Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 31 ottobre 2016, n. 21976

Lavoro - Tempo di vestizione - Incidenza su retribuzione

 

Svolgimento del processo

 

La Corte territoriale di Genova, con sentenza depositata il 26/6/2012, in parziale riforma delle pronunzie nn. 1619/2011 (non definitiva) e 225/2012 del Tribunale della stessa sede, determinava in 10 minuti al giorno lavorato anziché in 6 il tempo di vestizione e condannava la S.p.A. I. a pagare le relative differenze come computate dal primo giudice, con la relativa incidenza su retribuzione del periodo feriale e tredicesima mensilità, ed altresì alle spese di primo grado; confermava, nel resto, la pronunzia oggetto di gravame.

Per la cassazione della sentenza ricorre I S.p.A. affidandosi a cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria depositata ai sensi dell’art. 378 del codice di rito.

I lavoratori tranne il M. resistono con controricorso depositando altresì memorie.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente, deve osservarsi che con atto in data 26 gennaio 2016, notificato ai lavoratori controricorrenti il 4 febbraio 2016, sottoscritto dal legale rappresentante e dai difensori, l’I. S.p.A in amministrazione straordinaria ha dichiarato di voler rinunciare al ricorso di cui si tratta ed ha chiesto la compensazione delle spese di lite.

I lavoratori, ad eccezione di M.E., che non ha svolto attività difensiva in questa sede, con memoria in data 12 febbraio 2016, nel prendere atto della rinuncia della società datrice di lavoro, hanno chiesto, nelle conclusioni, che venisse dichiarata l’estinzione del giudizio con condanna dell'I. S.p.A. al pagamento delle spese di lite, in ragione dell’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità nella materia anche in epoca antecedente a quella di proposizione del ricorso.

Osserva il Collegio che sulla base della documentazione suddetta sussistono i presupposti di cui agli artt. 390 e 391 c.p.c. per dichiarare l’estinzione del giudizio.

Quanto alle spese, avuto riguardo al fatto che il ricorso di cui si tratta è stato depositato in data 11 gennaio 2013, cioè in epoca successiva alla formazione dei consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità sul c.d. "tempo tuta" (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 5775/2003, 5701/2004; 5496/2006, 17511/2010), in virtù del principio della soccombenza virtuale (v., tra le molte, Cass. n. 5555/2016), la società va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, da distrarre, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., per il B., in favore degli avvocati B.C. e S.B., antistatari e per gli altri controricorrenti, in favore degli avvocati S.F., F.F. e V.S., antistatari.

Nei confronti del M., rimasto intimato, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, data la rinuncia effettuata dalla società datrice di lavoro al ricorso stesso. Nulla va disposto in ordine alle spese nei confronti di quest’ultimo lavoratore, poiché, come innanzi osservato, il medesimo non ha svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di M.E.. Dichiara estinto il giudizio nei confronti dei controricorrenti.

Condanna l’I. S.p.A. al pagamento delle spese nei confronti del B., liquidate in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per compensi, oltre Euro 100,00, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore degli avvocati B.C. e S.B.; condanna inoltre la società ricorrente a pagare al G. ed altri Euro 3.500,00 per compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore degli avvocati S.F., F.F. e V.S..