Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 31 ottobre 2017, n. 25950
Tributi - ICI - Aree fabbricabili - Delibera della giunta municipale - Determinazione dei valori sulla base di specifica stima tecnica - Indici di valutazione utilizzabili anche retroattivamente - Legittimità - Mancanza di relazione tecnica di parte
Esposizione dei fatti di causa
1. La società D.R.S. s.p.a. proponeva ricorso avverso quattro avvisi di accertamento emessi dalla società A. Se. S.r.l., per conto del Comune di Pomezia, per l'Ici relativa agli anni di imposta dal 2002 al 2005 relativamente a due aree fabbricabili di proprietà della società stessa. La commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva i ricorsi. Proponeva appello il Comune di Pomezia, quale titolare del credito d'imposta subentrato alla A.Ser. S.r.l., e la commissione tributaria regionale del Lazio lo accoglieva sul rilievo, per quanto qui interessa, che, con riguardo alla misura dell'imposta dovuta, doveva farsi riferimento alla delibera numero 160 del 20 dicembre 2007 che aveva determinato i valori sulla base di una specifica stima tecnica che, in mancanza di relazione tecnica di parte avente segno diverso, non aveva motivo di essere ritenuta infondata.
2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la società contribuente affidato a quattro motivi illustrati con memoria. Resiste con controricorso il Comune di Pomezia. Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte a norma dell'art. 380 bis. 1 cod. proc. civ.
3. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per violazione degli articoli 53 del decreto legislativo 546/92, 342, 346 e 112 cod. proc. civ. Sostiene che ha errato la CTR nel non dichiarare inammissibile l'appello proposto dal Comune in considerazione del fatto che esso non conteneva la proposizione di specifici motivi di appello.
4. Con il secondo motivo deduce omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod.proc.civ. Sostiene che la CTR è incorsa nel dedotto vizio per non aver statuito in ordine alla eccepita carenza di motivazione dei quattro avvisi di accertamento impugnati.
5. Con il terzo motivo deduce omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in quanto era stato eccepito che il valore delle aree era stato determinato con metodo sintetico comparativo, ossia con metodo non previsto dalla normativa in materia di ICI e mutuato dall'articolo 51 del d.p.r. 131/1986 laddove l'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 504/92 stabilisce che per le aree fabbricabili il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1 gennaio dell'anno di imposizione. Sostiene che la CTR ha omesso di motivare in ordine al punto dedotto.
6. Con il quarto motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione all'articolo 11 del decreto legislativo 504/1992 poiché la CTR non ha fatto corretta applicazione dell'articolo 11, comma 4, del decreto legislativo 504/92, afferente la sottoscrizione degli atti, posto che gli avvisi di accertamento erano stati sottoscritti dall'amministratore delegato della A. Ser. Srl e non dal funzionario designato con delibera della giunta comunale.
1. Preliminarmente osserva la Corte che il controricorso è inammissibile in quanto è stato presentato per la notifica all'ufficio Unep della Corte d'appello di Roma il 4.12.2012 laddove il ricorso introduttivo è stato notificato il 6.9.2012, dunque oltre il termine previsto dall'art. 370 cod. proc. civ.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto la ricorrente ha omesso di trascrivere l'atto di appello proposto dal Comune di Pomezia, non consentendo alla Corte di valutare, sulla base degli atti, la fondatezza della censura proposta. È principio costantemente affermato dalla Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 14784 del 2015, n. 26489, n. 19306 e n. 14541 del 2014), quello secondo cui, in base al disposto di cui all'art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità ... la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda", che ha codificato il principio di autosufficienza, il ricorso deve contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 15952 del 2007). Si è perciò di nuovo ricordato che la disposizione di cui all'art. 366 c.p.c., primo comma, n. 6, "costituente la conseguenza del principio di autosufficienza dell'esposizione del motivo di ricorso per cassazione", impone di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, "gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso si fonda mediante riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura, oppure attraverso una riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l'indiretta riproduzione" (cfr. Cass. n. 1142 del 2014). Con specifico riferimento, poi, al vizio di cui al n. 4 dell'art. 360 c.p.c. è stato più volte ribadito che l'attribuzione al giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito non è sufficiente a consentire il vaglio del denunciato vizio procedurale essendo, invece, necessario e preliminare a quell'esame, la verifica dell'ammissibilità del motivo di censura sotto il profilo della sua specificità ed autosufficienza, perché "solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali" (Cass. n. 12664 del 2012; Cass. n. 896 e n. 8008 del 2014). In buona sostanza, quando viene denunciato un vizio procedurale ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. riguardante atti dei precedenti gradi di giudizio di merito, la Corte, che è anche giudice del fatto, può accedere direttamente all'esame degli atti processuali del fascicolo di merito se in tal senso sollecitato dalla parte, ma non in base ad qualsiasi generica deduzione di nullità, formulata in termini meramente assertivi, ma - in conformità al requisito di autosufficienza del ricorso che trova fondamento normativo nell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) - soltanto a seguito di una specifica allegazione dei fatti processuali e, dunque, di una completa ricostruzione della vicenda processuale attraverso la trascrizione del contenuto di quegli atti che, in relazione alla sequenza processuale, consentono di fornire una chiara rappresentazione del vizio denunciato (Cass. n. 12664 del 2012).
3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile poiché è privo del requisito dell'autosufficienza sancito dall'art. 366 cod. proc. civ., avendo il ricorrente censurato la sentenza della commissione tributaria regionale sotto il profilo della omissione del giudizio espresso in ordine alla motivazione degli avvisi di accertamento senza riportarne testualmente i passi. Ciò facendo la ricorrente non ha consentito la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, dovendosi considerare che il predetto avviso non è un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento (cfr. Cass. n. 9536 del 19/04/2013; Cass. n. 8312 del 04/04/2013).
4. Il terzo motivo è inammissibile in quanto involge questioni di merito in ordine al criterio di determinazione del valore delle aree, avendo la CTR rilevato che il Comune aveva applicato la delibera n. 160 del 20.12.2007 la quale era stata adottata sulla base di una perizia non confutata dalla ricorrente. Va rilevato, invero, che la Corte di legittimità ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili, la delibera con cui la giunta municipale provvede, ai sensi dell'art. 52 della legge n. 446 del 1997, ad indicare i valori di riferimento delle aree edificabili, come individuati dall'ufficio tecnico comunale sulla base di informazioni acquisite presso operatori economici della zona, è legittima, costituendo esercizio del potere, riconosciuto al consiglio comunale dall'art. 59, lett. g), della legge n. 446 cit. e riassegnato alla giunta dal d.lgs. n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del comune qualora l'imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza, idonei a costituire supporti razionali offerti dall'Amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente (Cass. n. 16620 del 05/07/2017; Cass. n. 15555 del 30/06/2010).
5. Il quarto motivo è inammissibile. Invero, da un lato la ricorrente non ha trascritto l'atto di appello sì che non è dato evincere se la censura di che trattasi sia stata riproposta nel giudizio di secondo grado. Dall'altro lato, a norma dell'art, 52, comma 5, lett. b, del d. Igs 446/97, il Comune può deliberare di affidare a terzi, anche disgiuntamente, la liquidazione, l'accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate. La ricorrente deduce che la CTP aveva accertato che il Comune di Pomezia aveva adottato il relativo regolamento ma non ha dedotto di aver contestato in appello lo specifico assunto della commissione provinciale in ordine all'adozione di detto regolamento, sola circostanza che rendeva legittimo l'affidamento a terzi dell'accertamento delle imposte.
6. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al Comune di Pomezia le spese processuali che liquida in euro 5.600,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed oltre agli accessori di legge.