Giurisprudenza - TRIBUNALE DI FOGGIA - Ordinanza 26 ottobre 2016

Impiego pubblico - Personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato - Successione di contratti a termine - Divieto di conversione in contratti di lavoro a tempo indeterminato - Decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 - art. 10, comma 4-ter; decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater.

 

Fatti di causa

 

A) Con ricorso ex art. 409 codice di procedura civile depositato il 31 luglio 2015, iscritto al n. 8364/2015 R.G.L. gli epigrafati ricorrenti hanno adito questo Tribunale, in funzione di Giudice del lavoro, chiedendo, in via principale di:

 a) accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti alla riqualificazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, con le stesse mansioni e livello di inquadramento, a far tempo dalla data del compimento del 36° mese di lavoro alle dipendenze dell'ente convenuto, con le decorrenze e per tutti i motivi di cui alla narrativa del presente atto; b) per l'effetto, accertare e dichiarare che tra l'Istituto resistente e i ricorrenti intercorreva un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato a far tempo dal superamento del 36° mese di lavoro con mansioni equivalenti fino al momento del recesso inefficace alla data del 30 aprile 2014 e, in particolare, per D.D. dal 1° febbraio 2014 con mansioni di collaboratore tecnico professionale - esperto chimico (cat. DS), per I.M.dal 1° febbraio 2014 con mansioni di assistente tecnico - perito chimico (cat. C), per F.A. dal 1° settembre 2010 con mansioni di collaboratore tecnico - professionale esperto - veterinario (cat. DS), per M.G. dal 1° febbraio 2014 con mansioni di collaboratore tecnico professionale esperto tecnologo alimentare (cat. DS), per T.M. dal 1° febbraio 2014 con mansioni di collaboratore professionale tecnico (cat. D) tecnologo alimentare (I liv.); c) in conseguenza, dichiarare inefficaci i recessi intimati dall'Istituto a ciascuno dei ricorrenti alla data del 30 aprile 2015 senza forma scritta per formale cessazione del rapporto a tempo determinato, nonostante la già avvenuta trasformazione dei contratti a tempo determinato successivi in singoli contratti a tempo indeterminato, e condannare il convenuto Istituto, in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla reintegrazione nel posto di lavoro dei ricorrenti D.D., I.M., F.A., M.G., T.M., ex art. 18, commi 1 e 2, legge n. 300/70, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, con il pagamento di un'indennità risarcitoria quantificata nella misura della retribuzione globale medio tempore maturata dal momento dei singoli inefficaci recessi fino a quello della reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal momento del licenziamento all'effettiva reintegrazione. In via subordinata, i ricorrenti chiedevano il ristoro dei danni subiti per gli illegittimi recessi, ex art. 36, comma 5, decreto legislativo n. 165/2001, da quantificarsi in via equitativa attraverso l'applicazione analogica dell'art. 18, commi 4 e 5, legge n. 300/1970, in una somma corrispondente a 20 o 15 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre agli accessori come per legge (o, nella diversa, maggiore o minore, misura ritenuta equa e di giustizia), nonché alla corresponsione a ciascuno dei ricorrenti delle maggiorazioni previste dall'art. 5, comma 1, decreto legislativo n. 368/2001 a decorrere dal 1° giorno successivo alla maturazione dei 36 mesi di servizio con mansioni equivalenti e fino alla data - 30 aprile 2015 - di cessazione definitiva dei rapporti, oltre accessori come per legge sulle predette differenze retributive; con condanna, in ogni caso, dell'Istituto resistente alla refusione delle spese e competenze del giudizio, con distrazione.

 B) I ricorrenti hanno richiamato in fatto le seguenti circostanze, documentate come da allegati in atti:

 B1. La dott.ssa D.D.ha lavorato alle dipendenze dell'Istituto resistente in forza di una serie di contratti a tempo determinato, stipulati attingendo da apposite graduatorie relative a selezioni pubbliche, con mansioni di collaboratore tecnico professionale - esperto chimico (cat. DS) presso la Struttura Complessa Chimica dell'IZS, per le attività connesse al programma di monitoraggio per la ricerca di contaminanti chimico-fisici nelle derrate alimentari importate dalla Bosnia-Herzegovina e dal Kosovo dal 1° settembre 2010 al 31 agosto 2011, termine quest'ultimo prorogato fino al 31 agosto 2013, e dal 1° febbraio 2014 al 30 aprile 2015 per le attività connesse al progetto dal titolo «Valutazione dell'esposizione a contaminanti inorganici (metalli e radionuclidi) attraverso la dieta nella popolazione italiana».

 B2. Il dott. I.M.ha lavorato alle dipendenze dell'Istituto resistente in forza di una serie di contratti a tempo determinato, stipulati attingendo da apposite graduatorie relative a selezioni pubbliche, nei seguenti periodi: dal 1° marzo 2002 al 28 febbraio 2003, con qualifica di tecnico di laboratorio presso il dipartimento di chimica dell'Istituto; dal 1° ottobre 2010 al 30 settembre 2011, presso il Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore Zootecnico Veterinario dell'Istituto, in qualità di assistente tecnico - perito chimico (cat. C), per le attività connesse al programma di monitoraggio per la ricerca di contaminanti chimico-fisici nelle derrate alimentari importate dalla Bosnia-Herzegovina e dal Kosovo, termine prorogato fino al 30 settembre 2013; dal 1° febbraio 2014 al 30 aprile 2015, per le attività connesse al progetto «Valutazione dell'esposizione a contaminanti inorganici (metalli e radionuclidi) attraverso la dieta nella popolazione italiana».

