Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 ottobre 2016, n. 20063

Licenziamento - Criteri di scelta - Natura discriminatoria - Maturazione del requisito pensionistico - Reintegrazione nel posto di lavoro

Svolgimento del processo

 

Con ricorso ai sensi dell'art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012, S.F. conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Roma la U. s.p.a., esponendo di avere lavorato alle dipendenze della predetta società fino al giorno 30 novembre 2012, data in cui il rapporto di lavoro era stato risolto ai sensi della legge n. 223 del 1991 mediante licenziamento senza preavviso. A sostegno della impugnazione del licenziamento collettivo il ricorrente esponeva che: 1) il criterio di scelta dei lavoratori da licenziare aveva natura discriminatoria (costituito dall'aver maturato i requisiti per la pensione alla data dell'accordo, ovvero entro il 31 dicembre 2015) e che, comunque, l'applicazione del criterio medesimo da parte di U. aveva avuto carattere discriminatorio; 2) il criterio di scelta della pensionabilità sarebbe stato in concreto violato per effetto del salvataggio di alcuni lavoratori che, pur pensionabili secondo il suddetto criterio, non erano però stati licenziati dalla società; 3) la comunicazione prevista dall’art 4, comma 9, sarebbe stata viziata in quanto priva dell'indicazione di tutti i lavoratori pensionabili; 4) sarebbe stata viziata anche la comunicazione effettuata da U. ai sensi dell'art. 4, comma 3, L. n. 223/91 per non veridicità, genericità o totale mancata indicazione dei contenuti essenziali.

Sulla base di queste premesse il ricorrente chiedeva quindi all'adito Tribunale la reintegrazione nel posto di lavoro con condanna della convenuta al pagamento delle retribuzioni "medio tempore" maturate dal recesso sino alla reintegra; in subordine l’applicazione della tutela reintegratoria prevista dal comma 4 del nuovo art. 18 della legge n. 300\70; in via ulteriormente subordinata chiedeva la tutela risarcitoria prevista dall'art. 18 legge n. 300/1970, comma 7 terzo periodo, nella misura massima.

Inoltre chiedeva la condanna di U. al pagamento in suo favore della indennità sostitutiva del preavviso, nella misura quantificata nel ricorso.

Si costituiva in giudizio U. contestando quanto dedotto dal ricorrente e concludendo per il rigetto delle relative domande.

Con ordinanza del 3.10.13, il Tribunale di Roma respingeva la domanda.

Il F. proponeva opposizione, confermando tutte le domande e le argomentazioni già esposte nel ricorso introduttivo. In particolare egli sosteneva che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice della fase sommaria, il licenziamento in esame era stato adottato non sulla base di un criterio unico ed oggettivo (ossia la pensionabilità), ma con evidenti margini di discrezionalità in capo al datore di lavoro; infatti l'accordo del 15.9.12 prevedeva la possibilità di posticipare la risoluzione del rapporto di lavoro per dipendenti con mansioni specialistiche o commerciali di particolare rilevanza, cosi introducendo un criterio di tipo organizzativo e produttivo ulteriore rispetto a quello unico adottato. Allo stesso modo per alcuni dipendenti era stata prevista analoga posticipazione in considerazione del ruolo sindacale apicale rivestito. Sotto altro aspetto l'opponente evidenziava la insussistenza dei motivo economico posto a fondamento del licenziamento per come risultante dai dati economici comunicati dagli stessi vertici della banca e dalla dichiarata intenzione di procedere a nuove assunzioni dopo la conclusione della procedura di mobilità con riferimento a tali profili, a parere dell'opponente, il licenziamento appariva quindi discriminatorio in quanto basato meramente sull'età dei lavoratori coinvolti nella procedura.

Si costituiva U. s.p.a, chiedendo il rigetto dell'opposizione; con separato ricorso la stessa società proponeva a sua volta opposizione avverso la citata ordinanza nella parte in cui aveva riconosciuto al lavoratore l'indennità sostitutiva del preavviso. Disposta la riunione delle due cause, il Tribunale di Roma rigettava l'opposizione del F., con compensazione delle spese processuali.

Avverso tale sentenza proponeva reclamo il F., chiedendone la riforma, In particolare censurava l'erroneità della pronuncia in ordine alla applicazione di un unico criterio di scelta, inoltre, ribadiva l'avvenuta sua discriminazione e l’erroneità della decisione anche con riferimento alle posizioni lavorative da salvaguardare; lamentava l'erronea valutazione della documentazione in atti. Tra l'altro, con il quinto motivo, il reclamante lamentava l'omessa pronuncia in merito al contestato riconoscimento di un incentivo all'esodo triplicato in favore dei sindacalisti firmatari dell’accordo; con il sesto motivo, poi, veniva evidenziata l'erroneità della pronuncia con riferimento alle dedotte violazioni dell'art. 4 della L. n. 223\91 ed alle ulteriori violazioni lamentate. Infine, censurava la sentenza del Tribunale anche per avere escluso il suo diritto all'indennità di mancato preavviso.

La U. si costituiva in giudizio resistendo al reclamo del quale eccepiva in via preliminare l’inammissibilità per violazione dell’art. 434 c.p.c.; in via istruttoria reiterava le istanze già articolate nelle precedenti fasi processuali. Con sentenza depositata il 23 aprile 2015, la Corte d'appello di Roma accoglieva il reclamo e dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato al F., ordinandone la reintegra nel posto di lavoro, e condannando la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori, da compensarsi con la somma di €.58.808,73 lordi ricevuti dalla società a titolo di t.f.r., oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la U. s.p.a., affidato a tre motivi.

