Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 aprile 2018, n. 8411

Provvedimento di di allontanamento - Natura disciplinare - Anomale operazioni bancarie - Contestazioni prive del carattere dell'immediatezza - Esigenza dell'osservanza della regola della correttezza e buona fede nell'attuazione del rapporto - Tutela del legittimo affidamento del prestatore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile - Mole dei documenti da esaminare riferiti a più anni o complessità dell'organizzazione aziendale

 

Fatti di causa

 

1. Con ricorso al Tribunale di Torre Annunziata, L. I., dipendente della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. dal marzo del 2000 (transitata dalla Banca 121), inquadrata dall'1/1/2006 nel 2° livello del c.c.n.I. bancari con funzioni di preposto e dal 31/3/2006 con funzioni di sostituto titolare presso l'Agenzia di Seiano, conveniva in giudizio la società per sentir accertare l'illegittimità del provvedimento di allontanamento (id est sospensione) dal servizio del 20/12/2010 e del successivo licenziamento per giusta causa intimatole in data 14/12/2011. Il Tribunale accoglieva in toto la domanda ritenendo che il provvedimento di allontanamento dal servizio avesse e non fosse stato adottato con le garanzie dell'art. 7 dello St. Lav. e che le contestazioni poste a base del licenziamento fossero prive del carattere dell'immediatezza; in ogni caso, ad avviso del giudice di primo grado, anche nel merito l'irrogata sanzione espulsiva era illegittima atteso che le responsabilità delle operazioni anomale non erano tutte riconducibili alla I.. Proposta impugnazione da parte della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., la Corte d'appello di Napoli, in riforma della decisione del Tribunale, rigettava le azionate domande. Quanto al provvedimento di allontanamento dal servizio del 20/12/2010, riteneva che lo stesso, previsto dall'art. 40 del c.c.n.I. bancari dell'8/12/2007, avesse natura cautelare e non sanzionatoria e fosse stato adottato per la necessità di compiere accertamenti. Ad avviso dei giudici d'appello, il riferimento contenuto in tale provvedimento alle "anomale operazioni" era servito solo per giustificare l'allontanamento stesso e per significare che gli accertamenti da compiersi erano relativi alle anomalie emerse. Quanto al licenziamento del 14/12/2011, la Corte territoriale riteneva che la mole dei documenti da esaminare con riferimento a più anni e le posizioni diversificate dei dipendenti coinvolti imponessero un tempo di accertamento relativamente lungo e che quello nello specifico utilizzato dalla Banca per una indagine complessa e laboriosa fosse assolutamente ragionevole. Il licenziamento era, altresì, sorretto da giusta causa essendo emerso che la I. (pur prosciolta nell'ambito del procedimento penale che la aveva vista coinvolta insieme con il direttore dell'Agenzia di Seiano) aveva avuto un ruolo personale e diretto in alcune delle operazioni anomale riscontrate (così in particolare nell'aver autorizzato scoperture di conto corrente per consentire ai beneficiari di coprire altri conti scoperti, nell'aver aperto 22 conti correnti senza effettuare i controlli sull'affidabilità dei nominativi, nell'aver concesso prestiti a persone con documenti carenti o contraffatti in ordine alla loro situazione economica, nell'aver attribuito valutazioni positive a persone risultate insolventi, nell'aver convalidato controlli di pertinenza della direzione, nell'aver autorizzato e addirittura eseguito prelevamenti in contanti in favore di taluni soggetti in tal modo consentendo un utilizzo improprio o illecito della valuta); inoltre, quale vice direttrice, la I. non aveva fatto nulla per impedire che la Banca fosse oggetto di illecite operazioni ed aveva omesso di denunciare agli organi superiori quanto stava accadendo.

2. Contro la sentenza d'appello ricorre L. I. con tre motivi.

3. Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. resiste con controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1.1 Con il primo motivo la ricorrente denuncia erronea valutazione e falsa applicazione dell'art. 7 della L. n. 300/70 nonché incoerente ed illogica valutazione delle condizioni di immediatezza e tempestività della contestazione. Assume, a sostegno della insussistenza di dette condizioni, che tutti i fatti oggetto della contestazione a base del licenziamento sarebbero stati già noti alla Banca, ben oltre le linee essenziali necessarie a sostenere tale contestazione, fin dall'epoca dell'allontanamento della I. e della pressoché contemporanea presentazione della denuncia da parte di M.P.S. alla Procura della Repubblica di Torre Annunziata. Rileva che dal dicembre 2010 al settembre 2011 non vi sarebbe stata alcuna attività di indagine e che la stessa Banca avrebbe del resto, in sede di denuncia penale (sempre del dicembre 2010), compiutamente ricostruito la complessiva dinamica dei rapporti di credito bancario e di finanziamento anomali. Sottolinea che, se pure in data 4/1/2011 era stata depositata una integrazione rispetto alla denuncia penale (relativa alla indicazione dei cointestatari dei conti ed al numero dei finanziamenti), tale integrazione fosse sempre datata 22/12/2010. Dopo quel momento non sarebbero intervenuti ulteriori accertamenti e, d'altra parte, già in sede di audizione della ricorrente da parte degli ispettori M.P.S., in data 4/11/2010, sarebbe stato chiesto alla dipendente di descrivere le modalità di censimento ed apertura dei rapporti di conto corrente proprio in relazione alle 22 posizioni oggetto di successiva contestazione. La denuncia alla Procura della Repubblica e la lettera di contestazione avrebbero riportato in maniera speculare i medesimi nominativi ed i medesimi rapporti bancari.

