Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 aprile 2018, n. 8896

Tributi - Reddito d’impresa - Svalutazione beni immobili - Valore normale attribuito con riferimento agli effettivi valori di mercato - Legittimità - Prova - Elementi oggetti - Mancata industrializzazione dell’area - Assenza di interesse di eventuali compratori - Congruità del corrispettivo percepito

 

Fatti di causa

 

La Società Generale Mobiliare - S. s.p.a. impugnò l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle entrate ebbe, per l'anno 2003, a rettificarne il reddito, accertando, in luogo della perdita dichiarata, un reddito di impresa derivante dalla ritenuta indeducibilità di costi dichiarati tra le variazioni in diminuzione e dei quali non era possibile accertare l'effettiva inerenza e competenza ai sensi dell'art. 75 del d.P.R. n. 917/1986 (T.U.I.R.).

La Commissione Tributaria Provinciale accolse il ricorso e la decisione, appellata dall'Agenzia delle Entrate, è stata confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettate le eccezioni preliminari in rito, ha ritenuto, nel merito, che la svalutazione operata dalla Società aveva trovato riscontro nei riflessi negativi, sui valori dei terreni, della mancata industrializzazione dell'area e che il costo storico dei terreni ceduti risultava sufficientemente documentato nei bilanci di fusione (con le società proprietarie dei terreni), certificati da Società di revisione internazionale.

Avverso la sentenza l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, su due motivi, al quale resiste, con controricorso la Società la quale propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato su tre motivi.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 9, commi 2 e 3, e 75, co. 1 d.p.r. n. 917/1986, laddove la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto dimostrato il costo storico degli immobili (la cui cessione aveva dato origine alla rettifica), prescindendo dal rispetto del parametro normativo in tema di valutazione delle varie componenti del reddito (costituito dalle norme indicate in rubrica) secondo cui deve aversi riguardo al "valore di mercato" come valore normale. Con la conseguenza, secondo la prospettazione difensiva, che la C.T.R. aveva errato a ritenere corretta l'operata svalutazione, senza riferirsi in alcun modo agli effettivi valori di mercato degli immobili.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell'art. 360, 1 comma, n. 5 cod. proc. civ., la sentenza impugnata di insufficiente motivazione laddove la C.T.R. aveva ritenuto il disconoscimento della variazione in diminuzione privo di riscontro, fondandosi su una serie di elementi e fatti notori che non trovavano conferma negli atti, tant'è che nessun riferimento era stato effettuato alle risultanze istruttorie. Inoltre, sempre secondo la ricorrente era essenziale, al fine di potere riconoscere la correttezza della variazione in diminuzione, che la Società dimostrasse il fondamento effettivo della determinazione del costo originario dei terreni, assunto come iniziale per ottenere la minusvalenza e, sul punto, la C.T.R. si era limitata a richiami generici ai valori riportati nei bilanci di fusione. In definitiva, rispetto al fatto (individuato nella svalutazione dei terreni operata in assenza di ragioni concrete, in ogni caso non documentate) la sentenza, secondo la ricorrente, era insufficientemente motivata sia laddove considerava raggiunta la dimostrazione di un non meglio precisato valore storico degli immobili, che nella parte in cui dichiara corretta la svalutazione operata dalla S., senza tuttavia indicare alcun criterio specifico, e soprattutto senza prendere posizione sulle puntuali deduzioni dell'Ufficio.

3. Le censure, esaminate congiuntamente siccome vertenti sulla stessa questione, sono infondate.

3.1. Non si ravvisa, invero, la dedotta violazione di legge laddove la Commissione regionale ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento e, nello specifico, del principio, come affermato anche da questa Corte (v. Cass. n. 10802/2002), secondo cui in tema di determinazione del reddito di impresa, per la valutazione ai fini fiscali delle varie prestazioni che costituiscono le componenti attive e passive del reddito va applicato il principio, avente carattere generale, stabilito dall'art. 9 del d.p.r. 917 del 1986, che non soltanto valore contabile e che impone quale criterio valutativo il riferimento al normale valore di mercato.

3.2. Il giudice di appello, infatti, con accertamento in fatto rimasto indenne (per come si specificherà meglio infra) ha espressamente ritenuto infondata la doglianza svolta dall'Ufficio in ordine all'operata svalutazione, dando specificamente atto della legittimità della stessa sulla base di elementi oggettivi, individuanti il valore normale dei beni, sia indiretti quali la mancata industrializzazione dell'area, l'assenza di interesse (documentata dalle offerte di vendita andate a vuoto) di eventuali compratori, sia diretti quale la congruità del corrispettivo (successivamente) percepito come dichiarata dall'UTE.

3.3. Come già anticipato, tale accertamento in fatto rimane fermo, per l'infondatezza anche del secondo motivo di ricorso.

3.4. Per costante condiviso orientamento giurisprudenziale di questa Corte (di recente ribadito da Cass. Ordinanza n. 29883 del 13/12/2017) il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali l'insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale).

3.5. Alla luce di tale principio il mezzo, inammissibile nella parte in cui ci si duole della mancata confutazione delle deduzioni svolte in appello dall'Ufficio, per il resto è infondato. Ed invero, non si riscontra la dedotta insufficienza motivazionale laddove la C.T.R., come sopra sintetizzato, non ha ancorato la legittimità dell'operata svalutazione solo "alle note vicende del gruppo S.I. R." ma anche ad altri riscontri obiettivi. D'altro canto, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, la Commissione regionale ha ritenuto compiutamente documentato il costo storico degli immobili in oggetto, quali rinvenienti dalle scritture contabili della Società e dal bilancio di fusione, rilevando come le risultanze degli stessi, oltre ad essere certificati da Società di revisione non erano state contestate dall'Amministrazione finanziaria.

In definitiva, il mezzo nei termini in cui è formulato, tende ad un'inammissibile, in questa sede, diversa rivalutazione degli elementi probatori offerti in giudizio rispetto a quelle operata dalla C.T.R.

4. Al rigetto del ricorso principale consegue l'assorbimento dell'esame del ricorso incidentale, articolato su tre motivi (prospettanti rispettivamente error in procedendo, insufficiente motivazione e violazione di legge) e proposto in via condizionata.

5. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico dell'Agenzia delle entrate.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale.

Condanna l'Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore della controricorrente/ricorrente incidentale delle spese processuali liquidate in complessivi euro 6.000 oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15% ed accessori di legge.