Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 25 ottobre 2017, n. 25286

Tributi - Riscossione - Intimazione di pagamento - Recupero maggiore imposta - Applicazione sanzioni

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza depositata in data 27 marzo 2012, la Commissione Tributaria Regionale dell'Aquila, accogliendo parzialmente l'appello proposto per D.G., ha riformato la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso avverso l'intimazione di pagamento con cui l'ente esattore aveva recuperato la maggiore imposta IRPEF per gli anni dal 1998 al 2002, oggetto di una precedente cartella di pagamento, escludendo l'applicazione delle sanzioni nei confronti della contribuente e compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale indicata in epigrafe l'Avvocatura Generale dello Stato per l'Agenzia delle Entrate, articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 132 cod. proc. civ., a norma dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., avendo riguardo alla nullità della sentenza per difetto di motivazione.

Si deduce che la statuizione di esclusione di applicazione delle sanzioni è del tutto immotivata, perché la sentenza della Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto del tutto infondate le eccezioni del contribuente, e non offre comprensibili ragioni sulla base delle quali ritenere non dovute le sanzioni. Ciò, tanto più che la cartella di pagamento è stata ritenuta dal giudice pienamente valida ed efficace.

2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 112 cod. proc. civ., a norma dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., avendo riguardo alla nullità della sentenza per difetto di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

Si deduce che la questione relativa alla inapplicabilità delle sanzioni non era mai stata sollevata dal contribuente nei gradi di merito. A tal fine, si riportano, integralmente sia il testo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sia il testo dell'atto di appello. Si osserva, poi, che la conclusione presente nei due atti, laddove si chiede «che comunque siano dichiarati non dovuti i compensi di riscossione e gli interessi di mora e le sanzioni, non avendo avuto conoscenza della cartella di pagamento», fa riferimento all'atto di intimazione e non alla cartella di pagamento.

2.3. Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, a norma dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., avendo riguardo alla erroneità dell'esclusione delle sanzioni.

Si deduce che, quand'anche si ritengano infondate le censure formulate con i primi due motivi del ricorso, non può escludersi la pretesa erariale con riferimento a sanzioni ed interessi, una volta che si è ritenuta legittima la cartella di pagamento regolarmente notificata a norma dell'art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973, mediante affissione dell'atto nell'albo comunale. Ed infatti, l'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 dispone che, in caso di omesso o ritardato pagamento dell'imposta, l'ufficio finanziario è legittimato a richiedere l'imposta, maggiorata di una sanzione pari al 30% di ogni importo non versato.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito precisate.

2. L'omesso o ritardato pagamento dell'imposta comporta l'applicazione di una sanzione pari al 30% di ogni importo non versato, salvo il caso di eccezioni espressamente previste.

Invero, l'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 dispone, in linea generale, l'applicazione della sanzione in questione per il caso di omesso o ritardato pagamento dell'imposta e prevede, espressamente, che le sanzioni non si applicano solo quando i versamenti sono stati tempestivamente eseguiti ad ufficio o concessionario diverso da quello competente. Le ipotesi di applicazione di sanzioni in misura ridotta, inoltre, sono previste per situazioni testualmente indicate sia dal medesimo art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997, sia, per il caso di ravvedimento, dall'art. 13 d.lgs. n. 472 del 1997.

Inoltre, la generale applicabilità della sanzione pari al 30% dell'importo non versato è stata già evidenziata in giurisprudenza, la quale ha affermato che l'art. 13 del d. Igs. 18 dicembre 1997, n. 471, concernente la riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, imposta sul valore aggiunto e riscossione dei tributi, ha previsto, per tutte le ipotesi di pagamento tardivo, una sanzione generalizzata pari al trenta per cento di ogni importo non versato (così Sez. 5, n. 3569 del 16/02/2010, Rv. 611923/01).

3. La sentenza impugnata ha escluso l'applicazione delle sanzioni per omesso pagamento dell'imposta dovuta, e non contestata, senza esplicitare alcuna ragione, e, quindi, senza evidenziare alcuna situazione idonea a legittimare la mancata applicazione o anche solo la riduzione delle sanzioni.

Può aggiungersi che, agli atti, non risulta, né è allegata, l'esistenza di situazioni dalle quali dipende la mancata applicazione o la riduzione delle sanzioni.

Di conseguenza, il terzo motivo di ricorso deve essere accolto, con assorbimento degli altri due. L'accoglimento di tale motivo determina l'integrale rigetto dell'originario ricorso proposto dalla contribuente.

Le spese del giudizio di merito debbono essere compensate, mentre, in ragione della soccombenza, la contribuente deve essere condannata al pagamento a favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro cinquemilaseicento, oltre spese prenotate a debito.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l'originario ricorso. Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna l'originaria ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.