Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 dicembre 2017, n. 29885

Reddito d’impresa - Accertamento - Riscossione - Cartella di pagamento - Vendita d’azienda - Plusvalenza

 

Rilevato che

 

con sentenza depositata in data 29-10-2009, la CTR del Lazio accoglieva l'appello dell'amministrazione finanziaria avverso la decisione con la quale la CTP di Roma aveva accolto i ricorsi riuniti della N. s.a.s. e dei soci C. e A. P., il primo dei quali nei confronti di un avviso di accertamento e gli altri avverso le conseguenti cartelle esattoriali;

con l'accertamento era stato contestato alla società un maggior reddito per l'anno 2001 conseguente alla realizzazione di una plusvalenza derivata dalla vendita dell'azienda;

invero la società aveva dichiarato, in un primo tempo, la plusvalenza senza pagare la relativa imposta e, successivamente, aveva presentato una dichiarazione integrativa, in rettifica della precedente, senza indicazione di plusvalenza;

facendo ricorso alla commissione tributaria, la società aveva dedotto, oltre alla nullità dell'avviso di accertamento per vizio della motivazione, di essersi avvalsa del condono ex art. 9, comma 3 - bis, della I. n. 289 del 2002;

con la sentenza d'appello, il giudice di secondo grado riteneva il condono privo di effetti, in quanto consentito solo ai soggetti che avessero dichiarato ricavi e compensi non inferiori a quelli determinabili in base ai parametri o agli studi di settore, e che nell'avviso di accertamento, notificato alla società e da questa impugnato, l'ufficio aveva avvisato tutti i soci, puntualmente elencandoli, del fatto che il condono non poteva ritenersi operante; hanno proposto ricorso per cassazione la società e le due socie C. e A.P., deducendo cinque motivi; l'amministrazione non ha svolto difese.

 

Considerato che

 

col primo motivo i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza e dell'intero giudizio, essendo stato violato il litisconsorzio attesa la pretermissione del terzo socio (ultimo accomandatario) C.P.;

il motivo è infondato, in quanto dalla stessa narrazione svolta dai ricorrenti si comprende che l'avviso di accertamento era stato notificato proprio al P., egli essendo stato l'ultimo legale rappresentante della società; la circostanza che invece la cartella, recante l'iscrizione a titolo provvisorio delle conseguenti maggiori imposte, non sia stata notificata al predetto ma alle sole due socie, non ha alcuna rilevanza, implicando non l'azione di accertamento sebbene l'azione di riscossione;

non può dirsi che i soci non abbiano preso parte - tutti - al giudizio di impugnazione avverso l'accertamento, posto che lo stesso ricorso evidenzia che l'impugnazione era stata promossa da C.P. nella qualità di legale rappresentante della società e dalle due socie C. e A.P.;

agli specifici fini del rispetto del litisconsorzio unitario debbono essere evitate, ad avviso del collegio, interpretazioni formalistiche dell'orientamento inaugurato da Cass. Sez. U n. 14815-08; il principio che rileva è infatti il seguente: "in materia tributaria, l'unitarietà dell'accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all'art. 5 d.P.R. 22/12/1986 n. 917 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci - salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell'obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario; conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 14 d.lgs. 546/92 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio"; codesto principio postula che, salvo il caso della prospettazione di questioni personali, la controversia non possa essere decisa ove non vi sia stata "la partecipazione al giudizio" di tutti i soci, senza rilevanza, quindi, di formalistiche distinzioni tese a negare che una simile partecipazione sia avvenuta per il sol fatto che uno di questi soci - raccomandatario - abbia partecipato sì al giudizio, ma impugnando l'atto non in proprio sebbene per conto della società; col secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 9, 16 e 17 della I. n. 289 del 2002 e dell'art. 2041 cod. civ., in quanto la definizione automatica degli anni pregressi consentiva loro di definire tutti i periodi d'imposta per i quali, al 31-10-2002, non fossero scaduti i termini di presentazione delle dichiarazioni; il motivo è inammissibile;

