Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 marzo 2018, n. 7839

Licenziamento disciplinare - Contestazione tardiva - Momento dell'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dell'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi - Esigenza di osservanza della regola di buona fede e correttezza - Complessità dell'organizzazione del datore di lavoro e complessità della valutazione dei fatti contestati - Vizio di ultrapetizione - "Error in procedendo" e non come "error in iudicando"

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Firenze, confermando l'ordinanza pronunciata ai sensi della legge nr. 92 del 2012, art. 1, comma 57, dichiarava la legittimità del licenziamento intimato a C. L. dalla BANCA M. D. P. di S. S.p.A. con lettera del 14.4.2014.

2. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 5.11.2015 - 11.11.2015 (nr. 752 del 2015), respingeva il reclamo proposto dal lavoratore e confermava la legittimità dell'atto di recesso.

Per quello che rileva in questa sede, la Corte territoriale, richiamati i principi di buona fede e correttezza, escludeva che la contestazione nel 2014 di fatti commessi tra il 2012 ed il 2013 potesse ritenersi tardiva; ciò in quanto, se alcuni fatti erano più risalenti nel tempo, altri risultavano prossimi alla determinazione datoriale di accertamento e contestazione che faceva seguito al reclamo di un terzo; il controllo ispettivo, cioè, astrattamente eseguibile anche prima, non aveva rappresentato, nel passato, un adempimento esigibile in ragione del vincolo fiduciario cui era improntato il rapporto di lavoro, mentre lo era divenuto in prossimità della contestazione quando, denunciati determinati episodi, si era reso necessario un approfondimento capillare e complesso.

In merito, poi, alla sussistenza delle condotte contestate ed alla loro idoneità ad integrare una giusta causa di recesso, la Corte di merito osservava come già solo quelle pacifiche tra le parti fossero tali da pregiudicare irrimediabilmente la relazione fiduciaria connessa al rapporto controverso.

In particolare, lo era l'intestazione fittizia di carte prepagate da parte del ricorrente e la destinazione dei relativi importi al cliente C. C. (parente del dipendente), trattandosi di un artificio specificamente e dolosamente diretto a consentire ad un soggetto, di cui era nota al lavoratore la condizione di fallito e debitore della banca, di disporre di denaro (in misura peraltro non modesta) con pregiudizio dell'istituto di credito e di eventuali altri creditori; artificio di cui il C. ( lavoratore) era pienamente responsabile anche ove alla sua ideazione e realizzazione avesse concorso il direttore di filiale, non essendo stato indotto alla condotta contestata da un ordine del superiore.

Lesivo del vincolo fiduciario era, altresì, il comportamento di retrodatazione degli importi delle retribuzioni, che pregiudicava l'interesse patrimoniale della banca e, del pari, era stata realizzato con artificio; anche in questo caso, la Corte distrettuale osservava come la responsabilità di altri colleghi (nella specie, i materiali esecutori della retrodatazione) non attenuasse la gravità dei fatti, di cui il Caprini era richiedente e beneficiario.

3. Avverso tale sentenza C. L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a 4 motivi, al quale ha resistito con tempestivo controricorso M. D. P. di S. S.p.A.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. - la violazione e falsa applicazione degli artt. 2109 cod. civ e 112 cod. proc. civ.

Secondo il lavoratore, la Corte territoriale sarebbe incorsa in un vizio di ultrapetizione, violando, altresì, il giudicato interno, nella parte in cui avrebbe preso in considerazione, nell'ambito della motivazione, profili di responsabilità esclusi dal giudice di primo grado e non oggetto di appello da parte della società.

5. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

La censura, in parte qua, in quanto attinente ad un vizio di attività del giudice, andava veicolata ai sensi dell'art. 360 nr. 4 cod. proc. civ., come error in procedendo e non come error in iudicando; occorre anche rilevare, a prescindere dal rilievo formale, che è assente, nell'illustrazione del motivo, qualsiasi riferimento alla nullità della decisione derivante dal vizio denunciato ( cfr. Cass, sez. un., 17931 del 2013).

Decisivo il rilievo esposto, osserva comunque la Corte che i fatti di cui alla "vicenda Conlan" sono stati valutati dai giudici di merito ai soli fini dell'esame dell'eccezione di tardività, oggetto del gravame, nel loro accadimento fenomenologico e non da un punto di vista disciplinare, sicché è da escludere sia il denunciato vizio di ultrapetizione che di violazione del giudicato interno.

6. Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia - ai sensi degli artt. 3 e 5 cod. proc. civ.- la violazione dell'art. 7 legge nr. 300 del 1970, degli artt. 1175, 1375, 2119 e 2698 cod. civ.

Parte ricorrente critica l'impianto argomentativo della sentenza laddove, sia pure con motivazione articolata, giunge all'affermazione di tempestività della contestazione; la sentenza della Corte di appello, infatti, trascura il dato oggettivo e decisivo consistente nel fatto che tutte le operazioni contestate avevano dato luogo, nell'immediatezza, ad altrettante segnalazioni di forzatura del sistema; la sentenza, quindi, ha omesso di esaminare che il titolare della filiale aveva l'obbligo di eseguire i controlli SIC a fine giornata lavorativa; che tali controlli implicavano la visione e la verifica del supporto cartaceo che presidia ogni operazione contabile, specie di quelle forzate, cioè eseguite in difformità dei canoni ordinari; che i controlli SIC del titolare della filiale venivano visualizzati in tempo reale anche dall'Ufficio Controlli che ha sede nella centrale operativa più vicina ( nella fattispecie, presso l'Ufficio di Grosseto) e che, pertanto, tutte le operazioni contabili elettroniche rilevate dal sistema erano suscettibili di dare avvio al procedimento disciplinare e ciò a partire dalla prima di esse: l'incasso dell'assegno di C. C. il 29.3.2012.

In ogni caso, la sentenza omette di considerare il lasso di tempo intercorso tra la conclusione dell'indagine ispettiva e la formale contestazione disciplinare (quasi quattro mesi) oggettivamente idonea a violare il principio di tempestività e, in via di derivazione, le previsioni di cui agli artt. 1175 e 1375 e 2110 cod. civ.

7. Il motivo, sotto il profilo della violazione di norme di diritto, è infondato.

Deve muoversi dal principio ripetutamente affermato da questa Corte- e qui condiviso- secondo cui la tempestività della contestazione deve essere valutata partendo dal momento dell'avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dell'astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi (Cass. nr. 10356 del 2016; nr. 26304 del 2014; nr. 25070 del 2013; nr. 23739 del 2008; nr. 21546 del 2007).

La tempestività della contestazione e del licenziamento, poi, la cui ''ratio" riflette l'esigenza di osservanza della regola di buona fede e correttezza nell'attuazione dei rapporto di lavoro, devono essere intesi in senso relativo, potendo essere compatibili, in relazione al caso concreto e alla complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, con un intervallo di tempo necessario per l'accertamento e la valutazione dei fatti contestati, così come per la valutazione delle giustificazioni fornite dal dipendente ( ex plurimis, Cass. nr. 20121 del 2015; nr. 9903 del 2015; nr. 1247 del 2015; nr. 20823 del 2013; nr. 20719 del 2013).

In sostanza, il datore di lavoro deve procedere alla formale contestazione dei fatti addebitabili al lavoratore dipendente non appena ne venga a conoscenza e gli stessi appaiano ragionevolmente sussistenti.

La Corte di merito non si è discostata da tali principi, poiché ha affermato che il datore di lavoro era venuto a conoscenza dei fatti addebitati soltanto a seguito di una complessa indagine ispettiva, attivata contestualmente alla presentazione di un reclamo (nel maggio 2013) da parte di un terzo.

In relazione a tale accertamento di fatto, ha correttamente ritenuto tempestiva la contestazione del 24 gennaio 2014 (preceduta anche da un provvedimento di allontanamento dal servizio del 16.10.2013) giacché lo spazio temporale così delimitato appare congruo a contemperare, da un lato, la esigenza di una adeguata ponderazione dei fatti, nell'interesse dello stesso lavoratore, dall'altro quella di consentire al lavoratore una adeguata difesa.

L'accertamento da parte del giudice del merito del momento storico in cui il datore di lavoro ha acquisito la conoscenza del fatto disciplinare è, invece, un accertamento di fatto, sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio della motivazione.

8. La relativa censura è, tuttavia, inammissibile.

Ai sensi dell'articolo 348 ter cod. proc. civ., commi 4 e 5, allorquando la sentenza d'appello conferma la decisione di primo grado il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1-2-3 e 4 del primo comma dell'articolo 360 cod. proc. civ.

