Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 gennaio 2018, n. 2462

Enti locali - Retribuzione di risultato - Natura obbligatoria e vincolante di tale indennità - Non sussiste - Voce retributiva subordinata ad una determinazione, da effettuarsi solo a seguito della definizione, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno - Qualifica dirigenziale - Apporto in termini di produttività o redditività della prestazione - Ricorso non "autosufficiente" - Denuncia in sede di legittimità della violazione o falsa applicazione dei soli contratti ed accordi collettivi accordi nazionali

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 23.11.2011, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Avellino che aveva respinto la domanda, proposta da L.L. nei confronti della Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese, di condanna al pagamento della somma di euro 18.829,29, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di retribuzione di risultato per gli anni dal 2001 al 2005.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso L.L. sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso la Comunità Montana Paternio Vallo di Lauro.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso, il L. denuncia, ex art. 360, comma 1, n.3 e n.5 c.p.c., la violazione degli artt. 28 e 29 del CCNL 23.12.1999 per il personale con qualifica dirigenziale comparto Regioni e Autonomie Locali e di cui ai successivi CCNL del 12.2.2002 e 22.2.2006.

Ad avviso del ricorrente, dall'art. 29 CCNL, nella parte in cui prevede che "gli enti definiscono i criteri per la determinazione e per la erogazione annuale della retribuzione di risultato", discenderebbe la natura obbligatoria e vincolante per l'ente di tale indennità. L'opzione ermeneutica prospettata troverebbe conferma nel precedente art. 28 del CCNL, che prevede l'integrale utilizzo delle risorse destinate al finanziamento della retribuzione di risultato nell'anno di riferimento e ove ciò non sia possibile, la destinazione delle risorse non spese al finanziamento della retribuzione di risultato nell'anno successivo. Tali disposizioni, sarebbero state confermate dall'art. 16 del CCNL 12.2.2002 e dall' art. 23 del CCNL del 22.2.2006.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione degli artt. 28 e 29 del CCNL 23.12.1999 per il personale con qualifica dirigenziale comparto Regioni e Autonomie Locali e di cui ai successivi CCNL del 12.2.2002 e 22.2.2006 nonché la violazione degli accordi decentrati del 15.2.2000 e del 9.6.2005.

Il ricorrente sostiene che la indennità di risultato per gli anni dal 2001 al 2005 gli sarebbe dovuta oltre che sulla base degli artt. 28 e 29 CCNL per il personale con qualifica dirigenziale comparto Regioni - Autonomie Locali anche in virtù degli specifici accordi decentrati del 15.2.2000 e del 9.6.2005, regolarmente sottoscritti dall'ente nonché di specifiche delibere di G.E. (n. 54 del 9.4.2001, n.159 del 19.7.2002 e n. 68 del 30.4.2004) con le quali viene fissato anche l'ammontare della indennità di risultato nella misura del 25% della indennità di posizione.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., in relazione all'art. 2909 c.c.. In particolare sostiene che il diritto alla retribuzione di risultato per gli anni richiesti nel presente giudizio avrebbe dovuto essergli riconosciuto anche in virtù della sentenza n. 3019 del 2002 del Tribunale di Avellino, passata in giudicato, che avrebbe riconosciuto al L. la retribuzione di risultato per gli anni 1998,1999 e 2000.

1.1. e 2.1. I primi due motivi di ricorso, in considerazione della loro connessione, possono esaminarsi congiuntamente.

La Corte territoriale ha ritenuto che dalle disposizioni della contrattazione collettiva applicabili nella fattispecie emerga con chiarezza che la retribuzione di risultato, lungi dal costituire una voce automatica, come preteso dal ricorrente, resta invece subordinata, per ciascun dirigente, ad una determinazione annuale, da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno di cui al precedente contratto collettivo del 1996.

Tale interpretazione è corretta, in quanto conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di struttura del trattamento retributivo dei dirigenti (v. per tutte, Cass. 2.2.2011, n. 2459), secondo cui, mentre la qualifica dirigenziale (alla quale corrisponde, nel lavoro pubblico, soltanto l’attitudine professionale all'assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo - Cass. 22 dicembre 2004 n. 23760), proprio per il significato da essa rivestito nel sinallagma contrattuale, costituisce la ragion d'essere del trattamento economico fondamentale, la retribuzione di posizione riflette "il livello di responsabilità attribuito con l'incarico di funzione", e la retribuzione di risultato corrisponde all'apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione.