 B3. Il dott. F.A. ha lavorato alle dipendenze dell'IZS con vari contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati attingendo da apposite graduatorie relative a selezioni pubbliche, nei seguenti periodi: dal 1° settembre 2006 al 31 agosto 2007, in qualità di collaboratore tecnico - professionale esperto - veterinario (cat. DS) per il «Programma di controllo delle sostanze alimentari importate dai territori della Bosnia-Herzegovina e del Kosovo», termine prorogato dapprima fino al 31 agosto 2008 e successivamente fino al 31 agosto 2009; dal 1° settembre 2010 al 31 agosto 2011, prorogato fino al 31 agosto 2013 e con decorrenza dal 1° febbraio 2014 al 30 aprile 2015, in qualità di collaboratore tecnico - professionale esperto - veterinario (cat. DS) per il «Programma di valutazione dell'esposizione a contaminanti inorganici attraverso la dieta nella popolazione italiana».

 B4. La dott.ssa M.G. ha lavorato alle dipendenze dell'IZS con vari contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati attingendo da apposite graduatorie relative a selezioni pubbliche, nei seguenti periodi: dal 1° settembre 2010 al 31 agosto 2011, in qualità di collaboratore tecnico professionale esperto tecnologo alimentare (cat. DS) presso la Struttura Complessa Chimica dell'Istituto per le attività connesse al programma di monitoraggio per la ricerca di contaminanti chimico-fisici nelle derrate alimentari importate dalla Bosnia-Herzegovina e dal Kosovo, termine prorogato fino al 31 agosto 2013; dal 1° febbraio 2014 al 30 aprile 2015, per le attività connesse al progetto «Valutazione dell'esposizione a contaminanti inorganici (metalli e radionuclidi) attraverso la dieta nella popolazione italiana». 

B5. La dott.ssa T.M. ha lavorato alle dipendenze dell'IZS con vari contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati attingendo da apposite graduatorie relative a selezioni pubbliche, nei seguenti periodi: dal 1° settembre 2010 al 31 agosto 2011, in qualità di collaboratore professionale tecnico (cat. D) tecnologo alimentare (I liv.) presso la Struttura semplice «Metalli Pesanti e Mangimi» afferente alla Struttura complessa Chimica dell'Istituto per l'attuazione del «Programma di controllo di sostanze alimentari importate dai territori della Bosnia-Herzegovina e Kosovo», termine prorogato fino al 31 agosto 2013; dal 1° febbraio 2014 al 30 aprile 2015, in qualità di collaboratore professionale tecnico - cat. D -Tecnologo Alimentare (I liv.) presso la Struttura semplice «Metalli Pesanti e Mangimi» per l'attuazione del progetto «Valutazione dell'esposizione a contaminanti inorganici (metalli e radionuclidi) attraverso la dieta nella popolazione italiana». 

C) I ricorrenti, dunque, poiché, in virtù dei su richiamati contratti, hanno prestato servizio a tempo determinato in favore dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale per la Puglia e la Basilicata con contratti successivi tutti legittimi, dopo aver superato selezione pubblica, e per più di 36 mesi maturati alle date indicate per ciascuno di essi nelle conclusioni del ricorso introduttivo, svolgendo mansioni equivalenti - hanno chiesto, in via principale, il riconoscimento del diritto a che il loro rapporto di lavoro sia considerato a tempo indeterminato, ai sensi dell'art. 5, comma 4-bis (e comma 2, in combinato disposto, ai fini della decorrenza), del decreto legislativo n. 368/2001, così come previsto dalla clausola 5, n. 2, dell'accordo quadro comunitario sul contratto a tempo determinato, recepito nella direttiva 1999/70/CE, di cui il decreto legislativo n. 368/2001 è disciplina nazionale attuativa giusta legge delega comunitaria n. 422/2000, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro da cui sarebbero stati illegittimamente estromessi alla cessazione dell'ultimo contratto a tempo determinato, avvenuta per tutti alla data del 30 aprile 2015. 

D) A fondamento della domanda di riqualificazione a tempo indeterminato dei rapporti a termine successivi al superamento del 36° mese di servizio anche non continuativo con mansioni equivalenti, i ricorrenti hanno evidenziato che l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata è un Ente sanitario di diritto pubblico, sottoposto alla vigilanza del Ministero della salute e dotato di autonomia amministrativa, gestionale e tecnica, cioè un'Azienda sanitaria che la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 49/2013, richiamando l'ordinanza n. 2031/2008 della Cassazione a Sezioni unite e la sentenza n. 5924/2004 del Consiglio di Stato, ha qualificato come ente pubblico economico, in quanto tale non rientrante nel campo di applicazione dell'art. 36 decreto legislativo n. 165/2001, riservato soltanto alle amministrazioni pubbliche «non economiche», richiamando in tal senso il punto 14 della sentenza n. 4685/2015 della Cassazione a Sezioni unite. 

D1. In ogni caso, secondo i ricorrenti, sulla base delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, in particolare dall'ordinanza Affatato (causa C-3/10, punto 48), dall'ordinanza Papalia (causa C-50/13, conclusioni) e, soprattutto, dalla sentenza Mascolo (cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13, C63/13 e C-418/13, punto 55), il diritto alla riqualificazione a tempo indeterminato dei contratti a termine ai sensi dell'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001 andrebbe riconosciuto, a prescindere dalla natura pubblica del datore di lavoro e dalla sua qualificazione come ente pubblico economico, in virtù della primazia del diritto comunitario, come interpretato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, applicando le stesse norme interne «sanzionatorie» dell'abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato previste per i datori di lavoro privati, che recepiscono correttamente la direttiva 1999/70/CE, nel contempo disapplicando le norme che impediscono la tutela effettiva, cioè l'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, decreto legislativo n. 165/2001 nonché, per il personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, l'art. 10, comma 4-ter, decreto legislativo n. 368/2001. 

E) In data 7 marzo 2016 si è costituito l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, per il tramite del funzionario ai sensi dell'art. bis codice di procedura civile, chiedendo l'integrale rigetto delle domande dei ricorrenti, sia quelle principali che quelle subordinate. 

