Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 gennaio 2018, n. 1709

Tributi - Imposta di registro - Registrazione sentenza - Versamento effettuato da parte di altri coobbligati - Estinzione debito

Fatti di causa

I contribuenti A.D.P. e C.R., con ricorso depositato il 15 aprile 2008, proponevano opposizione avverso una cartella di pagamento loro notificata il 24 gennaio 2008 e relativa all'anno 2001, derivante da avviso di liquidazione per omesso versamento della registrazione della sentenza n. 3653/2001, emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. I ricorrenti contestavano la cartella evidenziando che trattavasi di una richiesta di un pagamento per una stessa somma già versata dalla Banca di Roma in data 9 novembre 2004.

L'Agenzia delle Entrate, costituitasi in giudizio, non negava quest'ultima circostanza, ma evidenziava che la stessa banca, non ritenendosi soggetta al pagamento, aveva proposto ricorso con richiesta di rimborso.

La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con sentenza n. 02/17/09, accoglieva il ricorso ritenendo la pretesa di cui alla cartella impugnata non dovuta perché già corrisposta da altri coobbligati.

L'Agenzia delle Entrate, proponeva appello riproponendo le stesse ragioni prospettate al giudice di primo grado; analogamente i contribuenti, nel costituirsi in giudizio, contestavano i motivi d'appello per mezzo degli stessi argomenti con i quali avevano originariamente sollevato il ricorso.

La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 16/45/11, depositata il 24 gennaio 2011, rigettava l'appello, ritenendo che i motivi di doglianza dell'Agenzia dell'entrate non evidenziassero nulla di nuovo rispetto a quanto già vagliato e deciso dai primi giudici, evidenziando che quanto richiesto con la cartella impugnata costituisse un indebito arricchimento stante il pagamento dell'imposta da parte di altri coobbligati.

L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso, ritualmente notificato, affidato ad un motivo; i contribuenti resistevano con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Con l'unico motivo d'impugnazione, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, la ricorrente Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2909 cod. civ., rilevando che il contenzioso in Cassazione con la Banca di Roma (ora Unicredit) si è risolto con l'ordinanza della stessa Corte di Cassazione n. 10880 del 18 maggio 2011, sfavorevole all'Ufficio in quanto, aderendo alla tesi della Banca di Roma, ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto il ricorso introduttivo della stessa Banca, la quale riteneva che l'atto dovesse essere registrato a tariffa fissa e non proporzionale ai sensi dell'art. 8 della parte prima della tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.

Pertanto, poiché la sentenza della Commissione Tributaria Regionale ha stabilito che nulla era dovuto dalle parti, atteso che l'imposta era stata già pagata dalla Banca di Roma, la sopravvenuta sentenza della Cassazione avrebbe fatto venire meno il presupposto su cui si fondava la sentenza impugnata. Di conseguenza fondata sarebbe la pretesa dell'Agenzia delle entrate nei confronti dei contribuenti, almeno per la differenza tra la tassa fissa, pagata dalla Banca di Roma, e quella proporzionale richiesta con la cartella di pagamento. I contribuenti eccepiscono l'inammissibilità del ricorso in quanto non sarebbe denunciabile per cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 - parametro che implicherebbe necessariamente un problema interpretativo di una norma - l'erronea ricostruzione della fattispecie concreta per il sopraggiungere di un presunto fatto che astrattamente potrebbe interferire con la fattispecie. Nel merito affermano l'infondatezza del ricorso in quando non si comprenderebbe come i giudici di appello avrebbero errato nell'applicare gli artt. 2033 e 2909 cod. civ., atteso che le motivazioni della sentenza impugnata non hanno nulla a che fare con tali norme.

Il ricorso va rigettato.

Il ricorso è ammissibile perché, anche se in maniera piuttosto confusa, l'erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua riqualificazione e sussunzione in altre fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, cod. proc. civ., né determina l'inammissibilità del ricorso, se dall'articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. 7 novembre 2017, n. 26310): nel caso di specie si evince che il ricorrente, anziché ad una violazione di legge, ha voluto in realtà lamentare, in un unico motivo di doglianza, una violazione del n. 5 del suddetto articolo, per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ossia la sentenza della Cassazione n. 10880 del 2011.

Tuttavia nel merito il ricorso va rigettato perché, anche a prescindere dal fatto che il provvedimento della Cassazione non è stato oggetto di discussione fra le parti nei gradi di merito, deve evidenziarsi la circostanza che tale sentenza non ha esentato la Banca di Roma dal pagamento ma si è limitata ad accogliere la tesi di quest'ultima nella parte in cui l'atto va registrato a tariffa fissa e non proporzionata, con la conseguenza che la ragione fondante della sentenza impugnata - ossia il fatto che il pagamento non fosse dovuto perché già effettuato da un altro soggetto, la banca - rimane pienamente valida.

Nel ricorso dell'Agenzia delle entrate inoltre neppure si fa menzione alla circostanza che, a seguito della sentenza n. 10880 del 2011, si è formato il giudicato esterno sulla debenza dell'imposta: ancorché la sentenza della Cassazione n. 10880 del 2011 faccia riferimento a soggetti diversi, il ricorrente avrebbe potuto infatti avvalersene dal momento che la questione della debenza dell'imposta (in misura fissa o proporzionale) è comune a tutti i soggetti. Tuttavia la sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei coobbligati in solido, se passata in giudicato, può acquistare efficacia nei confronti degli altri condebitori ex art. 1306, comma 2, cod. civ., solo se questi sollevino tempestivamente la relativa eccezione (e sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali), mentre nel caso di specie il ricorrente ha invocato la violazione dell'art. 2909 cod. civ., secondo cui la cosa giudicata fa stato ad ogni effetto solo fra le parti, ed è escluso che l'efficacia extrasoggettiva del giudicato prevista dal citato art. 1306 cod. civ. possa essere rilevata d'ufficio (Cass. 21 dicembre 2011, n. 27906).

Alla stregua delle considerazioni che precedono si impone il rigetto del ricorso; le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000,00, oltre a spese prenotate a debito.