Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 26 ottobre 2016, n. 21619

Imposta di registro - Registrazione sentenza di condanna a somme di denaro - Imposta dovuta per la registrazione dell’atto

 

Svolgimento del processo

 

La controversia riguarda l'impugnazione dell'avviso di liquidazione emesso dall'Agenzia delle Entrate, per la registrazione di una sentenza di condanna a somme di denaro e per l'atto soggetto a registrazione in essa enunciato.

La CTP accoglieva il ricorso della contribuente, mentre la CTR, in parziale accoglimento dell'appello dell'ufficio, riteneva legittima la pretesa impositiva relativa all'imposta dovuta per la registrazione della sentenza (ma non per l'atto, pur soggetto a registrazione, in essa enunciato).

Avverso quest'ultima sentenza, la ricorrente ha proposto ricorso davanti a questa Corte di Cassazione, sulla base di due motivi, mentre l'ufficio ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, sulla base di due motivi.

 

Motivi della decisione

 

Con i primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, la contribuente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in particolare, degli artt. 7 legge n. 212 del 2000 e dell'art. 8 della tariffa allegata al DPR n. 131/86, in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto i giudici d'appello avrebbero erroneamente ritenuto l'avviso d'accertamento correttamente motivato per quanto atteneva al pagamento dell'imposta di registro sulla sentenza, poiché conteneva tutte le indicazioni degli estremi di questa, ma senza tenere in considerazione che la stessa non era stata allegata, in violazione delle norme indicate in rubrica, con riferimento, altresì, all'effettiva assoggettabilità a tassazione proporzionale della stessa sentenza, in relazione al contenuto e agli effetti che emergevano da essa, e di cui l'ufficio non aveva dato conto.

Il motivo è infondato.

Infatti, l'avviso risulta correttamente motivato, in quanto riporta non solo la data e il numero della sentenza (estremi che da soli non sarebbero, di per sé, sufficienti a rendere edotto il contribuente della pretesa impositiva, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 212 del 2000, v. Cass. n.18532/10), ma, altresì, l'organo giudicante che l'ha emanata (v. avviso, in atti), di talché la contribuente non poteva dedurre di non conoscerla, in quanto vi aveva preso parte, costituendosi in giudizio.

D'altra parte, che la sentenza andasse tassata in misura proporzionale (3%), emerge (v. sentenza, in atti), ai sensi dell'art. 8 comma 1 lett. b) della tariffa allegata al DPR n. 131/86, infatti, il dispositivo reca, per tabulas, la condanna al pagamento di una somma di denaro.

Con i due motivi di ricorso incidentale, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, l'ufficio denuncia, da una parte, il vizio di violazione di legge, in particolare, dell'art. 58 del d.lgs. n. 546/92, in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., e dall'altra, denuncia il vizio di motivazione omessa su un fatto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., in quanto i giudici d'appello avrebbero erroneamente espunto dal fascicolo di secondo grado la sentenza del Tribunale di Belluno n. 165/05 del 2.2.2005, perché prodotta solo in grado d'appello, e ciò, in violazione della norma indicata in rubrica, che consente la produzione di nuovi documenti anche in appello. Dalla lettura di tale atto giudiziario, la CTR non avrebbe potuto ignorare l'enunciazione, in essa, dell'atto non registrato, consistente nella scrittura privata di riconoscimento del debito, per l'importo di € 1.067.16,41 che Z.G. si era impegnato a restituire entro una certa data all'odierna ricorrente, e per la cui mancata esecuzione fu instaurato il giudizio civile, sfociato nella sentenza sopra menzionata; l'enunciazione di tale atto non registrato, ai sensi dell'art. 22 del DPR n. 131/86, giustificava la pretesa impositiva e le sanzioni, che invece, erano state immotivatamente disconosciute dalla CTR, in quanto aveva erroneamente ritenuto di poter espungere tale fondamentale documento dal fascicolo.

L'articolata censura è fondata.

È, infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui "In tema di contenzioso tributario, il giudice d'appello può fondare la propria decisione sui documenti tardivamente prodotti in primo grado, purché acquisiti al fascicolo processuale in quanto tempestivamente e ritualmente prodotti in sede di gravame entro il termine perentorio di cui all'art. 32, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, di venti giorni liberi prima dell'udienza, applicabile in secondo grado stante il richiamo, operato dall'art. 61 del citato decreto, alle norme relative al giudizio di primo grado" (Cass. n. 3661/15, ord. n. 22776/15, 7714/13). Nel caso di specie, i giudici del merito hanno erroneamente applicato il divieto di nuove prove (volte ad allargare il thema probandum ac decidendum) di cui all'art. 58 comma 1 del d.lgs. n. 546/92, alla produzione di nuovi documenti, di cui all'art. 58 comma 2 d.lgs. n. 546/92 cit., che è, invece, ammissibile anche in grado d'appello e anche se sono preesistenti al giudizio di primo grado, nonostante il divieto di cui all'art. 345 c.p.c., per la specialità del giudizio tributario, sancita dall'art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 546/92 (Cass. n. 18907/11).

In riferimento alla legittimità, della tassazione dell'atto enunciato nella sentenza erroneamente espunta, consistente nella scrittura privata di riconoscimento del debito rimasta inadempiuta, secondo la giurisprudenza di questa Corte "In tema di imposta di registro, il potere dell'Amministrazione finanziaria di sottoporre a registrazione contratti (nella specie, una transazione) enunciati in atti giudiziari e soggetti a registrazione in caso di uso, è limitato alle sole prestazioni che siano ancora da eseguire. Ne consegue che ove la parte abbia integralmente adempiuto all'obbligazione pecuniaria derivante dalla transazione (sì da determinare, nella specie, l'estromissione dal processo) l'imposta non è dovuta" (Cass. n. 24102/14, 22230/15, ord. n. 4096/12, 22243/15). Nel caso di specie, l'obbligo di restituzione della somma, di cui Z.G. si era riconosciuto debitore, è rimasto inadempiuto, tant'è vero che l'odierna contribuente ha incardinato il giudizio civile, sfociato nella sentenza più volte menzionata, di condanna al pagamento in favore di quest'ultima, di quella stessa somma di denaro, di cui, come detto, lo Z. si era riconosciuto debitore.

Va, conseguentemente rigettato il ricorso principale e accolto il ricorso incidentale, cassata senza rinvio l'impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l'originario ricorso introduttivo.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di merito a seguito della già operata compensazione da parte delle CTR, ponendosi a carico della intimata le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale, cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna la società intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.