Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 novembre 2017, n. 26276

Fallimento - Istanza - Notificazione tramite PEC - Società cancellata dal registro delle imprese

 

Fatti di causa

 

Rilevato che:

1. A.B. s.r.l., in persona del l.r.p.t. e B.G. impugnano la sentenza App. Bologna 14.9.2016, n. 1563 in R.G. 1776/2016 con cui è stato rigettato il loro reclamo, interposto ex art. 18 l.f. avverso la sentenza dichiarativa del fallimento sociale, resa da Trib. Parma con sentenza 20.6.2016 su istanza dei creditori in epigrafe, il secondo ora controricorrente;

2. per la corte la correttezza della sentenza reclamata procedeva dalle seguenti circostanze e valutazioni: a) la notifica della istanza di fallimento, nei confronti della società in liquidazione cancellata, non era andata a buon fine a mezzo PEC e verso la società stessa, dove pure era stata tentata, risultando invece correttamente perfezionata alla società in capo al liquidatore, applicati i principi sull'art. 10 l.f.; b) altrettanto valida era la sequenza delle udienze, iniziate con quella del 21.12.2015 (regolarmente notificata), cui ne erano seguite altre alle quali la società non si era presentata e con nel frattempo ulteriori istanze di fallimento, per le quali non esisteva alcun obbligo di nuova notiziazione del debitore; c) la delibazione sommaria della istanza correttamente aveva condotto il tribunale ad affermarne la legittimazione a chiedere il fallimento; d) lo stato d'insolvenza risultava pienamente dagli esiti dello stato passivo, oltre che da esecuzioni pendenti;

3. il ricorso è su quattro motivi, ai quali resiste con controricorso il creditore L.I. s.r.l.

 

Motivi della decisione

 

Considerato che:

1. viene dedotta la violazione dell'art. 15 l.f. sotto molteplici profili e cioè a) la mancata notifica alla debitrice di entrambe le istanze di fallimento, "a prescindere dalla costituzione o meno della società", tanto più nel caso di anticipazione di una delle udienze già fissate; b) la notifica delle istanze di fallimento anticipata a carico di società cancellata doveva avvenire direttamente in capo al liquidatore e non alla società; c) il giudice delegato non aveva il potere di abbreviare i termini di comparizione; d) la L.I. s.r.l. si era inammissibilmente costituita oltre il termine perentorio dei 10 giorni prima dell'udienza fissata sul reclamo, senza più poter svolgere attività;

2. il ricorso è inammissibile; sul primo motivo, la sentenza impugnata dà atto che la notifica a mezzo PEC verso la società non è andata a buon fine e che comunque è stata attuata positivamente la notifica dell'istanza di fallimento per essa ed in capo al liquidatore, il che toglie pregio alla doglianza, apparendo pienamente rispettato il procedimento d'instaurazione del contraddittorio e divenendo, per tali sole ragioni, carenti d'interesse sul punto i ricorrenti, oltre che esponenti doglianze del tutto generiche ; va invero menzionato, sotto il primo profilo, il principio per cui «in caso dì società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere notificato, ai sensi dell'art. 15, comma 3, l.fall., nel testo successivo alle modifiche apportate dall'art. 17 del d.l. n. 179 del 2012, conv. con modif. nella I. n. 221 del 2012, all'indirizzo di posta elettronica certificata della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero, nel caso in cui non risulti possibile - per qualsiasi ragione - la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante dal registro delle imprese» (Cass. 17946/2016, 26333/2016, 602/2017);

3. in fatto, la società è stata dunque destinataria di una cura istruttoria più ampia di quanto pur consentito dalla lezione corrente formatasi sull'art. 15 l.f. e sulla notifica tramite PEC alle società cancellate da meno di un anno; si osserva che la società non specifica quale vizio nell'iter notificatorio in capo alla società abbia riguardato tale vicenda, ai sensi dell'art. 15 co. 3 l.f., avendo del tutto genericamente per un verso invocato un inesistente principio di inidoneità della società cancellata a ricevere qualsiasi notifica nell'anno e per altro verso omesso di contestare l'affermazione di "corretta esecuzione" della notifica alla società "in persona di B.G., liquidatore";

