Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 marzo 2017, n. 5407
Tributi - Accertamento - Studi di settore
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate di Bergamo propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui replica la società intimata con controricorso, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che aveva accolto l’appello proposto dalla PICRI s.r.l. avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto dalla predetta società avverso l’avviso di accertamento di maggiori ricavi ai fini IVA, IRES ed IRAP risultanti dall’applicazione degli studi di settore di cui all’art. 62 sexies d.l. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993.
1.1. Il giudice di appello, escluso preliminarmente che costituisse domanda nuova la questione dell’insussistenza del grave scostamento tra ricavi dichiarati e quelli accertati (pari ad appena il 4%), dedotta per la prima volta dalla società contribuente in grado di appello, sosteneva: a) che quello degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, che tale rimane anche dopo l’esito negativo del contradditorio con il contribuente, che l’Amministrazione finanziaria può porre a base di atti impositivi soltanto se validati da altri elementi probatori; b) che l’Ufficio finanziario non aveva considerato da situazione concreta e specifica della contribuente>, limitandosi a negare rilevanza alle osservazioni da questa fornite in sede di contraddittorio; c) che lo scostamento del 4% tra ricavi dichiarati e quelli accertati non poteva configurare la grave incongruenza richiesta dall’art. 62 sexies d.l. n. 331 del 1993, convertito, per poter procedere ad accertamento induttivo.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente Agenzia censura la sentenza impugnata per vizio di error in procedendo (violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) per non avere la CTR dichiarato inammissibile la domanda (o eccezione) nuova, formulata dalla società contribuente per la prima volta nel ricorso in grado di appello, concernente l’insussistenza del requisito della grave incongruenza tra ricavi dichiarati e quelli accertati, legittimante il ricorso all’accertamento con metodo induttivo, ex art. 62 sexies d.l. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993.
2. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza della censura, non avendo la ricorrente riprodotto nel ricorso le domande che la società contribuente aveva avanzato in primo grado, così impedendo a questa Corte di verificare la fondatezza delle ragioni della richiesta di cassazione della sentenza impugnata per violazione del divieto di "ius novorum" in appello, di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 57.
2.1. Invero, l’attribuzione al giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito allorquando viene dedotta, come nella specie, un error in procedendo, ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., non lo esonera dalla necessaria e preliminare verifica dell’ammissibilità del motivo di censura sotto il profilo della sua specificità ed autosufficienza, perché "solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all’interpretazione degli atti processuali" (Cass. n. 12664 del 2012; n. 896 e n. 8008 del 2014). In buona sostanza, quando viene denunciato un vizio procedurale ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. riguardanti atti dei precedenti gradi di giudizio di merito, la Corte, che è anche giudice del fatto, può accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito se in tal senso sollecitato dalla parte, ma non in base ad qualsiasi generica deduzione di nullità, formulata in termini meramente assertivi, ma - in conformità al requisito di autosufficienza del ricorso che trova fondamento normativo nell'art. 366 c.p.c., comma f, n. 6) - soltanto a seguito di una specifica allegazione dei fatti processuali e dunque di una completa ricostruzione della vicenda processuale attraverso la trascrizione del contenuto di quegli atti che, in relazione alla sequenza processuale, consentono di fornire una chiara rappresentazione del vizio denunciato (Cass. n. 12664 del 2012). Quando, poi, con la censura si contesta - come nel caso qui vagliato - la novità della domanda introdotta in secondo grado, in violazione di specifica norma del processo tributario, si rende necessario ed ineludibile che le domande avanzate in primo grado siano riportate nel ricorso per cassazione in modo puntuale, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, come invece ha fatto la ricorrente.
2.2. Nella fattispecie, poi, l’indispensabilità di tale specificazione è resa ancor più evidente dalla risposta data dal giudice di appello all’eccezione sollevata dall’Agenzia delle entrate, secondo cui <ai fini del grave scostamento non rilevava la questione <della percentuale dei ricavi>, che presuppone già introdotta in giudizio la diversa questione della sussistenza o meno della gravità di quello scostamento e che costituiva specificazione del emotivo riguardante la non sufficienza dello studio di settore>.
3. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per vizio di omessa motivazione (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) sull’eccezione di inammissibilità della domanda o eccezione nuova proposta dalla società contribuente in grado di appello, di cui al precedente mezzo di impugnazione.
4. Con argomentazione indubbiamente sintetica ma non mancante, i giudici di appello, alla questione della novità della deduzione di parte contribuente sull’insussistenza del requisito della grave incongruenza tra ricavi dichiarati e quelli accertati, hanno fornito risposta esauriente e negativa, ritenendo che essa costituisse mera specificazione del emotivo riguardante la non sufficienza dello studio di settore>.
