Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 10 giugno 2016, n. 11943

Tributi - IRPEF - Rimborso del credito - Ritardo nel pagamento del credito - Maggior danno da svalutazione monetaria - Riconoscimento automatico - Esclusione - Prova del maggior danno a carico del contribuente

 

Ritenuto in fatto

 

Con istanza del 12.8.2010 F.V. chiedeva la restituzione dei crediti Irpef già chiesti a rimborso con la dichiarazione mod. 740/1990 relativa all'anno di imposta 1989, per l'importo di euro 665.918,49, e con la dichiarazione mod. 740/1993 relativa all'anno 1992, per l'importo di euro 11.079.

Avverso il silenzio rifiuto il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Taranto che con sentenza del 12.7.2012 lo accoglieva.

L'Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale di Bari sez. distaccata di Taranto. F.V. si costituiva proponendo appello incidentale con riguardo alla omessa pronuncia sulla istanza di riconoscimento del maggior danno da svalutazione monetaria. Con sentenza del 25.6.2013 la Commissione tributaria regionale rigettava l'appello principale della Agenzia delle Entrate ed accoglieva l'appello incidentale del contribuente, condannando l'Amministrazione finanziaria al pagamento del maggior danno da svalutazione monetaria. Il giudice di appello riteneva tardiva l'eccezione di prescrizione sollevata dall'Amministrazione finanziaria, in quanto non contenuta nell'atto di costituzione come prescritto dall'art. 23 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, ma in una successiva memoria illustrativa; riteneva l'eccezione di prescrizione non deducibile in quanto l'art. 2 comma 58 della legge 350 del 2003 prescrive all'Amministrazione finanziaria l'obbligo di rinunciare a far valere la prescrizione; riteneva la presenza di plurimi atti interruttivi della prescrizione provenienti dalla Agenzia delle Entrate; riteneva non provata la circostanza che la dichiarazione mod.740 del 1993, contenente l'esposizione del credito di imposta chiesto a rimborso, fosse stata annullata da una successiva dichiarazione del contribuente, poiché l'Agenzia delle Entrate non aveva prodotta tale seconda dichiarazione, e le interrogazioni dell'anagrafe tributaria costituivano atti interni inidonei a sostituire la produzione della seconda dichiarazione da parte dell'Ufficio.

Contro la sentenza di appello l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per i seguenti motivi 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2936 e 2946 cod. civ., degli artt. 23, 24, 32 e 36 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 nella parte in cui ha ritenuto che l'eccezione di prescrizione fosse stata formulata tardivamente; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 2 comma 58 legge n. 350 del 2003, in relazione all'art. 360 comma primo n.3 cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto che la norma vieti alla Agenzia delle Entrate di eccepire la prescrizione; 3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2944 cod. civ. , in relazione all'art. 360 comma 1 n.3 cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto la presenza di più atti aventi natura interattiva; 4) violazione dell'art. 7 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 e 115 cod. proc. civ. nella parte in cui ha disconosciuto la rilevanza probatoria di documenti come le interrogazioni dell'Anagrafe tributaria; 5) violazione degli artt. 37, 38 e 44 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 , in relazione all'art. 360 comma primo n.3 cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto che il risarcimento da svalutazione monetaria ai sensi dell'art. 1224 comma 2 cod.civ. spetti in maniera automatica.

V.F. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato con riguardo alla parte della sentenza che "ha fissato in maniera imprecisa il termine per l'inizio del computo della prescrizione, non confermando che il dies a quo decorre allorquando è spirato il termine per procedere all'accertamento in rettifica".

 

Considerato in diritto

 

1. Il primo motivo è infondato. Come correttamente ritenuto dal giudice di merito, l'art. 23 comma 3 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546 prescrive alla parte resistente, che si costituisce, di esporre nelle proprie controdeduzioni tutte le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'Ufficio, tra le quali certamente rientra l'eccezione di prescrizione, non rilevabile d'ufficio a norma dell'art. 2938 cod. civ. Ne consegue che l'eccezione di prescrizione non può essere dedotta per la prima volta con la memoria illustrativa prevista dall'art. 32 comma 2 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546, la quale non può determinare un ampliamento dell'oggetto del giudizio attraverso l'allegazione di fatti nuovi, impeditivi all'accoglimento del ricorso, non esposti nelle controdeduzioni.

2. Il secondo motivo, pur fondato (il limite alla proponibilità della eccezione di prescrizione previsto dall'art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 contiene un mero "invito" rivolto agli Uffici, non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice- Sez. U, Sentenza n. 2687 del 07/02/2007, Rv. 594805) è assorbito dalla rilevata tardività della eccezione di prescrizione dedotta dall'Ufficio.

3. Ugualmente assorbito è il terzo motivo di ricorso: se l'eccezione di prescrizione è tardiva, la questione relativa alla sussistenza di atti interruttivi è irrilevante.

4. Il quarto motivo è infondato. Il giudice di appello non ha disconosciuto l'astratta valenza probatoria del documento costituito dall'interrogazione dell'anagrafe tributaria, ma ha effettuato una valutazione comparata circa la rilevanza probatoria della dichiarazione dei redditi prodotta dal contribuente e dell'interrogazione dell'anagrafe tributaria, ritenendo la prevalenza della prima sulla seconda atteso che la semplice interrogazione dell'anagrafe tributaria non poteva sostituire la produzione della seconda dichiarazione dei redditi, di cui era onerato l'Ufficio nel momento in cui sosteneva (ma non provava) che tale seconda dichiarazione aveva annullato e sostituito la prima dichiarazione contenente l'esposizione del credito. La valutazione compiuta dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, e non viola alcuna delle disposizioni di legge menzionate nel motivo di ricorso.

5. Il quinto motivo è fondato. Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria, il maggior danno di cui all'art. 1224 comma secondo cod.civ. deve essere provato dal creditore quantomeno deducendo e dimostrando che il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato di durata annuale è stato superiore, nelle more, agli interessi legali; tale principio trova applicazione anche in materia di crediti nei confronti dell'erario, ma, in considerazione della specificità della obbligazione tributaria, la prova del danno da svalutazione monetaria deve essere valutato con particolare rigore (in tal senso Sez. U, Sentenza n. 16871 del 31/07/2007, Rv. 598300; Sez. U, Sentenza n. 19499 del 16/07/2008, Rv.;604419). La sentenza sul punto si esaurisce nella astratta affermazione secondo cui l'ulteriore risarcimento spetta "in base alla prevalenza del tasso di interesse dei titoli di Stato annuali o degli interessi legali", ma non specifica se il contribuente abbia assolto l'onere di dimostrare l'esistenza di un maggior danno, quantomeno sotto il profilo che, nel periodo di interesse, il saggio medio di interesse del titolo di Stato con scadenza annuale era stato effettivamente superiore al saggio degli interessi legali.

6. Il ricorso incidentale condizionato è assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso principale.

La sentenza deve essere cassata con riguardo all’accoglimento del quinto motivo di ricorso, con rinvio per nuovo giudizio, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quinto motivo; rigetta il primo ed il quarto; dichiara assorbiti il secondo ed il terzo; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.