E1. In particolare, secondo l'Istituto resistente, la Corte costituzionale con la sentenza n. 89/2003 e le sentenze Marrosu-Sardino e Vassallo della Corte di giustizia (cause C54/04 e C-180/04), queste ultime intervenute proprio su fattispecie di abusivo ricorso a contratti a tempo determinato nell'ambito di un'azienda sanitaria, riconoscerebbero legittimo il divieto di conversione posto dall'art. 36, comma 5, decreto legislativo n. 165/2001 per tutto il pubblico impiego, compreso quello sanitario, e che il divieto di stabilizzazione nelle aziende sanitarie è peraltro confermato dall'art. 10, comma 4-ter, decreto legislativo n. 368/2001, introdotto dall'art. 4, comma 5, del decreto-legge «Balduzzi» n. 158/2012 (inserito in sede di conversione del decreto-legge dalla legge n. 189/2012 con decorrenza dall'11 novembre 2012), e attualmente dall'art. 29, comma 2, lett. c), decreto legislativo n. 81/2015. Per quanto riguarda la domanda subordinata di risarcimento dei danni, secondo I'IZS La Cassazione con le sentenze n. 392/2012 e n. 27363/2014 porrebbero a carico del lavoratore l'onere di provare i danni subiti per l'illegittimo ricorso al contratto a tempo determinato da parte delle pubbliche amministrazioni, onere che, nella fattispecie di causa, il ricorrente non avrebbero assolto.

 F) All'udienza del 12 ottobre 2016 gli attori, come da processo verbale, hanno chiesto a questo giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, decreto legislativo n. 165/2001, nonché dell'art. 10, comma 4-ter, decreto legislativo n. 368/2001 e dell'art. 29, comma 2, lett. c), decreto legislativo n. 81/2015, nella parte in cui non consentono la costituzione a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni del personale sanitario del Servizio sanitario nazionale che, assunti a tempo determinato sulla base di legittime procedure selettive, hanno superato i 36 mesi di servizio anche non continuativo con mansioni equivalenti presso la stessa azienda sanitaria ai sensi dell'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001, per violazione degli articoli 3 e 117, comma 1, Cost.

La normativa interna sui contratti a tempo determinato nel settore sanitario pubblico - inadempimento alla direttiva 1999/70/CE - Sentenza n. 187/2016 della Corte costituzionale 

1. Preliminarmente, non è contestato dall'Istituto resistente ed è documentato in atti che tutti i ricorrenti sono stati assunti a tempo determinato attraverso regolari procedure selettive pubbliche e hanno tutti superato i 36 mesi di servizio anche non continuativi con mansioni equivalenti presso l'IZS, alle decorrenze precisate nelle conclusioni del ricorso introduttivo. Sulle conseguenze dell'abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato, una volta superata la clausola di durata massima complessiva di cui all'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001, vi è palese contrasto tra le domande degli attori e le tesi difensive del datore pubblico convenuto.

 2. Le parti ricorrenti, dopo la sentenza n. 187/2016 e le contestuali ordinanze nn. 194-195/2016 della Corte costituzionale, ritengono che l'incidente di costituzionalità sollevato davanti al Giudice delle leggi costituisca l'unica possibilità per consentire a questo giudice di applicare nel giudizio principale la misura adeguata della trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi al superamento dei 36 mesi di servizio anche continuativi (l'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001: cfr. Cassazione, 27363/14; sentenza Mascolo, punto 55) in caso di abusi nella successione dei contratti a tempo determinato nei confronti del personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, rimuovendo con la declaratoria di incostituzionalità le norme interne [art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, decreto legislativo n. 165/2001; art. 10, comma 4-ter, decreto legislativo n. 368/2001; art. 29, comma 2, lett. c), decreto legislativo nr. 81/2015], che impedirebbero ogni forma di tutela sanzionatoria in caso di abuso nella successione dei contratti a tempo determinato per questa particolare categoria di lavoratori del settore pubblico. 

3. La questione di legittimità costituzionale proposta dalle partì ricorrenti è motivata sulla base delle argomentazioni con cui la sentenza n. 187/2016 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124/1999, accogliendo nei limiti di cui alla motivazione le ordinanze dei Tribunali di Roma (ordinanze nn. 143 e 144/2012 Reg. ord.) e Lamezia Terme (ordinanze nn. 248 e 249/2012 Reg. ord.), cioè sulla incompatibilità con la disciplina Ue del sistema di Reclutamento scolastico, prima della legge n. 107/2015, dopo la sentenza Mascolo della Corte di giustizia.

4. In effetti, la Corte costituzionale ha così evidenziato al punto 18.1 della motivazione della sentenza n. 187/2016, con specifico riferimento alla stabilizzazione dei docenti precari: «Per i docenti, si è scelta la strada della loro stabilizzazione con il piano straordinario destinato alla "copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell'organico di diritto". Esso è volto a garantire all'intera massa di docenti precari la possibilità di fruire di un accesso privilegiato al pubblico impiego fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell'art. 1 della legge n. 107 del 2015, permettendo loro di ottenere la stabilizzazione grazie o a meri automatismi (le graduatorie) ovvero a selezioni blande (concorsi riservati). In tal modo vengono attribuite serie e indiscutibili chances di immissione in ruolo a tutto il personale interessato, secondo una delle alternative espressamente prese in considerazione dalla Corte di giustizia. La scelta è più lungimirante rispetto a quella del risarcimento, che avrebbe lasciato il sistema scolastico nell'attuale incertezza organizzativa e il personale in uno stato di provvisorietà perenne; una scelta che - va sottolineato - richiede uno sforzo organizzativo e finanziario estremamente impegnativo e che comporta un'attuazione invero peculiare di un principio basilare del pubblico impiego (l'accesso con concorso pubblico), volto a garantire non solo l'imparzialità ma anche l'efficienza dell'amministrazione (art. 97 Cost.).».

