Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 novembre 2017, n. 26599

Licenziamento disciplinare - Ammanchi di cassa - Dichiarazioni testimoniali - Principio dell'acquisizione della prova - Ogni emergenza istruttoria raccolta è utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza - Prove costituite da presunzioni - Valutazione del giudice di merito - Idoneità degli elementi presuntivi per dedurre l'esistenza di un fatto principale ignoto - Presunzioni semplici - Connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza convincenti, sia pure con qualche margine di opinabilità - Insindacabilità in sede di legittimità se la motivazione è immune da vizi logici o giuridici

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Firenze con sentenza pubblicata l'8 maggio 2014, in riforma della pronuncia emessa in primo grado dal giudice del lavoro di Livorno - che aveva accolto la domanda del lavoratore D.M. - rigettava la domanda di costui, volta ad invalidare, con ogni conseguente tutela reale ex articolo 18 L. n. 300/70, il licenziamento intimatogli da A. S.p.a. nel febbraio dell'anno 2008 in relazione ad ammanchi di cassa, desunti dalla mancata registrazione della vendita di alcune merci presso l'esercizio pubblico dove il dipendente prestava servizio come barista addetto pure alla cassa, con conseguente appropriazione delle relative somme (fatti accaduti nelle notti 21, 23 e 24 febbraio 2008). Secondo la Corte fiorentina, i fatti contestati in via disciplinare erano provati dalle dichiarazioni testimoniali acquisite, laddove, al di là di poco significative incongruenze e/o contraddizioni, risultava dimostrato che il D. in più occasioni aveva incassato il prezzo delle vendite, però senza emettere i rispettivi scontrini fiscali. Il fatto, dunque, era di estrema gravità ed integrava la giusta causa dell'intimato recesso, anche sotto il profilo soggettivo, a nulla rilevando in senso contrario la mancanza di precedenti disciplinari a carico dell'incolpato e la modica entità delle somme riscosse e non registrate.

Avverso la suddetta pronuncia di appello ha proposto tempestivo ricorso per cassazione

D.M. con due motivi (I. violazione e falsa applicazione, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., dell'onere probatorio ex artt. 2697 c.c., 5 L. n. 604 del 1966 e di altre norme, segnatamente dell'art. 2727 c.c. in tema di presunzioni; omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, soprattutto in ordine al difettoso funzionamento dei registratori di cassa ed al mancato rinvenimento delle somme di danaro non registrate nella disponibilità del lavoratore, in relazione all'art. 360 n. 5 del codice di rito).

A. S.p.A. ha resistito all'impugnazione avversaria mediante controricorso, in seguito illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., eccependone l'inammissibilità e contestandone ad ogni modo la fondatezza.

 

Motivi della decisione

 

Il ricorso va disatteso in forza delle seguenti considerazioni.

Ed invero, quanto al primo motivo, inammissibilmente in questa sede di legittimità, attraverso le asserite violazioni di legge, il ricorrente tende in effetti ad ottenere una rivalutazione, ma in punto di fatto, degli elementi di cognizione, legittimamente acquisiti in sede istruttoria, in forza dei quali la Corte di merito ha ritenuto provata, con adeguata motivazione, la condotta ascritta in via disciplinare allo stesso D., secondo il convincimento formatosi al riguardo, riproponendo i dubbi in proposito nutriti dal giudice di primo grado, la cui decisione però è del tutto irrilevante sotto il profilo processuale, siccome integralmente riformata dalla sentenza pronunciata all'esito dell'interposto gravame, che è quindi l'unica a dispiegare effetti giuridici, perciò come tale soggetta a ricorso ex art. 360 c.p.c..

Orbene, la Corte distrettuale alla stregua delle menzionate relazioni investigative, scritte, tutte sostanzialmente confermate in sede di deposizioni testimoniali, ha accertato che in quattro occasioni (notte del 21 gennaio, notte tra il 23 ed il 24 e notte tra il 24 ed il 25 gennaio 2008) il dipendente aveva omesso di registrare gli incassi di quattro distinti acquisisti fatti da quattro diversi avventori nel pubblico esercizio dove lo stesso dipendente lavorava, essendo egli anche addetto alla cassa, laddove veniva riposto il ricavato in danaro contante di tali vendite, dì modo che agli acquirenti non era stata rilasciato alcuno scontrino, né consegnata alcuna ricevuta. Il prezzo delle vendite non registrate, inoltre, non era risultato comunque in cassa. Di conseguenza, tale ammanco andava ricondotto alla responsabilità del ricorrente, nella irrilevanza del fatto che il danaro non fosse stato rinvenuto o di quanti altri particolari dedotti da parte appellata. Infatti, secondo la corte toscana, anche se ammessi, in ipotesi, evenienze quali il malfunzionamento del registratore di cassa, l'impegno del D. in altre mansioni e la mancanza di dati identificativi degli oggetti pagati e non registrati, le stesse non apparivano idonee a porre in dubbio l'emergenza oggettiva delle rilevate condotte, il cui autore era stato identificato dagli accertatori, unitamente alla mancanza del danaro in cassa. Né appariva ragionevole, ad avviso dei giudici dell'appello, una preordinata macchinazione in danno del D., al quale sarebbero stati mostrati gli oggetti acquistati, ma provenienti da altro punto vendita, trattandosi di ipotesi risultata priva di riscontri, tenuto conto in particolare che gli oggetti de quibus corrispondevano per tipologia e quantità a quelli acquistati le notti precedenti. Era inoltre provato che il D. aveva operato alla cassa 5 nelle circostanze di tempo in cui furono espletati gli accertamenti de quibus. Né sì era trattato soltanto di mera omessa registrazione delle operazioni di vendita, visto che in base alle relazioni di servizio ed alle corrispondenti testimonianze, il prezzo era stato contestualmente pagato, ma senza che fosse stato trovato corrispondente importo di danaro in cassa. Dunque, a parte la provata omessa registrazione degli incassi ricevuti dal D. (fatto storicamente accertato), la Corte di Appello ha ritenuto altresì verosimile la conseguente indebita appropriazione, da parte di costui, del danaro, ancorché non rinvenuto sulla sua persona, o comunque nella sua immediata disponibilità, in quanto bene poteva essere occultato.

