Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 05 settembre 2017, n. 20783

Imposte sui redditi - Accertamento - Atto impositivo - Notifica a mezzo posta

 

Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi, il contribuente censura la sentenza della CTR della Toscana, per violazione dell'art. 16 commi 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 546 e degli artt. 3 e 4 della legge n. 890 del 1982, per inesistenza della notifica e conseguente nullità dell'atto introduttivo del giudizio d'appello, nonché della sentenza emessa all'esito del medesimo, in quanto la notifica relativa all'appello dell'ufficio sarebbe avvenuta direttamente tramite il servizio postale in busta raccomandata con avviso di ricevimento, invece che a mezzo di ufficiale giudiziario, con la predisposizione della relata di notifica; mentre, con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente ha denunciato la violazione delle norme che stabiliscono il principio di ripartizione dell'onere della prova con riferimento all'accertamento sintetico del reddito del contribuente a fronte del quale quest'ultimo è tenuto a fornire mere giustificazioni della propria capacità di spesa.

Il ricorso è infondato.

Con riferimento al primo motivo di censura, è insegnamento di questa Corte, quello secondo cui "In caso di notificazione a mezzo posta dell'atto impositivo, eseguita direttamente dall'Ufficio finanziario, si applicano le norme concernenti la consegna dei plichi raccomandati, in quanto le disposizioni di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890 concernono esclusivamente la notifica eseguita dall'ufficiale giudiziario ex art. 149 cod. proc. civ. Ne consegue che non va redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull'avviso di ricevimento in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico, e l'atto pervenuto all'indirizzo del destinatario deve ritenersi ritualmente consegnato a quest'ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 cod. civ., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell'impossibilità di prenderne cognizione."(Cass. nn. 15315/14, 9111/12). Nel caso di specie, ad ogni buon conto, il ricorrente si è pienamente difeso nel merito, senza alcun pregiudizio del diritto di difesa.

Il secondo motivo di ricorso è, in via preliminare, inammissibile, in quanto afferisce a profili di merito, vertenti sulla sostanza del valore probatorio assegnato agli elementi raccolti, più che a un presunto errore di diritto nell'applicazione della regola generale sul riparto dell'onere della prova.

Il motivo di censura, nel merito sarebbe, comunque, infondato, in quanto l'accertamento sintetico, ex art. 38 del DPR n. 600/73 comporta un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente circa la sussistenza e il possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta che abbiano consentito le spese indicatrici della capacità contributiva contestata (Cass. n. 5365/14), o che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 9539/13). Peraltro, in tema di prova d'incrementi patrimoniali a titolo gratuito, è insegnamento di questa Corte che "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi dell'art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973,(applicabile "ratione temporis"), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all'interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l'entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall'accertamento" (Cass. ord. n. 1332/16).

Nel caso di specie, i documenti prodotti dal contribuente per sostenere la tesi dell'incremento patrimoniale a titolo gratuito sono privi di alcuna validità e attendibilità, come correttamente evidenziato dai giudici d'appello, attesa la mancata produzione di un estratto conto ovvero la prova del carattere liberale di alcuni movimenti finanziari.

La spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la società intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 4.100,00, in favore dell'Agenzia delle entrate, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso articolo 13.