5. Il motivo è, pertanto, infondato.
6. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 62 bis e 62 sexies, d.l. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993, 10 legge n. 146 del 1998, 39, comma primo, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, 54 d.P.R. n. 633 del 1972 e 2729 cod. civ.
6.1. Sostiene che ha errato il giudice di appello nel ritenere che quello degli studi di settore costituisca un sistema di presunzioni semplici che l’Amministrazione finanziaria può porre a base di atti impositivi, anche dopo l’espletamento del contraddittorio con il contribuente, soltanto se validati da altri elementi probatori, peraltro andando di contrario avviso all’insegnamento ricavabile dalla sentenza n. 26635 del 2009 delle Sezioni Unite di questa Corte.
7. Il motivo è inammissibile perché privo di decisività che emerge dalla circostanza che, nell’impianto della sentenza impugnata, a giustificare l’annullamento dell’atto impositivo, il giudice d’appello ha addotto, oltre al mancato assolvimento da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’onere probatorio sulla medesima gravante in ipotesi - come quella di specie - di accertamento condotto mediante applicazione degli studi di settore, la mancata considerazione da parte dell’Ufficio finanziario non solo e non tanto della <situazione concreta e specifica della contribuente>, quanto dell’insussistenza della grave incongruenza riscontrata tra <lo studio e i ricavi dichiarati>.
8. Incorre nel medesimo difetto di decisività anche il primo profilo del quarto motivo di ricorso, con cui la ricorrente censura la sentenza gravata per vizio di insufficiente motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sostenendo che, nonostante le ampie argomentazioni svolte dall’Ufficio finanziario sia nell’avviso di accertamento che negli atti processuali per confutare le osservazioni critiche mosse all’accertamento dalla società contribuente in sede di contraddittorio, la Commissione di appello ha affermato che l’Amministrazione finanziaria non ha considerato la <situazione concreta e specifica della contribuente essendosi limitato l’Ufficio a negare la rilevanza, ai fini dello studio di settore, delle osservazioni avanzate dalla contribuente medesima>.
8.1. Invero, pur accedendo alla tesi di parte ricorrente, la stessa viene a perdere rilevanza a fronte dell’affermazione, fatta dai giudici di appello, che uno scarto di soli quattro punti percentuali tra il reddito dichiarato e quello risultante dagli studi di settore non sia idoneo a configurare quella grave incongruenza che, ai sensi dell’art. 62-sexies d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo al di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli artt. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell'art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (cfr. Cass. n. 20414 del 2014, n. 25902 del 2015).
9. Inammissibile è anche il secondo profilo del quarto motivo di censura, con cui la ricorrente censura per vizio motivazionale l’affermazione contenuta nella sentenza gravata secondo cui uno scostamento del 4% tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione del relativo studio di settore cobiettivamente, non può configurare una grave incongruenza.
9.1. Il motivo è inammissibile in quanto è evidente che la ricorrente intende rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme e a sé favorevole, l’apprezzamento in fatto compiuto dalla Commissione di appello degli elementi di valutazione prospettati dalla parte e riprodotti, per autosufficienza, nel motivo. Apprezzamento che, essendo in sé coerente, si sottrae al sindacato di legittimità, dal momento che nell'ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (ex multis, Cass. n. 7921 del 2011, n. 22901 del 2005, n. 15693 del 2004, n. 11936 del 2003). Diversamente opinando, il motivo di ricorso per cassazione di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. finirebbe per risolversi in una richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al giudice di merito (Cass. n. 5274 del 2007).
9.2. Ciò posto, osserva il Collegio che dal contenuto del provvedimento impugnato, in relazione al quale soltanto va verificata la sussistenza del denunciato errore intrinseco al ragionamento del giudice (cfr. Cass. n. 50 del 2014), si evince che la CTR, con motivazione assai concisa ma essenziale (e, quindi, di per sé sufficiente), nel ritenere <obiettivamente> lieve l’entità dell’incongruenza restituita dall’applicazione degli studi di settore, abbia superato - il che ne presuppone ovviamente l’esame - tutte le argomentazioni svolte sul punto dall’Agenzia delle entrate.
10. Conclusivamente, quindi, va dichiarato inammissibile il primo e motivo di ricorso, assorbito il secondo, accolti il terzo e quarto, e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, nonché al rimborso in favore della controricorrente delle spese forfettarie nella misura che si reputa congrua fissare nel 15% del compenso, oltre accessori di legge.
11. L’Agenzia delle entrate ancorché soccombente non è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, non trovando applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (da ultimo, Cass. n. 27301 del 2016 e giurisprudenza ivi richiamata).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo, terzo e quarto motivo di ricorso, infondato il secondo, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 7.300,00 oltre al rimborso in favore della controricorrente delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.