Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 novembre 2017, n. 26603

Ordinanza ingiunzione - Violazioni in materia di orario di lavoro - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 bis, co. 4, D.Lgs. n. 66/2003 - Criterio direttivo della Legge delega n. 39/2002 - Sanzioni amministrative identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi - Art. 18 bis, commi 3 e 4, del D.Lgs. n. 66/2003 - Originaria formulazione - Sanzioni molto più elevate rispetto a quelle previste dalla precedente normativa

 

Rilevato in fatto

 

che, la ricorrente, I.A. & C, impugna la sentenza n. 1881 depositata in data 27/9/2011, con la quale la Corte d'appello di Venezia confermava il rigetto ad ordinanza ingiunzione per violazioni in materia di orario di lavoro (art. 9, comma 1, d.lgs. n. 66/2003);

che, la Corte di secondo grado, per quanto rileva ai fini del presente giudizio, rigettava l'appello, ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dall'attuale ricorrente sull'art. 18 bis, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2003 (attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), per violazione dell'art. 76 Cost in relazione all'art. 2, comma 1, lett. c) della legge delega 1/3/2002 n. 39 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europea - Legge comunitaria 2001);

che, in particolare, la Corte territoriale ha fondato le ragioni del rigetto della questione di costituzionalità prospettata in merito alla violazione dei principi e criteri direttivi previsti dall'art. 2, comma 1, lett. c), della legge delega n. 39/2002, e nello specifico del criterio per cui - "In ogni caso saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni ed alle disposizioni dei decreti legislativi", basandosi sulla natura innovativa (sia in materia di orario giornaliero e settimanale che di riposo settimanale) del nuovo sistema normativo introdotto dal d.lgs. n. 66 del 2003, rispetto alla previgente disciplina normativa contenuta nell'art. 27 della legge n. 370 del 1934, recante disposizioni sanzionatorie sul riposo settimanale, e nell'art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923, per quanto riguarda la violazione delle norme sul riposo giornaliero e sull'orario di lavoro settimanale;

che, di conseguenza, l'affermata natura innovativa dell'art. 18 bis del d.lgs. n. 66 del 2003, conduceva, necessariamente, a ritenere l'insussistenza di qualsivoglia rapporto di omogeneità tra la vecchia e la nuova normativa, anche in considerazione dell'avvenuta abrogazione implicita e/o espressa disposta dal legislatore delegato nei confronti della prima, e ciò consentiva, ulteriormente, di valutare come infondata la violazione dei criteri direttivi e principi di delega contenuti nella legge n. 39 del 2002, in quanto quest'ultima prevedeva, espressamente, solo l'uniformità di un regime sanzionatorio per "violazioni omogenee";

che, avverso tale pronuncia, resa dalla Corte d'appello di Venezia, ricorre per cassazione la I.A & C, affidandosi ad un unico motivo che ripropone la questione di costituzionalità dell'art. 18 bis, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2003 già azionata nel giudizio di secondo grado;

che, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali resiste con controricorso.

 

Considerato in diritto

 

che, con l'unico motivo di ricorso la I.A. & C, denuncia in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 18 bis, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2003, in considerazione dell'incostituzionalità di tale disposizione per contrasto con l'art. 76 Cost., per avere il citato art. 18 bis, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2003 (emanato sulla base della delega contenuta nella legge n. 39 del 2002), violato il criterio direttivo della legge delega, per cui le sanzioni amministrative dovevano essere regolate secondo la previsione in base alla quale, in ogni caso "saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi";

che, il Collegio ritiene il ricorso meritevole di accoglimento nei limiti delle seguenti considerazioni;

che, infatti, successivamente alla proposizione del ricorso in disamina, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 153 del 21 maggio 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale (per contrasto con l'art. 76 Cost.) dell'art. 18 bis commi 3 e 4 del d.lgs. n. 66 del 2003;

che, pertanto, la questione che occupa consiste nel definire l'ambito e gli effetti che la citata sentenza della Corte costituzionale ha prodotto nella disciplina oggetto del presente giudizio;

che, ai fini del decidere appare, quindi, di fondamentale rilievo procedere alla ricostruzione del quadro normativo di riferimento;

che, con la legge del 1 marzo 2002 n. 39 (Disposizioni per l'adempimento obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001) veniva concessa al Governo la delega per l'attuazione di direttive comunitarie, tra le quali quelle in materia di orario di lavoro;