Questa Corte ha già affermato (sentenza n. 23021 del 2014), con indirizzo cui si intende dare in questa sede continuità, la applicabilità della disposizione di cui all'art. 348 ter cod. proc. civ. alla sentenza che definisce il procedimento di reclamo ex art. 1 legge nr. 92 del 2012 ( c.d. Legge Fornero).

A tale riguardo ha evidenziato come la normativa di riferimento non disciplini il contenuto dell'atto di reclamo, introduttivo del giudizio di secondo grado e che vi è dunque integrazione della disciplina - pur speciale - dettata dalla legge nr. 92 del 2012, art. 1, commi 58 e 61, con quella dell'appello nel rito del lavoro; dalla integrazione deriva la applicazione anche dell'art. 348 ter cod. proc. civ., ed in particolare -per quanto in questa sede rileva- della modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia c.d. "doppia conforme".

A tenore dell'articolo 348 ter co. 5 cod. proc. civ. il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. "doppia conforme", come nella fattispecie di causa.

La disposizione è applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dall'11 settembre 2012 (articolo 54 co.2 DL 83 del 2012); nel presente giudizio il reclamo è stato depositato in data 10.8.2015.

9. Con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia -ai sensi dell'art. 360 nr. 3 e 5 cod. proc. civ.- la violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost.

Assume che la sentenza impugnata nel distinguere i fatti controversi da quelli non controversi non motiva minimamente in ordine ai primi, sicché la statuizione, in parte qua, violerebbe il precetto costituzionale per la "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico".

10. Con il quarto motivo, il ricorrente censura - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 e 5 cod. proc. civ. - la violazione e falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ. nonché degli artt. 1175, 1375, 2106 e 2119 cod. civ.

Critica la sentenza per non aver attribuito il necessario rilievo ai comportamenti concorrenti del direttore della filiale e degli altri colleghi in ordine alla ideazione e realizzazione dell'operazione delle carte prepagate, con ogni conseguenza in termini di diversa valutazione della gravità della condotta.

I giudici di merito avrebbero, infatti, dovuto valorizzare la circostanza che più persone avevano concorso nell'inadempimento e tener conto, ai fini del giudizio di proporzionalità, della diversa reazione di parte datoriale nei confronti degli altri dipendenti.

Nessuna gravità, in ragione di un pregiudizio pressoché nullo, doveva inoltre essere attribuita alla richiesta di retrodatazione degli importi delle retribuzioni, semplicemente richieste dal ricorrente ed attuate dai colleghi senza alcun tipo di artificio.

11. I motivi da trattarsi congiuntamente, in quanto connessi, sono infondati.

Deve escludersi, in primo luogo, il denunciato vizio motivazionale, avendo la sentenza fatto applicazione del principio dell'assorbimento: la decisione su una questione c.d. assorbente ha reso superflua la necessità di provvedere su altre questioni controverse in causa ( ex multis, Cass. 28663 del 2013).

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ritenuto che le condotte, pacifiche tra le parti, fossero da sole sufficienti ad integrare la giusta causa di licenziamento; correttamente hanno ritenuto superfluo esaminare le condotte controverse che non avrebbero comunque condotto ad un diverso esito della lite.

Per il resto, al di là della titolazione delle rubriche, parte ricorrente, lungi dal dedurre quali siano le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, imputa in realtà alla sentenza vizi motivazionali, per aver sottovalutato, ai fini del giudizio di gravità e di proporzionalità della sanzione, da un lato, in relazione alla condotta di intestazione fittizia di carte prepagate, la concorrente partecipazione ai fatti di altri lavoratori nonché l'assenza di adozione di eguali provvedimenti sanzionatori nei confronti di questi ultimi, e, dall'altro, quanto alla condotta di retrodatazione delle valute di accredito di tre emolumenti stipendiali, l'esiguità del danno ( pochi euro) e l'assenza di artifici.

Nella sostanza, parte ricorrente assume un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze della causa, rilevante solo come vizio di motivazione che, pertanto, per le medesime ragioni di cui al secondo motivo, è inammissibile nell'attuale giudizio.

Il ricorso va, dunque, complessivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre agli esborsi liquidati in euro 200,00, alle spese forfettarie del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.