 5. Rispetto alle azioni esperite nei giudizi principali pendenti davanti ai giudici rimettenti (Tribunali di Roma e di Lamezia Terme) dai docenti e personale ata precari che avevano superato i 36 mesi di servizio anche non continuativi nella scuola pubblica, la/ Corte costituzionale al punto 12 della sentenza n. 187/2016 chiarisce anche la «natura» delle domande proposte dai lavoratori, riqualificandole in azioni di risarcimento danni per inadempimento dello Stato italiano alla direttiva 1999/70/CE per tutto il precariato scolastico, su cui peraltro pendeva la procedura di infrazione n. 2010/2124 della Commissione Ue, archiviata soltanto dopo le misure di stabilizzazione di tutti i docenti precari introdotte dalla legge n. 107/2015. 

6. Le misure di stabilizzazione di tutti i docenti precari introdotte dalla legge n. 107/2015 sono state utilizzate dal Giudice delle leggi per affermare, in mancanza di altro meccanismo sanzionatorio per l'inoperatività ex lege dell'art. 5,  comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001, che la stabilizzazione generale del personale precario scolastico è la misura più adeguata a rimuovere gli effetti dell'illecito comunitario, accertato dalla Corte di giustizia con la sentenza Mescolo: «In tal modo, tuttavia, essa non dà risposta alla questione della necessità o meno del riconoscimento del diritto al risarcimento in capo ai soggetti che abbiano subito un danno a seguito dell'inadempimento dello Stato italiano, questione che costituisce l'oggetto reale dei giudizi a quibus.».

 7. Questo giudice ritiene che la questione di legittimità costituzionale, nei termini in cui è stata proposta dalle parti ricorrenti, sia non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decisione della controversia, perché consente di individuare la sanzione «adeguata» della riqualificazione a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato successivi alle condizioni di cui all'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001, applicabile ratione temporis alle fattispecie di causa prima della abrogazione con l'art. 55, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 81/2015, rimuovendo con la declaratoria di incostituzionalità gli effetti ostativi alla tutela effettiva delle norme interne che impediscono l'operatività della sanzione più efficace a rimuovere l'illecito comunitario, con la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze della pubblica amministrazione resistente.

 8. Del resto, emerge dall'ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 207/2013 della Corte costituzionale che il Giudice delle leggi aveva ben chiara l'assoluta mancanza di misure preventive e sanzionatorie in caso di utilizzo abusivo delle supplenze scolastiche e quindi la mancata applicazione della clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE nei confronti del personale docente e ata della scuola statale assunto a termine ai sensi dell'art. 4 della legge n. 124/1999. 

9. Tuttavia, la Corte costituzionale, come appare nella motivazione dell'ordinanza n. 206/2013 della Consulta, non poteva rimuovere con la sola declaratoria di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124/1999 sul reclutamento scolastico la situazione di incompatibilità con la direttiva 1999/70/CE, non essendo state sottoposte a scrutinio di costituzionalità le ulteriori norme che impedivano il riconoscimento della tutela richiesta anche nel presente giudizio (art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001), cioè l'art. 4, comma 14-bis, della legge n. 124/1999 e l'art. 10, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001. 

10. In effetti, la Corte costituzionale nella sentenza n. 187/2016 ha sottolineato che la Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza Mascolo si è limitata per il precariato scolastico a dichiarare l'incompatibilità con «la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato» di una «normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo». 

11. La Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza Mascolo non ha risposto, perché assorbiti, agli ulteriori quesiti proposti dal Tribunale di Napoli nelle ordinanze di rinvio pregiudiziale Mascolo C-22/13, Forni C-61/13 e Racca C-62/13 sull'applicazione del principio di uguaglianza e non discriminazione di cui alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e sull'applicazione dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

 12. Tuttavia, per il precariato pubblico non scolastico la Corte di giustizia nella sentenza Mascolo, nel risolvere con l'irricevibilità l'ordinanza pregiudiziale proposta dal Tribunale di Napoli per un'educatrice di asilo comunale per aveva superato i 36 mesi di servizio anche non continuativi presso il datore di lavoro pubblico (causa Russo C-63/13), ha fornito al giudice del rinvio anche una chiarissima indicazione su quale possa essere la misura effettiva ed «energica» idonea a prevenire e, se del caso, sanzionare gli abusi nella successione dei contratti a tempo determinato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, individuandola (perché individuata dal legislatore interno) proprio nell'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001 (sentenza Mascolo, punto 55; già ordinanza Affatato, punto 48), con la cui applicazione lo Stato italiano si adegua al principio di leale cooperazione con le Istituzioni europee di cui all'art. 4, punto 3, del Trattato dell'Unione europea TUE (sentenza Mascolo, punti 59-61). 

13. Quindi, seguendo l'argomentazione sul punto della sentenza della Corte europea, il Giudice nazionale sarebbe tenuto a dare effettività alla tutela dei lavoratori pubblici a tempo determinato applicando le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione non scolastica, a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, in particolare l'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001, con la trasformazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successive che abbiano superato i 36 mesi di servizio anche non continuativi alle dipendenze del datore di lavoro pubblico, sanzione espressamente ritenuta adeguata ed applicabile nell'ordinamento interno, seppure con un obiter dictum, dalla Suprema Corte di cassazione (sentenza n. 27363/2014, che richiama l'ordinanza Papalia del 12 dicembre 2013 della Corte di giustizia). 

14. La Corte costituzionale, del resto, nelle due ordinanze nn. 194 e 195 del 2016, sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Trento identiche, sostanzialmente, a quelle dei Tribunali di Roma e Lamezia Terme, ha evidenziato che «i principi enunciati dalla Corte di giustizia, riguardo a norme oggetto di giudizio di legittimità costituzionale, si inseriscono direttamente nell'ordinamento interno con il valore di ius superveniens, condizionando e determinando i limiti in cui quelle norme conservano efficacia e devono essere applicate anche da parte del giudice a quo (ordinanze n. 80 del 2015, n. 124 del 2012 e n. 216 del 2011)». 