La Corte d'appello di Napoli ha ritenuto che il ricorrente non abbia fornito la prova della sussistenza dei presupposti per la erogazione in proprio favore della retribuzione di risultato, evidenziando che l’art. 28 del CCNL del 23.12.1999 si limita a prevedere il sistema di finanziamento dei fondi destinati al pagamento della retribuzione di risultato,  il verbale di GE del 10.2.2000 e il successivo accordo per l'attuazione del contratto collettivo del 15.2.2000, si limitano l'uno a recepire il CCNL di settore e a nominare la commissione per l'attuazione dell'accordo economico e l'altro a determinare la retribuzione di posizione e la corrispondente percentuale di retribuzione di risultato (pari a 25% della prima) per il bilancio 1999, confermando la medesima percentuale della retribuzione di risultato anche per l'anno 2000; appare pertanto evidente che tale ultima previsione, a prescindere dalla definizione degli obbiettivi sopra menzionata, è assolutamente limitata nel tempo e non applicabile "ratione temporis" al periodo preteso dal ricorrente (dal 2001 al 2005). La successiva delibera del 9.4.2001, invece, pur stabilendo per il L. l'entità della retribuzione di posizione, si riserva di quantificare la indennità di risultato, all'esito della relazione dell' ufficio di ragioneria; nulla è infine previsto nelle delibere del 19.7.2002 e del 30.4.2004, che si limitano ad attribuire e a determinare per il L. la retribuzione di posizione.... Quanto infine all'accordo del 9.6.2005, a prescindere dalla rappresentatività dell'organo a impegnare la volontà dell'ente, dalla lettura emerge con chiarezza l'assenza di qualsiasi vincolatività delle determinazioni; ed infatti le parti si limitano a ritenere "urgente" la liquidazione della indennità di risultato, senza alcuna determinazione effettiva al riguardo".

Tale "ratio decidendi" non è stata idoneamente censurata dal ricorrente, che sostiene di aver diritto alla retribuzione di risultato per gli anni dal 2001 al 2005 sulla base di una diversa interpretazione degli stessi documenti esaminati dalla Corte di Appello. Il ricorrente non ha, infatti, trascritto nel ricorso, nelle parti rilevanti, né ha specificato la sede in cui (nel fascicolo di ufficio o in quelli di parte) siano rinvenibili gli accordi decentrati del 15.2.2000 e del 9.6.2005 nonché le delibere di G.E. (n. 54 del 9.4.2001, n. 159 del 19.7.2002 e n. 68 del 30.4.2004), in violazione dell'art. 366 c.p.c., costituente il precipitato normativo del principio di "autosufficienza".

Secondo tale principio, il ricorso per cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l'onere di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali e i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura (Cfr., ex plurimis, Cass. n. 22607 del 24.10.2014).

Quanto ai contratti, poi, deve osservarsi che la regola posta dall'art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi, deve ritenersi limitata ai contratti ed accordi nazionali di cui all'art. 40 del predetto d.lgs., (Cass. n. 28859 del 5.12.2008), sicché il motivo di ricorso relativo alla interpretazione degli accordi decentrati, avrebbe dovuto essere formulato con riferimento alla violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ex art. 1362 e seguenti c.c.. Non operando questa distinzione, che implica una diversa portata del sindacato di legittimità di questa Corte, il ricorrente rivolge indistintamente le censure alla sentenza impugnata con riferimento sia alla normativa collettiva di livello nazionale, sia a quella derivante dagli accordi decentrati, così venendo meno al canone della specificità dei motivi di ricorso. Per le esposte motivazioni, i primi due motivi sono inammissibili.

3.1. Anche il terzo motivo è inammissibile. Come ripetutamente affermato da questa Corte, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l'onere di autosufficienza del ricorso; pertanto la parte ricorrente che deduca l'esistenza del giudicato deve, a pena di inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest'ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (Ex plurimis Cass. n. 15737 del 23.6.2017). Il ricorrente non ha adempiuto tale onere, con la conseguenza che anche il motivo in esame deve ritenersi inammissibile.

4. Per le esposte motivazioni il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.