4. la stessa ratio appena esposta sorregge l'inammissibilità del secondo motivo, che peraltro s'imbatte nel principio, parimenti consolidato, per cui «anche a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, nel procedimento per dichiarazione di fallimento al debitore, cui sia stato regolarmente notificato il ricorso nel rispetto delle forme previste dalla legge, non devono essere necessariamente notificati i successivi ricorsi che si inseriscano nel medesimo procedimento, avendo egli l'onere di seguire l'ulteriore sviluppo della procedura e di assumere ogni opportuna iniziativa in ordine ad essa, a tutela dei propri diritti. Pertanto, la circostanza che il fallimento venga dichiarato su istanza di un creditore diverso rispetto a quello da cui proviene la notificazione del ricorso non lede il diritto di difesa, a meno che il debitore non deduca di non essere stato in grado di allegare tempestivamente circostanze idonee a paralizzare l'istanza ulteriore e diversa rispetto a quella che gli era stata tempestivamente notificata» (Cass. 24968/2013, 98/2016);

5. con il terzo motivo, da un lato, la parte omette di allegare la decisività del dedotto vizio, così contravvenendo al principio - regolatore dell'interesse pubblicistico all'ordinata gestione dell'insolvenza dell'impresa secondo le regole della concorsualità, tuttora tutelato dalla dichiarazione di fallimento - per cui «la particolare natura dell'istruttoria prefallimentare, non riducibile ad un processo tra parti contrapposte, in quanto idonea a dar luogo (nel caso di accoglimento della domanda) ad un accertamento costitutivo valevole "erga omnes"» (Cass. 24968/2013) e la natura del vizio del relativo procedimento esigono la deduzione della specifica incidenza che la supposta violazione processuale di tipo organizzativo avrebbe recato alla parte, impedendole di esercitare e in quali ambiti il proprio diritto di difesa, onere non assolto; d'altro lato, la specifica anticipazione dell'udienza, adottata con provvedimento del giudice delegato (e parimenti oggetto di notifica alla società) in un'istruttoria di cui la parte era stata avvisata, fanno presumere che nella delega all'attività di conduzione del procedimento rientrasse altresì l'esercizio degli stessi poteri, di anticipazione e di abbreviazione, previsti daIl'art. 15 l.f. in capo al presidente del tribunale delegante, né sul punto la parte ha anche solo esposto un dubbio di esorbitanza da tale delega; tanto più che il decreto di anticipazione, nell'allegazione non contestata del controricorrente, proveniva dallo ‘Ufficio del giudice delegato ai fallimenti’, ove il magistrato svolgeva funzioni di presidenza del collegio;

6. l'inammissibilità del quarto motivo consegue alla genericità del vizio dedotto, avendo i ricorrenti omesso di precisare quale attività difensiva di L.I. s.r.l., penalizzata in ipotesi dalla tardiva costituzione in sede di reclamo, avrebbe implicato un diverso e decisivamente alternativo esito in capo alla corte d'appello; sul punto, va ripetuto che «nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, quale disciplinato dall'art. 18 legge fall, (nel testo novellato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), il termine per la costituzione della parte (nella specie, la resistente curatela fallimentare) è perentorio, anche in mancanza di un'espressa dichiarazione normativa, senza che tuttavia il suo mancato rispetto implichi decadenza della parte che vi sia incorsa dal diritto di opporsi al predetto reclamo, potendo dunque essa intervenire nel relativo procedimento con le limitazioni che la tardività determina per la formulazione di determinate difese» (Cass. 12986/2009, 2235/2017);

7. ne consegue la inammissibilità del ricorso e la condanna alle spese del procedimento secondo la regola della soccombenza e con liquidazione come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in euro 7.100 (di cui 100 euro per esborsi), oltre al 15% a forfait sul compenso e agli accessori di legge; ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla l. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.