Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 maggio 2017, n. 12326

Tributi - TOSAP - Area di rispetto di un distributore di carburante delimitata da linea gialla - Occupazione "occasionale" e limitata al "tempo necessario al carico e scarico delle merci" - Assoggettamento alla tassa - Sussiste

Fatti di causa

La S.O. s.a.s. impugnava tre avvisi di accertamento con i quali la S. s.r.I., Concessionaria per l'accertamento e la riscossione della Tosap per conto del Comune di Taranto, contestava l'omesso pagamento del tributo in relazione all'area di rispetto, delimitata da linee di demarcazione gialle, antistante le colonnine di distribuzione del carburante dell'area di servizio condotta in esercizio dalla predetta società, con irrogazione delle conseguenti sanzioni.

La contribuente deduceva trattarsi di aree esenti, in forza del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 49, lett. d), ricorrendo l'ipotesi di occupazione del tutto "occasionale" e limitata al "tempo necessario al carico e scarico delle merci".

La CTP escludeva che le aree in questione fossero esenti dalla tassa, ma annullava le sanzioni irrogate alla società.

La contribuente e la Concessionaria appellavano la decisione di primo grado e la CTR, in accoglimento dell'appello della prima, riteneva che nella specie non fosse applicabile la giurisprudenza secondo cui è soggetta a prelievo un'area di rispetto di un distributore di carburante delimitata da una catenella, in quanto a questa non può essere equiparata la linea gialla di delimitazione del suolo demaniale dato in concessione e, dunque, che l'area in questione non fosse sottratta all'uso della collettività.

Su ricorso della soccombente società S., cui la contribuente resisteva con controricorso, la decisione di secondo grado veniva cassata da questa Corte che, con la sentenza n. 17075/2009, disponeva il rinvio della causa ad altra sezione della medesima CTR, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Il Giudice di rinvio, con la sentenza qui impugnata, dichiarava legittimi gli avvisi di accertamento e, quindi, dovute le somme con essi richieste, nonché condannava la società S.O. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio, distratte in favore dell'avv. S.F..

Ricorre per la cassazione della decisione la società contribuente, affidandosi a due motivi, cui resiste con controricorso e memoria la concessionaria.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione dell'art. 63 e dei correlati artt. 20, 16 e 17, D.Lgs. n. 546 del 1992, giacché la notificazione dell'atto di riassunzione del giudizio, a seguito della sentenza della Cassazione, è stata effettuata presso la sede della società S.O., in Roma, e non nel domicilio eletto, presso lo studio dell'avv. G.D., in Taranto, con conseguente nullità degli atti del giudizio di rinvio.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3 e n.5, violazione di norme di diritto, quanto alla ritenuta legittimità delle sanzioni, perché il giudice di rinvio non ha tenuto conto del giudicato implicito formatosi sul punto, in spregio all'art. 348, comma 2, c.p.c., e comunque ha omesso di motivare il proprio dissenso dalla sentenza di primo grado, che pure aveva annullato le sanzioni irrogate e, quanto alle spese del giudizio, perché il giudice di rinvio le ha liquidate senza specificare le ragioni giustificative della loro entità, disponendone la distrazione a favore dell'avv. S.F., dichiaratosi antistatario soltanto per la fase di merito.

I suesposti motivi sono infondati e non meritano accoglimento.

La ricorrente si duole del fatto che l'atto di riassunzione del giudizio è stato notificato, a mezzo del servizio postale, alla società, presso la sede in Roma, Via (...), e non nel domicilio eletto al momento della sua costituzione, presso lo studio dell'avv. G.D., in Taranto, com'è pure ricavabile dal ricorso introduttivo del giudizio.

La questione posta dalla ricorrente può essere agevolmente risolta facendo applicazione dei principi, più volte affermati da questa Corte, in tema di giudizio di rinvio, e, per quanto concerne il processo tributario, disciplinato dall'art. 63, D.Lgs. n. 546 del 1992, di quelli contenuti nella sentenza n. 2288/2016 e nella ordinanza n. 27094/2013, che consentono di disattendere la prima censura stante la ritualità della riassunzione del giudizio.

