Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 03 marzo 2017, n. 5440

Accertamento - Verifica fiscale - Costi servizi - Principio di competenza

 

Ritenuto in fatto

 

1. A seguito di verifica fiscale nei confronti della C.S.S. Srl, esercente attività di spedizioniere ed agenzia doganale, l'Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento per indebita detrazione di costi, carenti dei requisiti di competenza, per prestazione di servizi vari (trasporti, telefonia, spese legali e di consulenza, fitti passivi ed altro), ed inerenza per l'anno 2004.

La CTP di Roma, in parziale accoglimento del ricorso del contribuente, escludeva la violazione del principio di competenza e riduceva l'ammontare delle spese non inerenti; la decisione veniva riformata dalla CTR che, con la sentenza in epigrafe, rigettava l'appello della Agenzia delle entrate e annullava integralmente l'atto impositivo.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate con due motivi. Il contribuente è rimasto intimato.

 

Ragioni della decisione

 

3. Va esaminata preliminarmente l'eccezione di inammissibilità del pubblico ministero per difetto di autosufficienza del ricorso in quanto "ricorso farcito".

3.1. L'eccezione non è fondata.

Nella specie, il ricorso, dopo una prima breve esposizione del fatto, è corredato - con testuale riproduzione - dell'avviso di accertamento da cui scaturisce la pretesa fiscale e, dopo una ulteriore e articolata descrizione dello sviluppo processuale, delle decisioni di primo grado e appello.

Non si assiste, dunque, a quel fenomeno in cui l'atto è confezionato in modo tale da riprodurre, con procedimento fotografico o con pedissequa trascrizione (o similare), e con una modalità meramente compilativa, gli atti dei pregressi gradi e i documenti ivi prodotti, tra di loro giustapposti con mere disposizioni di collegamento (parla di "pagine-etichetta" Cass. n. 15180 del 2010), così determinando un rinvio puro e semplice agli atti di causa in violazione del precetto di cui all'art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c., con una indebita, complessa e non dignitosa rimessione alla valutazione discrezionale del relatore in ordine alla verifica del loro contenuto (v. anche Sez. U, n. 19255 del 2010, rv. 614162; da ultimo Cass. n. 2527 del 2015, rv. 634245).

Per contro, si può invece rilevare che, in relazione agli specifici elementi riprodotti, proprio la loro assenza sarebbe idonea ad inficiare il rispetto del requisito imposto dall'art. 366, 1° co, n. 6, c.p.c.

4. Con il primo motivo l'Agenzia delle entrate denuncia, ai sensi dell'art. 360,1° co. n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell 'art. 109 (già 75) TUIR del d.P.R. n. 917 del 1986 per aver ritenuto ammissibile il recupero, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di costi contabilizzati in un esercizio non di competenza solo a fronte della contestuale rettifica del reddito relativo all'esercizio di competenza.

3.1. Il motivo è fondato.

In tema di imposte sui redditi d'impresa, l'art. 109 (già 75) del d.P.R. n.917 del 1986 ha sancito, quale regola generale per l'imputazione temporale dei componenti di reddito, il principio di competenza, ossia che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui è sorto l'obbligo giuridico al sostenimento dell'onere e non in quello in cui il costo è stato assolto.

In particolare, i costi relativi a prestazioni di servizio sono - ai sensi dell'art. 109 (già 75), comma 2, lett. b), TUIR - di competenza dell'esercizio in cui le prestazioni medesime sono ultimate, senza che abbia rilevo alcuno il momento in cui viene emessa la relativa fattura o effettuato il pagamento (Cass. n. 27296 del 2014), con l'unica eccezione per i contratti di locazione, mutuo, assicurazione o altri contratti da cui derivino corrispettivi periodici, in relazione ai quali le spese per i corrispettivi sono imputabili all'esercizio di maturazione degli stessi (Cass. n. 9096 del 2012).

I componenti negativi che concorrono a formare il reddito possono, peraltro, essere imputati all'anno di esercizio in cui ne diviene certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell'esercizio di competenza (Cass. n. 3368 del 2013). Ne deriva che, anche in questi casi, l'esercizio di competenza è quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico, limitandosi il legislatore soltanto a prevedere una deroga al principio della competenza, consentendo la deducibilità di queste particolari spese nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare.

(Cass. n. 9069 del 2015; Cass. n. 17568 del 2007). Tale determinabilità, tuttavia, deve ritenersi non collegata alla mera volontà delle parti sulla scelta dell'esercizio cui il costo è imputato, ma "deve essere desumibile, oltre che dall'indicazione contrattuale del corrispettivo, da strumenti diversi, quali, ad esempio, la parametrazione ad altre operazioni simili ovvero al valore di mercato" (Cass. n. 9069 del 2015, cit., in motivazione).