Pertanto, non si vede in qual modo nella specie risulterebbe violato, o falsamente applicato, gli artt. 2697 c.c. ovvero 5 L. n. 604/1966, trattandosi di norme che disciplinano soltanto onere probatorio e non già l'apprezzamento del risultato della prova stessa, a parte poi ogni altra considerazione per quanto concerne il c.d. principio dell'acquisizione della prova (v. tra le altre Cass. n. 15312 del 29/11/2000: nel vigente sistema processualcivilistico opera il principio cosiddetto dell'acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza. In senso analogo, Cass. II civ. n. 3564 del 25/03/1995, secondo cui in forza del principio c.d. dell'acquisizione della prova, ogni emergenza istruttoria, una volta inclusa nell'incarto processuale, può legittimamente essere utilizzata dal giudice, indipendentemente dalla sua provenienza e dagli obiettivi che la parte deducente si era prefissi con la sua deduzione.

Parimenti, secondo Cass. lav. n. 2302 del 10/04/1980, III civ. n. 2247 del 21/04/1979, I civ. n. 1123 del 05/02/1987).

Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne le presunzioni.

Invero, allorché la prova sia costituita da presunzioni, rientra nella valutazione del giudice di merito il giudizio circa l'idoneità degli elementi presuntivi addotti ad essere utilizzati dal giudice per dedurne l'esistenza di un fatto principale ignoto; la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per poter valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione non è sindacabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione immune da vizi logici o giuridici (Cass. III civ. n. 3321 del 19/02/2004. In senso analogo, v. ancora III civ. n. 6220 del 23/03/2005, secondo cui in tema di presunzioni semplici, vige il criterio secondo cui le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare apparire l'esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità. Il relativo accertamento non è censurabile in cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici).

D'altro canto, quanto al preteso vizio di motivazione di cui al II motivo di ricorso, va in primo luogo richiamato il principio (cfr. tra le altre Cass. I civ. n. 8767 del 15/04/2011), secondo cui al fine di adempiere all'obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (conformi, tra le varie, Cass. n. 5748 del 1995, nonché Sez. 6 - 1, ordinanza n. 12123 del 17/05/2013, secondo la quale l'obbligo di motivazione dei giudice è ottemperato mediante l'indicazione delle ragioni della sua decisione, ossia dei ragionamento da lui svolto con riferimento a ciascuna delle domande o eccezioni o a ciascuno dei motivi d'impugnazione, mentre non è necessario che egli confuti espressamente - pur dovendoli prendere in considerazione - tutti gli argomenti portati dalla parte interessata a sostegno delle proprie domande, eccezioni o motivi disattesi e cioè anche gli argomenti assorbiti o incompatibili con le ragioni espressamente indicate dal giudice stesso, dovendosi ritenere, diversamente, che la motivazione non possa qualificarsi come "succinta" nel senso voluto dall'art. 118 disp. att. cod. proc. civ.).

Nel caso di specie qui in esame, per giunta, risalendo la sentenza impugnata all'anno 2014, la motivazione di per sé neppure assume rilevo decisivo, dovendosi aver riguardo al nuovo testo dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. (<<...omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»). Di conseguenza, la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. sez. un. civ. n. 8053 del 07/04/2014, conformi id. n. 8054 del 07/04/2014, sez. 6 - 3 n. 21257 - 08/10/2014, id. n. 23828 del 20/11/2015. Inoltre, la citata sentenza delle S.U. n. 8053/14 ha chiarito come il novellato art. 360, primo comma, n. 5 abbia introdotto nell'ordinamento un vizio specifico, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; di conseguenza, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. In senso conforme, v. ancora la già citata sentenza n. 8054/2014, nonché Cass. VI civ. - 3 n. 25216 del 27/11/2014 ed ancor più recentemente III civ. n. 9253 - 11/04/2017).

Pertanto, alla stregua degli enunciati principi appare evidente come nella specie neppure il vizio di cui all'art. 360 n. 5 cit. sia nello specifico riscontrato per quanto nel complesso valutato ed apprezzato dalla Corte di Appello con la surriferita sentenza n. 436/14, qui impugnata, in relazione alla quale nessuna precisa e decisiva circostanza di fatto risulta essere stata pretermessa o sottovalutata dalla Corte territoriale.

Ne deriva che il ricorso va respinto, con conseguente condanna del soccombente alle spese, sussistendo altresì, di conseguenza, i presupposti di legge per il versamento dell'ulteriore contributo unificato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese, che liquida in euro #4000,00# per compensi ed in euro #200,00# per esborsi, oltre spese generali al 15%, I.V.A. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.