15. Se ne dovrebbe dedurre, in conseguenza, che anche le indicazioni sull'adeguatezza della misura della riqualificazione dei contratti a tempo determinato successivi al superamento dei 36 mesi per rimuovere l'illecito comunitario nel pubblico impiego non scolastico costituisca «ius superveniens», nella lettura combinata dell'ordinanza Affatato (punto 48) e della sentenza Mascolo (punto 55) della Corte di giustizia, nonché della sentenza n. 187/2016 e delle due contestuali ordinanze nn. 194 e 195 del 2016 della Corte costituzionale.

 16. Nessun dubbio, in ogni caso, che l'art. 36, comma 5, decreto legislativo n. 368/2001, su cui si intende richiedere lo scrutinio di costituzionalità, potrebbe essere agevolmente rimosso dal giudice nazionale con la disapplicazione o non applicazione della detta norma interna ostativa, dal momento che anche questa disposizione è stata dichiarata incompatibile con la direttiva 1999/70/CE dall'ordinanza Papalia della Corte di giustizia Ue del 12 dicembre 2013 in causa C-50/13, con le seguenti conclusioni che vanno considerate, alla luce della recentissima giurisprudenza costituzionale innanzi richiamata, «ius superveniens»: «L'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva  1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev'essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell'ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di  lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all'obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione. Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi.». 

17. Peraltro, la Corte di giustizia con la recente sentenza  Martinez Andres e Castrejana Lopez del 14 settembre 2016 (cause riunite C-184/15 e C-197/15), in una delle quali (causa C-184/15 Martinez Andres) si controverteva di precariato pubblico sanitario nell'ordinamento spagnolo, in una causa in cui la lavoratrice aveva chiesto la reintegrazione nel posto di lavoro come sanzione contro l'abusivo ricorso a 13 contratti a termine successivi per 32 mesi continuativi di servizio, ha evidenziato l'equiparazione sanzionatoria tra settore pubblico e settore privato, così concludendo: «1) La clausola 5, paragrafo 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, siglato il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/7010E del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che osta a che una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, sia applicata dai giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che, in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, il diritto alla conservazione del  rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall'amministrazione mediante un contratto di lavoro soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, a meno che non esista un'altra misura efficace nell'ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. 2) Le disposizioni dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che figura in allegato alla direttiva 1999/70, lette in combinato disposto con il principio di effettività, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a norme processuali nazionali che obbligano il lavoratore a tempo determinato a intentare una nuova azione per la determinazione della sanzione adeguata, quando un'autorità giudiziaria abbia accertato un ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, in quanto ciò comporterebbe per tale lavoratore inconvenienti processuali, in termini, segnatamente, di costo, durata e regole di rappresentanza, tali da rendere eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti che gli sono conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione.».

 18. Quindi, sul piano teorico, questo giudice dovrebbe essere in grado di assicurare la tutela adeguata, effettiva ed equivalente richiesta nel presente giudizio, ricorrendo allo strumento della disapplicazione o non applicazione delle norme interne ostative all'applicazione della sanzione della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la pubblica amministrazione sanitaria, ai sensi dell'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001.

19. In realtà, le stesse norme ostative alla tutela riqualificatoria, su cui viene nelle note difensive di parte ricorrente ora sollecitato l'incidente di costituzionalità, non sono disapplicabili o non applicabili da questo giudice almeno rispetto alle situazioni soggettive di quattro dei cinque ricorrenti, in quanto legate ratione temporis alle fattispecie concrete dedotte in giudizio in guisa tale da impedire «preventivamente» il diritto alla riqualificazione a tempo indeterminato dei contratti a termine successivi.

 20. Infatti, soltanto per il ricorrente F.A. le norme ostative alla riqualificazione a tempo indeterminato - art. 10, comma 4-ter, decreto legislativo n. 368/2001 e art. 36, commi 5-ter e 5-quater, decreto legislativo n. 165/2001 - sono entrate in vigore successivamente al superamento del 36° mese di lavoro con mansioni equivalenti (1° settembre 2010), mentre per gli altri quattro ricorrenti l'efficacia della normativa antitutela è precedente alla maturazione del diritto alla stabilità lavorativa per il superamento della clausola di durata (per D.D.dal 1° febbraio 2014; per I.M.dal 1° febbraio 2014; per M.G. dal 1° febbraio 2014; per T.M. dal 1° febbraio 2014).

 21. Né questo giudice può ignorare l'autorevole sentenza n. 5072/2016 del 15 marzo 2016, con cui la Suprema Corte di cassazione a Sezioni, proprio nella fattispecie di abusivo ricorso a contratti a tempo determinato «successivi» dei due cuochi M. e S. ha escluso la sanzione della conversione a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato «abusivi» del pubblico impiego sia in caso di apposizione illecita del termine contrattuale per mancanza delle ragioni oggettive ai sensi detrarli, commi 1 e 2, decreto legislativo n. 368/2001 sia nel caso di superamento della clausola di durata dei 36 mesi o delle altre violazioni dell'art. 5, commi 2, 3 e 4, decreto legislativo n. 368/2001 sulla successione dei contratti, richiamando la declaratoria di infondatezza dell'art. 36, comma 2 (ora comma 5), decreto legislativo n. 165/2001 enunciata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 89/2003 e la necessità di concorsi pubblici per essere stabilmente inseriti nell'organico delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'art. 97, comma 4 (già comma 3), Cost.

22. Né si può superare la decisione delle Sezioni unite del 2016, come evidenziato dalle parti ricorrenti, evidenziando la natura di ente pubblico economico delle aziende sanitarie e la conseguente inapplicabilità dell'art. 36 decreto legislativo n. 165/2001 e del divieto di conversione nel pubblico impiego «tradizionale», cioè non svolgente attività economica in forma imprenditoriale (come potrebbe ricavarsi dal combinato disposto dell'ordinanza n. 49/2013 della Corte costituzionale e della sentenza n. 4685/2015 delle Sezioni unite, seguendo l'iter argomentativo del ricorso introduttivo). 

