delle ipotesi di esclusione. L'interpretazione adottata, seppure estende la portata dell'art. 29 citato, è l'unica che appare costituzionalmente corretta ed evita disparità di trattamento tra grandi e piccole imprese." (v. in senso conf. Cass. Sez. lav. n. 12624 del 19/5/2008 sulla tassatività delle ipotesi di esenzione dall'obbligo del minimale contributivo in edilizia, elencate dall'art. 29 del d.l. n. 244, del 1995, convertito in legge n. 341, del 1995, e dal d.m. 16 dicembre 1996, nonché sulla necessità della previa comunicazione).

In ogni caso, si è affermato che è onere del datore di lavoro provare le eccezioni al suo obbligo contributivo in relazione alla retribuzione virtuale, tanto che con sentenza n. 29324 del 15/12/2008 di questa stessa Sezione Lavoro si è statuito che "ove l'Inps pretenda differenze contributive da impresa edile sulla retribuzione virtuale ai sensi dell'articolo 29 d.l. 23 giugno 1995, n. 244, convertito in legge 8 agosto 1995, n. 341, il relativo onere probatorio è assolto mediante l'indicazione, non contestata, dell'attività edile espletata, e con l'invocazione dell'articolo 29 citato; è onere dell'impresa edile allegare, e provare, le ipotesi eccettuative dell'obbligo contributivo previste dallo stesso articolo 29 e dal d.m. cui esso rinvia, e il giudice di merito è tenuto a motivare con precisione l'ipotesi eccettuativa ricorrente nella specie."

D’altra parte, è proprio il carattere tassativo delle ipotesi di esclusione dall’obbligo di versamento del c.d. minimale contributivo ad esigere che sia il datore di lavoro, che invoca la ricorrenza di una siffatta deroga, quello di indicare la disposizione contrattuale che la prevede nel caso specifico.

Si è, infatti, affermato (Cass. sez. lav. n. 16873 dell'11/8/2005) che "con riferimento al settore dell'edilizia, l'importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all'importo di quella che ai lavoratori sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dei relativi contratti integrativi territoriali di attuazione (cosiddetto "minimale contributivo"), secondo la regola generale stabilita - con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale - dall'art. 29 del d.l. n. 244 del 1995, il quale elenca, altresì, i casi, da considerarsi tassativi, in cui la suddetta regola del minimale è esclusa e delega l'individuazione di altri casi ad un d.m. di attuazione (d.m. 16 dicembre 1996), che rinvia per le eccezioni alle previsioni dei contratti. Conseguentemente, stante il carattere tassativo delle eccezioni e il richiamo che il suddetto decreto effettua alla contrattazione collettiva, è onere del datore di lavoro che invoca la ricorrenza di una deroga al minimale indicare la disposizione contrattuale che la prevede."

4. Col secondo motivo del ricorso incidentale, proposto per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000 (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), ci si lamenta del fatto che le somme intimate a titolo di sanzione per omissione contributiva risultano superiori al 90% dei contributi dovuti e si chiede di accertare se in base a tale norma sia corretto ritenere che nel caso di specie alla F. s.r.l. non poteva essere applicata una sanzione pari ad una somma superiore al 40% dell'importo dei contributi dovuti e che, di conseguenza, l'accertamento avrebbe dovuto essere annullato limitatamente all'importo della sanzione applicata in misura superiore alla predetta percentuale.

4.a. Il motivo è infondato, posto che lo stesso è incentrato sull'erroneo presupposto che nella fattispecie dovesse essere applicato il nuovo regime sanzionatorio di cui all'art. 116, comma 8, della legge n. 388 del 2000, mentre, come si è spiegato in precedenza, è fondato l'opposto rilievo dell'Inps che nella fattispecie continuavano a trovare applicazione "ratione temporis" le precedenti disposizioni di cui alla legge n. 662 del 1996.

In definitiva, il ricorso principale dell'Inps va accolto, mentre va rigettato quello incidentale della società F. s.r.l. Conseguentemente, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Roma che, in diversa composizione, riesaminerà il merito della questione alla luce dei summenzionati principi di diritto.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.