Resiste il F. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. -Con il primo motivo la Banca ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione delle previsioni degli accordi collettivi del 15 settembre e del 22 novembre 2012; degli artt.5 e 24, comma 1, L. n. 223\91, quest'ultimo come interpretato dal comma 4 d.l. 20.5.93 n. 148, convertito, con modificazioni, in L. 19.7.93 n. 236; degli artt. 1362 e segg. c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di contestazione tra le parti (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.).

Lamenta che, essendo stato legittimamente adottato dall'azienda, a seguito di accordo sindacale del 22.11.12, il criterio del raggiungimento, entro il 31.12.15, dei requisiti per il diritto a pensione (ferma restando l'adesione dei singoli dipendenti al pensionamento volontario anticipato), ed avendo il F. maturato il diritto a pensione e non avendo aderito all'esodo volontario, il suo licenziamento doveva ritenersi legittimo, in quanto rientrante, in modo automatico e senza margini di discrezionalità aziendali, nei criteri di scelta previsti.

1.1- Il motivo è fondato.

Deve infatti ritenersi che, in assenza di adeguate diverse allegazioni, il criterio adottato della maturazione del requisito pensionistico entro il 31.12.15, non consentiva all'azienda di licenziare o meno, discrezionalmente, i lavoratori che raggiungessero il predetto requisito nell'arco temporale in questione, bensì di provvedervi man mano che, in tale arco di tempo, lo avessero effettivamente raggiunto, senza margini di discrezionalità (principio che permea di legittimità il criterio del raggiungimento del requisito a pensione, Cass. n. 16.2.10 n. 3603; Cass. n. 5884\11, n. 1949\11, n. 24343\10).

1.2- Al riguardo deve evidenziarsi che il F. non ha adeguatamente dedotto né documentato, onere su di lui incombente, che l'azienda abbia proceduto a licenziare dipendenti in possesso del requisito pensionistico con criteri arbitrari (e cioè, ad esempio, dopo il perfezionamento del requisito pensionistico a discapito di altri); in particolare, poi, che egli sarebbe stato illegittimamente prescelto a vantaggio di colleghi nelle medesime condizioni.

1.3- Per altro verso occorre osservare che il criterio adottato con l'accordo del novembre 2012 è sufficientemente chiaro nel prevedere il licenziamento di quei lavoratori che avessero maturato, entro e sino al 31.12.15, il requisito pensionistico. Quel che rileva, in sostanza, è che l'azienda abbia provveduto a licenziare i lavoratori che abbiano raggiunto il requisito pensionistico entro il 31.12.15, non risultando, all'opposto, che essa abbia provveduto a licenziare successivamente lavoratori in possesso del detto requisito, rispetto a lavoratori che lo avessero maturato in epoca precedente.

Deve inoltre osservarsi che il criterio previsto dall'accordo sindacale del 22.11.2012 ben poteva prevedere, ex art. 24, comma 1, L. n. 223\1991, in un'ottica di corretta (rispondendo i requisiti adottati a criteri obiettivi e razionali, Cass. n. 4186\03) programmazione aziendale e di minor impatto sociale (essendosi previsto non il licenziamento contestuale di tutti i dipendenti in esubero, ma, nel tempo predeterminato del detto triennio, di quelli che avessero man mano raggiunto il requisito pensionistico, valorizzando il ruolo del sindacato nella ricerca di criteri che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva in linea con la volontà del legislatore sovranazionale, espressa nelle direttive comunitarie recepite dalla I. n. 223 del 1991 e codificata nell'art. 27 della Carta di Nizza, cfr. Cass. n. 19453\15), ed al fine di evitare il rinnovo dell'intera procedura per licenziamenti già programmati ed oggetto di procedura conclusasi con accordo sindacale, il licenziamento dei dipendenti che avessero maturato, entro il 31.12.15, il requisito pensionistico, scaglionando dunque nel tempo i licenziamenti, apparendo illogico imporre, per una riduzione di personale già oggetto di procedura ed accordo in sede sindacale, successive e plurime procedure per i lavoratori che man mano raggiungessero il requisito pensionistico entro l'arco temporale concordato.

1.4- Deve infine evidenziarsi che il lamentato margine di discrezionalità attribuito all'azienda circa il mantenimento in servizio di lavoratori licenziabili in base all'accordo, evidenziato dalla sentenza impugnata, riguardava unicamente i dipendenti aderenti all'esodo volontario (di cui all'accordo sindacale del 15.9.12), con previsione di un periodo massimo di nove mesi, e dunque di dipendenti estranei alla platea dei licenziandi, in quanto volontariamente cessati dal lavoro.

2. -Con il secondo ed il terzo motivo la ricorrente denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le partì (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.). Lamenta che la corte di merito equiparò erroneamente due distinte tipologie di dipendenti: quelli che maturavano il diritto a pensione e quelli che aderivano all'esodo incentivato, e che vi fosse un obbligo di far cessare immediatamente e contestualmente i dipendenti pensionabili, mentre l'accordo sindacale del 15.9.12 consentiva alla Banca di prorogare la data di cessazione dei rapporti di lavoro degli aderenti all'esodo, in un arco di tempo predeterminato.

3. - I motivi risultano assorbiti dall'accoglimento del primo motivo, non potendosi equiparare gli aderenti all’esodo incentivato e dunque di dipendenti estranei alla platea dei licenziandi, non aderenti all'esodo, per il raggiungimento del requisito pensionistico.

4. - Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata cassarsi, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, anche per la regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.