1.2 Con il secondo motivo la ricorrente denuncia erronea valutazione e falsa applicazione dell'art. 40 c.c.n.I. bancari provvedimento di allontanamento dal lavoro disposto dalla Banca in data 21/12/2010. La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che la suddetta norma pattizia è collocata sistematicamente nell'ambito di una disposizione che regola i provvedimenti disciplinari e che nella comunicazione di allontanamento era già possibile distinguere l'elemento "fatti", il profilo dell'addebito e la responsabilità personale della ricorrente così da integrare la stessa un vero e proprio provvedimento disciplinare "provvisorio".

1.3 Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 99, 112, 416 cod. proc. civ. e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. in uno all'onere della prova in tema di licenziamento ed all'erronea applicazione e falsa valutazione dell'art. 2119 cod. civ.. Rileva che il comportamento omertoso ravvisato dalla decisione impugnata (secondo la quale la I. non si era attivata per informare i vertici aziendali della truffa che si stava consumando ai danni della Banca) non avrebbe formato oggetto di contestazione disciplinare del 21/11/2011. Evidenzia, altresì, che, come accertato anche in sede penale, negli altri comportamenti della I. sarebbe mancato l'elemento del dolo.

2.1 II primo motivo non è fondato, oltre a presentare profili di inammissibilità.

L'impostazione del motivo (si vedano le doglianze mosse al procedimento logico/deduttivo e argomentativo del giudice d'appello) è tale da cumulare promiscuamente una violazione di legge ed un vizio di motivazione, contenendo una mescolanza di questioni che riguardano la ricostruzione della fattispecie concreta da parte della Corte territoriale che, secondo l'assunto della ricorrente, avrebbe attribuito rilievo ad elementi istruttori scarsamente o per nulla significativi ed omesso considerare circostanze sia temporali sia documentali deponenti per la piena conoscenza dei fatti, in misura necessaria e sufficiente all'avvio del procedimento disciplinare, al più tardi alla fine del 2010. La deduzione di una siffatta pluralità di questioni, non è conforme alle regole di chiarezza che devono presidiare la redazione del ricorso per cassazione (cfr. Cass., Sez. U., 6 maggio 2015, n. 9100).

In ogni caso, la sentenza impugnata resiste alle censure.

Come affermato dalla giurisprudenza consolidata da questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione integra un elemento costitutivo del diritto di recesso riflettendo l'esigenza dell'osservanza della regola della correttezza e buona fede nell'attuazione del rapporto. In conseguenza, l'interesse del datore di lavoro all'acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest'ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l'esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida (cfr. tra le altre Cass. 9 agosto 2013, n. 19115).

Il principio dell'immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per potere contrastare più efficacemente II contenuto degli addebiti e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare Il legittimo affidamento del prestatore - in relazione al carattere facoltativo dell'esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede - sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile (cfr. Cass. 8 giugno 2009, n. 13167).

Come più volte questa Corte ha avuto occasione di affermare, il criterio dell'immediatezza va inteso in senso relativo, poiché si deve tenere conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l'espletamento delle indagini dirette all'accertamento dei fatti, la complessità dell'organizzazione aziendale (fermo restando che la valutazione delle suddette circostanze è riservata al giudice del merito: cfr., per tutte e da ultimo, Cass. 25 gennaio 2016, n. 1248 e Cass. 12 gennaio 2016, n. 281).

Nel caso in esame la Corte territoriale ha, con accertamento di fatto non surrogabile in sede di legittimità, rilevato che il tempo impiegato dalla denuncia penale (presentata in data 17/12/2010 dopo una ispezione interna disposta a seguito della segnalazione di un dipendente dell'aprile 2010) alla contestazione degli addebiti (26/10/2011) era dipeso da plurime circostanze, quali l'esigenza di seguire e valutare entro un termine ragionevole la vicenda penale, la complessità dell'esame delle posizioni (dai 40 ai 50 correntisti), la mole dei documenti da esaminare relativamente a più anni (dal 2006 al 2010) e i dipendenti coinvolti (tra cui il direttore). Valutate le suddette circostanze, ha ritenuto che tale tempo (meno di un anno) fosse del tutto ragionevole.