La riassunzione in fase di rinvio si configura, infatti, non come atto di impugnazione, bensì come attività di impulso processuale che coinvolge gli stessi soggetti che sono stati parti del giudizio di legittimità (Cass. n. 13839/2001; n. 538/2000).

L'atto di riassunzione della causa introduce, in sede di rinvio, una autonoma fase del giudizio e va notificato personalmente a tutte le parti del giudizio di cassazione, in qualità di litisconsorti necessari processuali, nelle forme di cui all'art. 392 c.p.c., anche se la notifica eseguita al procuratore costituito, che sia anche domiciliatario della parte nel pregresso giudizio di merito, anziché personalmente, risulta invalida, ma non inesistente, ed il vizio è sanabile con la costituzione della parte intimata (Cass. n. 2004/2000; n. 1959/1992; n. 8358/1991) o con l'assegnazione, ai sensi dell'art. 291 c.p.c., di un termine per provvedere alla valida notificazione del ricorso (Cass. S.U. n. 6841/1996; n. 932/1998; n. 10191/1999).

La ricorrente, inoltre, si duole del mancato rispetto, da parte del giudice di rinvio, dell'art. 348, comma 2, c.p.c., stante il giudicato implicito formatosi in punto di sanzioni irrogate per l'omesso pagamento del tributo, in relazione all'area di rispetto antistante le colonnine dell'impianto di distribuzione dei carburanti condotto in esercizio dalla società S. O..

La censura non coglie nel segno in quanto l'impugnazione incidentale della concessionaria, avverso il capo della decisione di primo grado che aveva annullato le sanzioni, impedisce la formazione del giudicato implicito rispetto alla questione della debenza del tributo di cui agli impugnati avvisi di accertamento, oggetto principale del giudizio di merito, che costituisce l'indispensabile presupposto della legittimità delle sanzioni.

Inoltre, la Corte ha chiarito che quando il giudice si pronuncia esplicitamente su una questione, risolvendone implicitamente un'altra rispetto alla quale la prima si ponga in rapporto di dipendenza e la sentenza venga impugnata sulla questione risolta esplicitamente, non è configurabile un giudicato implicito sulla questione risolta implicitamente, in quanto lo stesso risulta precluso dall'impugnazione sulla questione dipendente; il giudicato implicito presuppone infatti il passaggio in giudicato della decisione sulla questione dipendente decisa espressamente (Cass. n. 322/2015; n. 10027/2009).

La ricorrente si duole anche della liquidazione delle spese di giudizio e della disposta distrazione delle stesse a favore dell'avv. S.F., dichiaratosi antistatario soltanto per la fase di merito.

Quanto al primo profilo, la censura appare palesemente inammissibile essendo generica la denuncia di mancata giustificazione della entità delle spese processuali, peraltro, liquidate in favore della parte totalmente vittoriosa, dovendosi sul punto richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte che, in ossequio al principio di autosufficienza, impone la specifica indicazione degli errori commessi dal giudice e, segnatamente, delle voci della tabella degli onorari e dei diritti che si ritengono violati (Cass. n. 18190/2015; n. 14744/2007; n. 13098/2003).

Quanto al secondo profilo di doglianza, che riguarda il difensore che ha anticipato le spese più che il suo cliente, soccorre il principio di diritto secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione in assenza di deduzioni sui concreti pregiudizi subiti dalla parte, da cui si ricavi l'esistenza di un interesse ad ottenere una riforma della decisione impugnata.

Si è ritenuto che la parte che propone ricorso per cassazione ha l'onere di indicare il concreto pregiudizio derivato dalla violazione processuale o sostanziale atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l'impugnazione non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicché l'annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Cass. n. 15363/2016; n. 26157/2014; Cass. n. 1755/2006; n. 15950/2007), che nella specie difetterebbe restando ferme le conseguenze della soccombenza.

Conseguentemente, il ricorso deve essere respinto con la condanna dalla ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della costituita società S., in quanto l'intimato avv. S.F. non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.800,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.