23. Infatti, come è testuale nell'art. 70, comma 8, 1° capoverso, decreto legislativo n. 165/2001 che al personale supplente scolastico si applica tutta la normativa del testo unico sul pubblico impiego, compreso l'art. 36 comma 5 sul divieto di conversione dei contratti flessibili (cfr. sentenza Mascolo della Corte di giustizia, punti 12-13), le stesse disposizioni si applicano anche quando si controverte del rapporto delle «aziende e enti del Servizio sanitario nazionale», come letteralmente disposto dall'art. 1, comma 2, dello stesso decreto legislativo n. 165/2001 (cfr. sentenza Marrosu-Sardino della Corte di giustizia, punto punto 15; ordinanza Affatato della Corte europea, punti 11 e 16).

 24. Non sarebbe, quindi, consentito a questo giudice prescindere dal decisum in subiecta materia delle Sezioni unite su identica fattispecie di abusivo ricorso al contratto a tempo determinato di dipendenti precari di azienda sanitaria.

 25. Inoltre, la soluzione adottata dalla Corte costituzionale per il precariato pubblico scolastico con la sentenza n. 187/2016 e con l'ordinanza n. 194/2016 non può essere agevolmente mutuata nei casi di abusivo ricorso alla successione dei contratti a tempo determinato nel pubblico impiego non scolastico, come nel caso di specie. 

26. Infatti, sia la Corte costituzionale in più occasioni (ordinanza n. 251/2002; ordinanza n. 207/2013; sentenza n. 41/2011; sentenza n. 146/2016) sia la Corte di cassazione (Sez. lav., sentenza n. 10127/2012; SS.UU., sentenza n. 5072/2016) hanno sottolineato la specialità (e la legittimità, almeno fino alla sentenza n. 187/2016 del Giudice delle leggi) del sistema di reclutamento scolastico sia a tempo determinato che a tempo indeterminato del personale docente ed ata, e tale specialità rende di problematica applicazione lo sforzo interpretativo di estendere agli altri settori pubblici non scolastici le sanzioni antiabusive individuate dalla Corte costituzionale per il settore scolastico.

 27. Tuttavia, da un lato non si può non rilevare che anche nella sentenza n. 5072/2016 delle Sezioni unite si ponga sostanzialmente un problema di inadempimento alla direttiva 1999/70/CE da parte del legislatore per assenza di una specifica sanzione antiabusiva idonea a rimuovere l'illecito comunitario assicurando le condizioni previste dalla giurisprudenza comunitaria sull'adeguatezza sanzionatoria nel settore pubblico (tra cui l'equivalenza rispetto a quella garantita nel settore privato) e che la stessa decisione della Suprema Corte nel suo massimo Consesso si sia posta il problema della non manifesta infondatezza e rivelanza della questione di legittimità costituzionale delle norme ostative alla tutela effettiva.

28. Dall'altro, la sentenza Martinez Andres e Castrejana Lopez della Corte di giustizia sembra togliere alla decisione delle Sezioni unite la condizione di soluzione definitiva della sanzione energica, effettiva, equivalente, dissuasiva, preventiva in caso di abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato nel pubblico impiego, nella parte in cui detta sanzione è stata limitata al risarcimento del danno «comunitario» di cui all'art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010, nella sola misura dell'indennità onnicomprensiva da 2,5 a 12 mensilità di retribuzione e con esclusione della conversione a tempo indeterminato, pure prevista dalla norma sanzionatoria applicabile ai lavoratori precari privati.

 29. Inoltre, proprio alla luce della sentenza Martinez Andres e Castrejana Lopez della Corte di giustizia non poco rilievo può avere l'ordinanza del 5 settembre 2016 in causa C-494/16 Santoro contro Comune di Valderice e Presidenza del Consiglio dei ministri, con cui il Tribunale di Trapani, in evidente contrasto logico e argomentativo con la soluzione del danno comunitario enunciata dalle Sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 5072/2016, ha sollevato due nuove questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia Ue proprio sul principio di equivalenza e di effettività della sanzione solo indennitaria dell'art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010, individuata dalla Suprema Corte come misura «energica»: «1) Se rappresenti misura equivalente ed effettiva, nel senso di cui alle pronunce della Corte di Giustizia Mascolo (C-22/13 e riunite) e Marrosu (C-53/04), l'attribuzione di una indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell'ultima retribuzione (art. 32 comma 5° legge 183/2010) al dipendente pubblico, vittima di un'abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, con la possibilità per costui di conseguire l'integrale ristoro del danno solo provando la perdita di altre opportunità lavorative oppure provando che, se fosse stato bandito un regolare concorso, questo sarebbe stato vinto.

2) Se, il principio di equivalenza menzionato dalla Corte di Giustizia (fra l'altro) nelle dette pronunce, vada inteso nel senso che, laddove lo Stato membro decida di non applicare al settore pubblico la conversione del rapporto li lavoro (riconosciuta nel settore privato), questi sia tenuto comunque a garantire al lavoratore la medesima utilità, eventualmente mediante un risarcimento del danno che abbia necessariamente ad oggetto il valore del posto di lavoro a tempo indeterminato.». 

30. Anche nel giudizio principale in cui sono state sollevate le nuove questioni pregiudiziali Ue dal Tribunale di Trapani si controverte sulla domanda di riqualificazione a tempo indeterminato di rapporti di lavoro a termine successivi di durata superiore a 3 anni con lo stesso datore di lavoro pubblico (Comune di Valderice), fondata sull'inadempimento alla direttiva 1999/70/CE dello Stato italiano.

 31. Pertanto, appare necessario ricorrere all'incidente di costituzionalità che anche le Sezioni unite nella sentenza n. 5072/2016 avevano ipotizzato come ammissibile. 

32. Infatti, la contestuale pendenza di giudizio pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia dell'Unione europea sulla stessa problematica, non esclude (anzi rafforza, potendosi trovare la soluzione definitiva all'interno dell'ordinamento giuridico nazionale) la facoltà (per questo giudice la necessità) di sollevare l'incidente di costituzionalità.