Ciò premesso, la CTR non ha, in effetti, disconosciuto che le spese e i costi sostenuti dalla contribuente fossero da imputare all'esercizio del 2003 e che, invece, fossero stati contabilizzati nel 2004.

Ha infatti affermato di dover "annullare totalmente l'accertamento dei redditi basati su fatture relative a costi di competenza del 2003 e non 2004 allorché l'ufficio avrebbe dovuto modificare contemporaneamente anche i redditi anno 2003 sottraendo lo stesso importo contestato anno 2004 dai redditi dichiarati anno 2003".

Con una singolare inversione di prospettiva, dunque, la CTR ha ritenuto che l'Agenzia delle entrate avrebbe dovuto procedere, a fronte di costi erroneamente imputati ad un diverso esercizio in violazione del principio di competenza, a riequilibrare, in via ufficiosa, i diversi periodi d'imposta, derivandone, in mancanza, l'illegittimità dell'accertamento.

Nel giungere a questa conclusione, tuttavia, non ha considerato né il principio di autonomia dei periodi d'imposta ex art. 76 del d.P.R. n. 917 del 1986, né che, in ogni caso, il contribuente può esercitare il diritto alla restituzione del maggior importo versato nell'anno di competenza (e nel quale avrebbe dovuto correttamente imputare i costi) formulando istanza di rimborso ex art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 (o, in via residuale, ex art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992). Giova sottolineare, del resto, che "In tema di imposte sui redditi, la dichiarazione dei redditi, in quanto momento essenziale del procedimento di accertamento e riscossione e non fonte dell'obbligo tributario né atto assimilabile ad una confessione, non può precludere al contribuente di dimostrare, in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva, l'inesistenza anche parziale di presupposti di imposta erroneamente dichiarati, purché siano osservati forme e termini previsti dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che, autorizzando la presentazione dell'istanza di rimborso, oltreché in caso di errore materiale, in quello di "inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento", opera in maniera indifferenziata in tutte le ipotesi di ripetibilità del versamento indebito, a prescindere dalla riferibilità dell'errore al versamento, all'an o al quantum del tributo" (Cass. n. 4578 del 2015).

Il motivo va pertanto accolto in conformità al seguente principio di diritto "L'amministrazione finanziaria qualora proceda al recupero di costi contabilizzati in un esercizio non di competenza ex art. 109 (già 75) del d.P.R. n. 917 del 1986, non è anche tenuta, in forza del principio di autonomia dei periodi d'imposta, a provvedere alla contestuale rettifica del reddito dell'esercizio ritenuto di effettiva imputazione, restando possibile per il contribuente, per evitare la perdita del diritto alla restituzione del maggior importo versato nell'anno di effettiva competenza in dipendenza dei costi sostenuti, formulare istanza di rimborso ex art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973".

4. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 1° co. n. 5, c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione per aver la CTR, da un lato, ritenute provate le irregolarità delle fatturazioni e, dall'altro, di aver comunque ritenute riferibili alla società le spese di percorrenza del tratto autostradale, di manutenzione, di carburante e, in generale, le spese contestate come non inerenti.

4.1. Il motivo è fondato.

La CTR, difatti, ha motivato affermando che "la società ha dimostrato che le fatture contestate hanno varie irregolarità formali quali la mancanza della targa, della scheda carburante o del nominativo sulle spese delle autostrade o di ristorazione; tuttavia data l'attività della società di autotrasportatori quotidiani Roma-Napoli-Catania, le spese relative sono nel complesso relative a questi tratti di autostrade, a tutte le spese circa la manutenzione delle autovetture, camion ecc. del parco macchine della società, sia risultante dall'inventario, che ditte conto terzi di autotrasporto quali collaboratori esterni o per lavori appaltati esterni".

Da un lato, dunque, ha ritenuto la sussistenza di irregolarità tali da non consentire, obbiettivamente, l'identificazione dei veicoli o dei conducenti o, comunque, da permettere, sulla base di riferimenti concreti, di risalire dalla spesa alla società, mentre, dall'altro, ha ritenuto che, in relazione all'attività svolta dalla contribuente, fossero comunque a quest'ultima riferibili, con una evidente contraddizione poiché omette di chiarire le ragioni di una tale soluzione, né illustra in alcun modo l'iter logico argomentativo e gli elementi fattuali, la cui prova incombe sul contribuente, in base ai quali dovevano ritenersi superate le carenze di imputabilità oggettiva e soggettiva delle spese alla società medesima, in specie a fronte di una loro positiva attribuzione ad altri soggetti.

5. Consegue da quanto sopra l'accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla CTR del Lazio in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra enunciati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.