che, tale legge all'art. 2, comma 1, lettera c), stabiliva il criterio direttivo per cui le sanzioni amministrative dovevano essere regolate secondo la previsione, per la quale, in ogni caso "saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi";

che, in attuazione della delega, il d.lgs. n. 66 del 2003 agli artt. 4, 7 e 9, comma 1, regolava la materia dell'orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali , senza prevedere nell'originaria formulazione specifiche sanzioni per la violazione di dette norme, e quindi, implicitamente, rinviando per l'aspetto sanzionatorio a quanto previsto per la violazione delle regole sul riposo giornaliero alla sanzione di cui all'art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923, per la violazione della disciplina del riposo settimanale alla sanzione di cui all'art. 27 della legge n. 370 del 1934, e per la violazione della disciplina sull'orario di lavoro settimanale, sempre, alla sanzione di cui all'art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923;

che, il suddetto assetto normativo subiva, però, importanti modificazioni intervenute con l'entrata in vigore del d.lgs. 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell'orario di lavoro) il quale, con l'introduzione dell'art 18 bis del d.lgs. n. 66 del 2003, contemplava specifiche sanzioni per la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 4, commi 2, 3 e 4, 7, commi 1, e 9, commi, del citato d.lgs. n. 66 del 2003; sanzioni molto più elevate rispetto a quelle previste dalla citata, precedente, normativa;

che, sul contesto normativo così ricostruito, interveniva, quindi, la Corte costituzionale con la sentenza n. 153 del 2014;

che, con tale pronuncia la Corte dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 bis, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 66 del 2003 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, concernenti la regolamentazione dell'orario di lavoro);

che, la suddetta statuizione, scaturita a seguito di scrutinio avente ad oggetto la violazione dei principi della legge delega derivante dalla previsione, nell'art. 18 bis, del d.lgs. n. 66 del 2003, di sanzioni amministrative più elevate rispetto a quelle del sistema previgente, ed in particolare, il quesito concernente le sanzioni introdotte con il citato art. 18 bis, e se le stesse potessero essere considerate diverse, ed in tal caso, maggiori, rispetto "a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività", è stata articolata dalla Corte Costituzionale sulla base delle seguenti argomentazioni:

1) La sussistenza del rapporto di omogeneità tra le due normative sopra citate, costituisce, evidentemente, un aspetto decisivo, perché il riconoscimento dell'eventuale non omogeneità delle nuove sanzioni rispetto alle precedenti escluderebbe la sussistenza della violazione della legge delega;

2) Costituisce giurisprudenza pacifica della Corte Costituzionale, il principio secondo il quale, ove sia necessario verificare la conformità della norma delegata alla norma delegante, risulta necessario svolgere un duplice processo ermeneutico, da condurre in parallelo: l'uno, concernente la norma che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega, l'altro, relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi;

3) Nel determinare il contenuto della delega si deve tener conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonché delle finalità che la ispirano, che rappresentano non solo la base ed il limite delle norme delegate, ma anche lo strumento esegetico per la loro interpretazione;

4) Tra i due sistemi normativi, quello di cui al r.d.l. n. 692 del 1923 e quello introdotto con il d.lgs. n. 66 del 2003, intercorre una sostanziale coincidenza nella logica di fondo che ispira i due diversi sistemi: entrambi sanzionano l'eccesso di lavoro e lo sfruttamento del lavoratore che ne consegue, ponendo limiti all'orario di lavoro giornaliero e settimanale ed imponendo periodi di necessario riposo;

5) "Il sistema delineato dal d.lgs. n.66 del 2003, pur in parte diverso da quello passato, presenta una definizione dei limiti di lavoro e delle relative violazioni omogenea rispetto a quella precedente;

che, dall'esame combinato della motivazione e del dispositivo della citata pronuncia del Giudice delle leggi, emerge, inequivocabilmente la sua natura abrogativa, con la conseguente necessità, in relazione al presente giudizio di dover asseverare gli effetti dalla stessa determinati;