La questione di legittimità costituzionale - Le norme interne su cui si solleva l'incidente di costituzionalità

 33. Come già dedotto dalle parti costituite nei rispettivi atti difensivi, l'art. 10, comma 3-ter, decreto legislativo n. 368/2001 (in vigore dall'11 novembre 2012 al 25 giugno 2015) già impediva ex lege l'applicazione della sanzione prevista dall'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001, prima ancora che per quattro dei cinque ricorrenti (personale sanitario del SSN) maturassero i requisiti di servizio previsti per l'applicazione degli effetti del superamento della clausola di durata, senza però prevedere alcuna altra misura idonea a sanzionare l'abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato nel pubblico impiego sanitario.

34. Inoltre, al di là della già acclarata incompatibilità comunitaria dell'art. 36, comma 5, decreto legislativo n. 165/2001, alla luce dello «ius superveniens» dell'ordinanza Papalia della Corte di giustizia, il legislatore nazionale con l'art. 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (convertito con modificazioni dalla legge n. 125/2013) ha modificato l'art. 36 D.lgs. n. 165/2001, inserendo due norme - il comma 5-ter e il comma 5-quater - che impediscono apertis verbis ogni tutela effettiva anche risarcitoria in caso di abuso nella successione dei contratti a termine in tutto il pubblico impiego, compreso quello sanitario. 

35. Nello stesso articolo - art. 36, D.lgs. n. 165/2001 - in due commi è stata prevista l'applicazione del D.lgs. n. 368/2001 anche per i contratti a tempo determinato del personale pubblico, il comma 2 (con decorrenza dal 25 giugno 2008, in quanto introdotto dall'art. 49, comma 1, del decreto-legge n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008) e ora anche il comma 5-ter. 

36. Tuttavia, la impossibilità di trasformazione in contratto a tempo indeterminato nell'ipotesi di cui all'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001, derivante dall'art. 36, comma 5-ter, TUPI, e la sanzione - prevista dall'art. 36, comma 5-quater, decreto legislativo n. 165/2001 - della nullità assoluta dei contratti a tempo determinato stipulati in violazione dell'art. 36, comma 2, TUPI, cioè per mancanza delle esigenze «esclusivamente temporanee o eccezionali» che giustificano l'apposizione del termine contrattuale, comporta la conseguenza, già evidenziata dalla Corte costituzionale nell'ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 207/2013 per il precariato scolastico e poi dalla Corte di giustizia sia nella sentenza Mascolo sia nella sentenza Martinez Andres e Castrejana Lopez, che l'ordinamento interno non prevede nessuna misura idonea a prevenire gli abusi in caso di successione di contratti a tempo determinato per quanto riguarda tutto il pubblico impiego, compreso quello sanitario del SSN.

 37. Con la formulazione dell'attuale comma 5-quater dell'art. 36, decreto legislativo n. 165/2001 se il lavoratore pubblico precario ha chiesto la tutela giudiziaria e l'applicazione della sanzione di cui all'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001, come nella fattispecie di causa, non ha diritto né alla costituzione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro originariamente a termine al superamento dei 36 mesi di servizio anche non continuativi (art. 10, comma 4-ter, decreto legislativo n. 368/2001 e art. 36, comma 5-ter, decreto legislativo n. 165/2001) né al risarcimento dei danni (art. 36, comma 5-quater, decreto legislativo n. 165/2001). 

38. In conseguenza, i legittimi contratti a tempo determinato diventano «nulli» per il semplice fatto di aver chiesto la tutela al Giudice del lavoro, come nel caso dei ricorrenti D.D., I.M., M.G. e T.M., che, anche per il periodo dal 1° settembre 2013 fino alla definitiva dei rispettivi rapporti di lavoro a tempo determinato avvenuta per tutti alla data del 30 aprile 2015, hanno sostenuto nel ricorso introduttivo di aver sopperito a carenze strutturali di organico dell'Istituto resistente, con il paradosso che la mancanza di ragioni oggettive temporanee precluderebbe anche gli effetti giuridici di contratti di lavoro a tempo determinato formalmente legittimi, perché stipulati sulla base di procedure selettive pubbliche.

 39. Per quanto il dato normativo non abbia incidenza sulle fattispecie di causa, tutte cessate al 30 aprile 2015 prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 81/2015, inoltre, il legislatore nazionale con l'art. 29, commi 2, lett. c) e 4, del decreto legislativo n. 81/2015 ha confermato l'applicabilità formale (oltre che sostanziale) del (solo) art. 36 decreto legislativo n. 165/2001 alle pubbliche amministrazioni sanitarie, togliendo anche ogni riferimento a discipline interne attuative della direttiva 1999/70/Ce per tutti i lavoratori a tempo determinato di questo settore del pubblico impiego, confermando così la scelta di non applicare nessuna delle tutele minime previste dalla direttiva dell'Unione europea.

 40. Con l'abrogazione del decreto legislativo n. 368/2001 è stato privato di contenuto regolativo anche l'art. 36 decreto legislativo n. 165/2001, in quanto continua ad applicarsi a tutti i dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni il predetto art. 36 decreto legislativo n. 165/2001, che però è svuotato del suo contenuto disciplinare dal momento che il decreto legislativo n. 368/2001, richiamato espressamente nel comma 2 e nel comma 5-ter dello stesso art. 36, è stato soppresso dall'art. 55, comma 1, lett. b), decreto legislativo n. 81/2015, rimanendo così operativa solo la disposizione sulla legittimazione all'uso dei contratti a tempo determinato esclusivamente per esigenze temporanee o eccezionali (art. 36, comma 2, decreto legislativo n. 165/2001) e la mancanza di qualsiasi sanzione effettiva in caso di abuso nella successione contrattuale (art. 36, commi 5, 5-ter e 5 quater, decreto legislativo n. 165/2001).