la sentenza ha messo in evidenza che la contribuente si era avvalsa del condono ex art. 9, comma 3-bis, della I. n. 289 del 2002, e che l'agenzia delle entrate aveva "misconosciuto" (id est, negato) il condono medesimo per difetto dei presupposti costituiti dall'avere la contribuente dichiarato ricavi e compensi di ammontare non inferiore a quelli determinabili sulla base degli studi di settore (ex d.l. n. 331 del 1993, conv. con modificazioni in I. n. 427 del 1993) o dei parametri di cui all'art. 3 della I. n. 549 del 1995; contro tale specifica affermazione i ricorrenti oppongono che l'ufficio non avrebbe mai in effetti notificato un provvedimento motivato di diniego; ma, ove anche si considerasse rilevante tale profilo, è palese che il ricorso si presenta assertorio al riguardo, e implica accertamenti di fatto in contrasto con quanto emergente dalla sentenza, accertamenti notoriamente inibiti in cassazione; egualmente inammissibile, perché privo di autosufficienza, è il terzo motivo, col quale si denunzia l'omessa motivazione della sentenza, o alternativamente l'omissione di pronuncia, sul profilo afferente l'omessa attivazione della procedura del contraddittorio sul condono e circa la violazione delle preclusioni processuali, in quanto l'ufficio solo nel giudizio di secondo grado, e per l'anno d'imposta 2000, aveva contestato la mancanza dei requisiti previsti dalla normativa in tema di studi di settore;

è risolutivo osservare che dalla sentenza risulta che l'amministrazione aveva negato fin dall'inizio il condono per difetto dei suddetti presupposti;

consegue che la questione della rilevanza del condono, fruito, ripetesi, ai sensi dell'art. 9, comma 3-bis, della I. n. 289 del 2002, era compresa nell'oggetto del processo e proprio la conferma della negazione dei presupposti del condono porta a dire che l'impugnata sentenza si sia pronunciata sulla questione dell'omessa attivazione del contraddittorio implicitamente disattendendola; col quarto motivo i ricorrenti, denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 24 e 111 cost. e 2261 cod. civ., lamentano che l'avviso di accertamento non era stato notificato a tutti i soci e che in ogni caso era stato violato il loro diritto di avere informazione circa la gestione della società dai soci amministratori, volta che alla data di notifica dell'avviso di accertamento la società era cessata da cinque anni;

anche il quarto motivo è inammissibile, essendo basato su vizi che la CTR ha escluso in fatto (ove anche ritenuti rilevanti); la circostanza della cessazione della società da oltre cinque anni è dedotta genericamente, non essendo nel ricorso specificato se la società sia stata formalmente cancellata dal registro delle imprese; a ogni modo va osservato che la prospettazione di tutti codesti vizi era nuova nella sede di appello, non risultando che le correlate questioni fossero state sollevate col ricorso avverso l'avviso di accertamento;

i ricorrenti hanno difatti premesso che l'avviso era stato impugnato adducendo: (i) la nullità per difetto di motivazione; (ii) la nullità in conseguenza della preclusione derivante dal condono; (iii) la validità della domanda di condono in quanto la società doveva considerarsi congrua in base ai parametri e agli studi di settore; ed è principio del tutto consolidato che il carattere impugnatorio del processo tributario (per quanto rispondente allo schema della impugnazione-merito) circoscrive il dibattito ai motivi introdotti dal contribuente col ricorso di primo grado, salvi i motivi aggiunti ammissibili ai sensi dell' art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per il solo caso - qui inesistente - del "deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione" (v. per tutte Cass. n. 15051-14; Cass. n. 9637-17);

col quinto mezzo i ricorrenti deducono l'omessa motivazione della sentenza ovvero l'omessa pronuncia sulla questione afferente il difetto di motivazione dell'avviso di accertamento;

il quinto motivo è inammissibile per difetto di specificità;

dalla sentenza risulta che il ricorso dei contribuenti era stato accolto, in primo grado, perché l'adesione al condono aveva sanato ogni irregolarità;

la sentenza era stata gravata da appello dell'ufficio e, in sede d'appello, non risulta che sia stata riproposta la questione relativa alla motivazione dell'accertamento; né sul punto il ricorso soddisfa il fine di autosufficienza, non essendo riportato il contenuto della memoria di costituzione in secondo grado;

consegue che l'attuale quinto motivo è inammissibile perché riferito a questione che non risulta riproposta in appello, con conseguente presunzione di rinuncia ai sensi dell'art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.