Ed allora non risultano violati gli indicati principi, atteso che la Corte d'appello ha correttamente tenuto conto delle ragioni oggettive che potevano ritardare la percezione o il definitivo accertamento e la valutazione dei fatti contestati, in modo ponderato e responsabile anche nell'interesse della stessa lavoratrice a non subire incolpazioni avventate (cfr. Cass. 17 settembre 2008, n. 23739; Cass. 10 gennaio 2008, n. 282).

Le ulteriori argomentazioni svolte nel motivo sollecitano una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento. Si tratta, però, di operazione non consentita in sede di legittimità.

2.2 II secondo motivo è infondato.

La Corte territoriale ha ritenuto - con congrua e logica motivazione - che il provvedimento di allontanamento adottato dalla Banca ai sensi dell'art. 40 del c.c.n.I. bancari dell'8/12/2007, costituisse semplice sospensione cautelare per il tempo strettamente necessario al compiuto e corretto esercizio del potere disciplinare, senza in alcun modo esaurire tale esercizio.

Tale essendo la natura del suddetto allontanamento (non scalfita dalla collocazione della relativa disciplina pattizia - art. 40, co. 2, c.c.n.I. - nell'ambito di una norma destinata a regolamentare i provvedimenti disciplinari, che anzi armonicamente ne esalta il profilo della temporaneità "in attesa di deliberare il definitivo provvedimento disciplinare" e ne evidenzia la natura strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento "richiesto dalla natura della mancanza o dalla necessità di accertamenti in conseguenza della medesima" poiché meramente cautelare in attesa del secondo), va richiamato il principio affermato da questa Corte secondo cui alla sospensione cautelare (misura di carattere provvisorio e strumentale all'accertamento dei fatti relativi alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi inerenti al rapporto, che esaurisce i suoi effetti con l'adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi) non trova applicazione l'art. 7 della legge n. 300 del 1970, che procedimentalizza l'esercizio del solo potere disciplinare del datore di lavoro (cfr. Cass. 13 settembre 2012, n. 15353; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25136; Cass. 9 settembre 2008, n. 22863).

2.3 II terzo motivo è infondato.

Il rilievo innanzitutto non si confronta con il decisum della Corte territoriale che ha accertato un ruolo personale e diretto della I. nel compimento di plurime operazioni irregolari.

L'argomentazione utilizzata dai giudici d'appello con riguardo al dovere della I. di rifiutarsi di eseguire le operazioni illecite e di denunciare al proprio datore di lavoro (nei confronti del quale, e non del direttore, aveva obblighi di fedeltà e diligenza) quanto stesse accadendo in uno con la richiesta di trasferimento ad altra sede per incompatibilità con il direttore a distanza di oltre tre anni dall'accadimento dei fatti, lungi dall'integrare una inammissibile modifica dei fatti oggetto di contestazione è svolta ad abundantiam rispetto alle principali valutazioni circa le suddette plurime operazioni anomale attribuite direttamente ed esclusivamente alla ricorrente e dunque rispetto ad un quadro probatorio già netto costituito da condotte che, "anche singolarmente considerate, in relazione al ruolo rivestito dalla I. nella Banca, integrano pienamente la giusta causa di recesso".

Si tratta di un'argomentazione prevalentemente volta a confutare la tesi difensiva della lavoratrice incentrata, come si rileva dalla stessa sentenza, sulla sua estraneità alla vicenda, asseritamente opera del solo direttore dell'Agenzia di Seiano ed in ogni caso della valorizzazione di elementi ausiliari al solo scopo di circostanziare una condotta già in sé integrante una lesione del vincolo fiduciario.

Per il resto le censure della ricorrente, e così in particolare i rilievi concernenti l'accertata inidoneità degli elementi acquisiti in sede penale a sostenere l'accusa a carico della I., si risolvono sostanzialmente in una richiesta di riesame del merito della causa, e cioè, in un'inammissibile richiesta di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice del merito (che, come è noto, in sede civile, accerta autonomamente i fatti e la responsabilità con pienezza di cognizione, senza essere vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale: cfr. Cass. 18 gennaio 2007, n. 1095; Cass. 17 giugno 2013, n. 15112; Cass. 12 gennaio 2016, n. 287), e perciò diretta ad ottenere una nuova pronuncia sul quadro probatorio, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di Cassazione (così, per tutte e fra le tantissime, Cass. 23 marzo 2010, n. 7394).

2.4 Conclusivamente il ricorso va rigettato.

3. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

4. Va dato atto dell'applicabilità dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, co. 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi dell'art. 13, co. 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.