I parametri costituzionali violati 

41. Le norme ostative - art. 10, comma 4-ter, decreto legislativo n. 368/2001; art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater, decreto legislativo n. 165/2001 - al riconoscimento del diritto alla trasformazione a tempo indeterminato richiesto nel presente giudizio al superamento dei 36 mesi di servizio anche non continuativi con mansioni equivalenti, oltre a violare la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE, in relazione anche alla disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe, nella fattispecie di causa rileva la violazione del principio di non discriminazione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, tutelato dalla clausola 4, n. 1, dello stesso accordo quadro, perché la cessazione ingiustificata dei singoli rapporti a tempo determinato dopo il  superamento dei 36 mesi di servizio con lo stesso datore di lavoro pubblico equivale a tutti gli effetti ad un licenziamento, trattandosi di dipendente a tempo determinato «abitualmente» e illegittimamente impiegato per supplire a carenze strutturali di organico (per analogia, sulle condizioni di impiego al momento della cessazione del rapporto di lavoro, v. Corte di giustizia Ue, sentenza de Diego Porras del 14 settembre 2016 in causa C-596/14, conclusioni; sentenza Perez Lopez del 14 settembre 2016 in causa C-16/15, punto 67).

 42. Quindi, sussiste la violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione alla violazione delle clausole 4, n. 1, e 5, nn. 1 e 2, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Ue in particolare nella sentenza Mascolo e come applicata dalla Corte costituzionale come «ius superveniens» sia con la sentenza n. 260/2015 sia con la sentenza n. 187/2016. 

43. Questo giudice ritiene che sia stato violato anche l'art. 3 Cost. e il principio di uguaglianza e non discriminazione, sia rispetto ai lavoratori privati cui si applica integralmente la  sanzione dell'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001 rispetto ai dipendenti precari pubblici delle Fondazioni lirico-sinfoniche (sentenza n. 260/2015 della Corte costituzionale), che hanno avuto riconosciuto il diritto alla stabilità lavorativa a seguito della indicata pronuncia del Giudice delle leggi, nel dialogo diretto con la Corte di giustizia Ue. 

44. Risultano violati anche gli articoli 4, 24, 35, comma 1, 97, comma 4, 101, comma 2, 104 comma 1, 111 comma 2 Cost., sempre in relazione all'art. 117, comma 1, Cost. e all'attuazione degli obblighi derivanti dai vincoli comunitari, con particolare riferimento, oltre che alla direttiva 1999/70/CE, all'art. 4, comma 3, del Trattato dell'Unione europea T.U.E., perché lo Stato italiano aveva già rappresentato nella causa Affatato C-3/10 alla Corte di giustizia Ue (v. osservazioni scritte del Governo italiano, punto 60, in Rass.Avv. Stato, n. 2, aprile-giugno 2010, pagg.126-127) che l'art. 5, comma 4-bis, decreto legislativo n. 368/2001 veniva integralmente applicato anche a tutto il pubblico impiego, compreso quello sanitario. 

45. La stessa Corte comunitaria nell'ordinanza Affatato aveva attestato l'adeguatezza di tale misura sanzionatoria interna (punto 48, nonché sentenza Mascolo, punto 55).

46. Sotto questo profilo, sia l'art. 10, comma 4-ter, decreto legislativo n. 368/2001 che l'art. 36, commi 5-ter e 5-quater, decreto legislativo n. 165/2001 sono norme che violano il giusto processo e i principi della parità delle armi e dell'affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dell'autorità giudiziaria, impedendo di applicare la tutela effettiva della stabilità lavorativa e così realizzando una grave violazione degli obblighi comunitari e del principio di leale cooperazione con le Istituzioni europee. 

47. Di qui la necessità di proporre la questione di legittimità costituzionale, nei termini di cui in motivazione e nel seguente dispositivo.

 48. Infatti, questo giudice ritiene che la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme ostative alla stabilità lavorativa, nella sostanziale impossibilità di operare l'interpretazione conforme costituzionalmente e comunitariamente orientata o della disapplicazione o non applicazione della disciplina antitutela, sarebbe una soluzione di gran lunga preferibile e più coerente con i poteri del giudice nazionale in un ordinamento di diritto civile a Costituzione rigida e già garantista nei rimedi interni in caso di violazione di diritti fondamentali, come nella fattispecie di causa.

La questione incidentale di costituzionalità

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87:

 Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 10, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 ottobre 2001, n. 368, nonché dell'art. 36, commi 5, 5-ter e 5-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nella parte in cui - in violazione degli articoli 3, 4, 24, 35 comma 1, 97 comma 3, 101 comma 2, 104 comma 1, 111 comma 2, e 117 comma 1 Cost., in riferimento alle clausole 4, punto 1, e 5, punti 1 e 2, dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, alla quale la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 ha dato attuazione, come interpretata dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 26 novembre 2014 nelle cause riunite C-22/13, C-61/13, C62/13, C-63/13 e C-418/13 Mascolo ed altri - dette disposizioni hanno consentito e consentono senza limiti e misure preventive antiabusive e sanzionatorie l'utilizzazione abusiva dei contratti a tempo determinato per il personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, che ha svolto dopo aver superato procedure selettive pubbliche rapporti di lavoro a tempo determinato per più di 36 mesi di servizio presso un'azienda sanitaria, come per i ricorrenti nel presente giudizio; differenziano i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con la pubblica amministrazione sanitaria, rispetto ai contratti a termine stipulati con datori di lavoro privati, ma anche rispetto ai contratti a tempo determinato stipulati con datori di lavoro pubblici come le Fondazioni lirico-sinfoniche, escludendo senza ragioni oggettive ì primi dalla tutela rappresentata dalla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di «applicazione» dell'art. 5, comma 4-bis, n. 368/2001, che recepiva la Direttiva 1999/70/CE in attuazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione. 

Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

 Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata altresì ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 

 

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Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 15 marzo 2017, n.11.