Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 22 settembre 2017, n. 22124

TIA - Posto auto improduttivo di rifiuti - Area del sottosuolo adibita a posto auto - Non esente da tassazione - Area produttiva di rifiuti in via presuntiva

 

Ritenuto che

 

Lo Studio Professionale Associato M.L. impugnava l'avviso di accertamento relativo a T.I.A., anni di imposta 2006 e 2007, innanzi alla CTP di Prato, assumendo di non essere tenuto al pagamento della pretesa con riferimento al posto auto, perché improduttivo di rifiuti. La CTP accoglieva il ricorso. La sentenza veniva appellata dalla società A.S.M. S.p.A. innanzi alla CTR della Toscana, che respingeva il gravame, ritenendo che il posto auto non potesse essere assoggettato a T.I.A. Propone ricorso per cassazione la società A.S.M. S.p.A., svolgendo due motivi. Lo Studio Professionale Associato M.L. ha presentato comparsa di costituzione, riportandosi integralmente alle deduzioni, eccezioni e conclusioni formulate nei precedenti giudizi. La società ricorrente ha presentato memorie.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Parte ricorrente si duole del fatto che la CTR abbia ritenuto non assoggettabili a TIA posti auto collocati nel sottosuolo, in evidente contrasto con la norma di cui all'art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997. La motivazione della sentenza impugnata sul punto sarebbe illogica posto che si afferma e si nega nello stesso tempo la presenza di muri perimetrali nel sottosuolo, dove risultano ubicati i predetti posto auto.

2. Con il secondo motivo, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione di legge e falsa applicazione dell'art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, laddove il giudice di appello afferma la non assoggettabilità a T.I.A. di posti auto collocati nel sottosuolo e delimitati, su tutti i lati, da muri perimetrali.

3. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, per connessione logica, sono fondati, in ragione delle seguenti considerazioni.

a) La Tariffa di igiene ambientale (T.I.A.) rappresenta una mera variante della TARSU, sicché estendendo alla T.I.A.

l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di TARSU, con riguardo all'art. 62, comma 3, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, mentre le deroghe indicate al comma 2 della norma e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti (Cass. n. 18054 del 2016).

b) In tale materia, grava sul contribuente l'onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell'esenzione, atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l'Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell'obbligazione tributaria, esso non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l'esenzione, costituendo questa un'eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass. n. 9731 del 2015).

c) L'impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti e non dalla contingente e soggettiva modalità di utilizzazione dei locali. Questa Corte ha, infatti, precisato che: <<La situazione che legittima l'esonero si verifica allorquando l'impossibilità di produrre rifiuti dipende dalla natura stessa dell'area o del locale, ovvero dalla loro condizione di materiale ed oggettiva inutilizzabilità ovvero dal fatto che l'area ed il locale siano stabilmente, e cioè in modo permanentemente e non modificabile, insuscettibili di essere destinati a funzioni direttamente o indirettamente produttive di rifiuti>> (Cass. n. 19720 del 2010).

d) Con specifico riferimento alla tassabilità dei box auto, si è affermato che: <<La disciplina della TARSU contenuta nel d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, sulla individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione, non contrasta con il principio comunitario "chi inquina paga", sia perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell'immobile posseduto, sia perché la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un'ampia prova contraria, ma contiene previsioni (v. art. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni: in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva disapplicato la disciplina nazionale sulla TARSU, ritenendola in contrasto con il principio comunitario "chi inquina paga", nella parte in cui prevedeva il pagamento del tributo per un box auto adibito ad autorimessa>> (Cass. n. 2202 del 2011, Cass. 11351 del 2012). Ne consegue che l'area del sottosuolo, adibita a posto auto, non è esente da tassazione, posto che non sono ravvisabili ragioni che possano escludere la possibilità di produrre rifiuti, laddove, nella specie, l'inesistenza di muri perimetrali, che delimitano la singola area adibita a parcheggio, appare irrilevante, in quanto le aree a ciò utilizzate sono aree, esattamente individuabili ed esclusivamente a disposizione dell'utilizzatore, e quindi frequentate da persone e, come tali, produttive di rifiuti in via presuntiva (Cass. n. 14770 del 2000; Cass. n. 5047 del 2015).

4. La CTR non si è uniformata ai suddetti principi, con la conseguenza che il ricorso va accolto, la decisione impugnata cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dal contribuente. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente. Condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite che liquida a favore delle parti costituite in Euro 510,00 per compensi, oltre spese forfetarie nella misura del 15%, ed accessori di legge.