che, su tale tematica (effetti della sentenza della Corte costituzionale su una disposizione di legge abrogativa di altra legge precedente), occorre dare continuità ad un principio di diritto affermato da questa Corte in tempi, peraltro, non recenti (Cass. n. 3284 del 1979), secondo il quale, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge abrogativa di altra legge precedente, ridiventa operante la norma abrogata dalla disposizione dichiarata illegittima, in quanto con la perdita fin dall'origine dell'efficacia della norma, vengono travolti anche gli effetti abrogativi che essa produceva, a differenza dell'abrogazione legislativa che opera soltanto dall'entrata in vigore del provvedimento che la contiene e che, quindi, salvo che sia espressamente disposto, non ha effetto ripristinatorio delle norme precedenti, che erano state a loro volta da esso abrogate;

che, le pronunce di legittimità ad essa successive (ex plurimis Cass. n. 3093 del 1989 - Cass. n. 13813 del 2000 - Cass. n. 13182 del 2010 - Cass. n. 257 del 2012) hanno da un lato confermato (la n. 3093/1989 e la n. 13813/2000) il principio di reviviscenza della normativa abrogata da altra disciplina legislativa a sua volta abrogata all'esito di declaratoria di illegittimità costituzionale, e dall'altro (la n. 13182/2010 e la n. 257/2012), escluso l'operatività del principio di reviviscenza di normativa precedentemente abrogata, solo nell'ipotesi, peraltro, non ricorrente nel caso in disamina, di normativa e correlate fattispecie concrete per le quali si rendeva indispensabile, a seguito della pronuncia di incostituzionalità, il successivo intervento, discrezionale, del legislatore;

che, pertanto, alla luce di quanto sopra, deve trovare applicazione, anche, nel caso di specie il richiamato principio della reviviscenza normativa, con conseguente efficacia applicativa, nell'arco temporale disciplinato dall'abrogato art. 18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003, della precedente disciplina ricavabile dal r.d.l. n. 692/23 e dalla legge n. 370/34;

che, a siffatta conclusione, non osta il fatto che quest'ultima normativa, della quale è stata ora affermata la reviviscenza, sia stata abrogata, espressamente, non dall'art. 18-bis, ma dall'art. 19 dello stesso d.lgs. n. 66 del 2003, disposizione, però, quest'ultima che non è stata oggetto della pronuncia di incostituzionalità,

che, infatti, sussistono vari elementi esegetici che consentono di ritenere la sentenza della Corte costituzionale n. 153/2014 in toto abrogativa del sistema sanzionatorio introdotto dal d.lgs. n. 66 del 2003, in particolare: 1) Sulla base della ricostruzione della cornice normativa come sopra esposta emerge che gli artt. 4, 7 e 9, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2003, nella originaria formulazione, regolavano la materia dell'orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali, senza prevedere specifiche sanzioni per la violazione di dette norme; 2) Pare evidente che tale silenzio del legislatore collegato con la direttiva della legge delega n. 39 del 2002 che, in materia sanzionatoria imponeva il rispetto del rapporto di omogeneità del nuovo sistema sanzionatorio rispetto a quello previgente, induce a ritenere che il legislatore, nella specie, abbia inteso normare, implicitamente, la materia sanzionatoria riferimento al previgente sistema contenuto nel r.d.I., n. 92/1923, e nella legge n. 370/1934; 3) Di conseguenza, l'introduzione dell'art. 18-bis del d.lgs. n. 66/2003, che, invece, ha disciplinato espressamente la materia sanzionatoria, ha comportato, necessariamente, l'abrogazione della previgente normativa, atteso che il successivo art. 19, recante "disposizioni finali e deroghe" ha previsto l'abrogazione di "tutte le disposizioni legislative e regolamentari nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo, salve le disposizioni espressamente richiamate e le disposizioni aventi carattere sanzionatorio", e tale ultima disposizione non è riferibile al precedente regime sanzionatorio, posto che nel regolamentare il nuovo regime sanzionatorio il legislatore riteneva che non fossero vigenti, al tempo, norme regolanti il sistema sanzionatorio;

che, infatti, ciò è, autorevolmente, confermato nel passaggio motivazionale della citata sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 2014, laddove si dà conto dell'errore in cui è incorso il legislatore che, come si evincerebbe dalla consultazione degli atti parlamentari "ha riformato il sistema sanzionatorio nella erronea convinzione di poter intervenire liberamente per l'assenza di norme sanzionatorie precedenti"; che, le considerazioni sin qui svolte impongono l'accoglimento del ricorso;

che, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad un nuovo giudice il quale si atterrà nella decisione della controversia ai principi di diritto sopra affermati in materia di effetti conseguenti a sentenze dichiarative di incostituzionalità delle leggi.

 

P.Q.M.

 

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.