Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 luglio 2016, n. 14111

Rapporto di lavoro - Pubblica amministrazione - Dispensa dal servizio - Condizioni - Possibilità di ricollocazione della lavoratrice

 

Svolgimento del processo

 

1 - La Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese, ha dichiarato la nullità della deliberazione n. 69 adottata in data 26 novembre 2009 dalla Giunta Comunale di Mezzojuso, con la quale era stata disposta la dispensa dal servizio nei confronti della dipendente V. C., ed ha condannato l'ente locale a corrispondere alla C. le retribuzioni maturate dalla data di efficacia della predetta deliberazione fino al raggiungimento dell'età pensionabile.

2 - La Corte territoriale ha ritenuto violate le regole proprie del procedimento, fissate dagli artt. 129 e 70 del d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, perché il provvedimento non era stato preceduto dalla comunicazione all'interessata, la quale non era stata invitata a presentare le proprie osservazioni. Ha aggiunto che la pubblica amministrazione non aveva valutato la possibilità di utilizzare il dipendente in altre mansioni o in altri compiti attinenti alla sua qualifica. Infine ha ritenuto l'atto viziato da difetto assoluto di attribuzione, rilevante ai sensi dell'art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, poiché la dispensa era stata disposta dalla Giunta Comunale e non dal dirigente, al quale il potere di adottare gli atti relativi alla gestione del personale era stato attribuito dall'art. 107 comma 3 del d.lgs n. 267 del 2000.

La Corte ha invece respinto il motivo di appello con il quale era stato censurato il capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta in relazione alla pretesa condotta vessatoria subita da parte del datore di lavoro.

3 - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Mezzojuso sulla base di tre motivi. V. C. ha resistito con tempestivo controricorso, illustrato da memoria.

 

Motivi della decisione

 

1.1. - Con il primo motivo il Comune di Mezzojuso denuncia, ex art. 360 n. 5 c.p.c., l'omesso esame del verbale di visita medica collegiale del 1° ottobre 2009. Rileva che la Corte territoriale non ha considerato in alcun modo il giudizio espresso dalla competente commissione medica, mai contestato nei precedenti gradi di merito, secondo cui la C., ai fini della dispensa dal servizio, non era idonea "in modo assoluto e permanente a svolgere qualsiasi proficuo lavoro nell'ambito dell'Amministrazione di appartenenza".

1.2 - Il secondo motivo denuncia "violazione e falsa applicazione del d.p.r. 29.10.2001 n. 461 artt. 15 e 20; violazione e falsa applicazione dell'art. 21 comma 4 bis del CCNL 6 luglio 1995, come introdotto dall'art. 13 del CCNL 5 ottobre 2001; violazione e falsa applicazione dell'art. 21 septies della legge 10 agosto 1990 n. 241". Il ricorrente, premesso che la dispensa dal servizio può essere disposta non solo nei casi di inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa, ma anche nelle ipotesi di inabilità assoluta rispetto alle mansioni e di incapacità, egualmente assoluta, allo svolgimento di un proficuo lavoro, evidenzia che nel caso di specie la Commissione aveva ricondotto a detta ultima ipotesi le patologie dalle quali la C. era affetta, sicché la Amministrazione non poteva diversamente ricollocare la dipendente, essendo le sue condizioni di salute incompatibili con qualsivoglia posizione lavorativa all'interno dell'ente.

Precisa che la normativa richiamata dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata non era più vigente all'epoca dei fatti, in quanto il legislatore con l'art. 20 del d.p.r. 29.10.2001 n. 46 ha abrogato i commi 4 e 5 dell'art. 129 nonché l'intero art. 130 del d.p.r. n. 3 del 1957.

Aggiunge che la fonte normativa e di regolazione doveva e deve essere individuata nell'art. 15 del richiamato d.p.r. n. 461 del 2001 nonché nell'art. 21, comma 4 bis, del CCNL autonomie del 1995.

Infine precisa che gli obblighi di comunicazione e di informazione operano nei soli casi in cui il procedimento venga avviato dall'amministrazione non già qualora, come nella specie, l'intervento della commissione medica consegua a domanda presentata dall’interessato.

1.3 - Il terzo motivo censura il capo della decisione relativo alla ritenuta nullità del provvedimento, in quanto adottato dalla Giunta Comunale anziché dal dirigente. Il ricorrente denuncia la violazione dì plurime disposizioni della legislazione regionale siciliana, degli artt. 48, comma 2, e 107 del d.lgs n. 267/2000, dell'art. 21 septies della legge n. 241/1990, dell'art. 15 del d.p.r. n. 461 del 2001.

Rileva che la Corte territoriale, nel fondare la decisione sulla previsione dell'art. 107 del d.lgs n. 267/2000, non ha in alcun modo considerato la riserva contenuta nello Statuto della Regione Sicilia, all'art. 14, comma 1, lett. o), che attribuisce alla potestà legislativa regionale la disciplina della organizzazione degli enti locali. Richiama la normativa succedutasi nel tempo per sostenere che in forza dell'art. 41, comma 2, della l.r.n. 41 del 1993 sono state attribuite alla competenza della giunta tutte le materie indicate dall'art. 15 della l.r. n. 44 del 1991 e, quindi, anche gli atti di gestione dei rapporti di lavoro.

Aggiunge che, in ogni caso, erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie l'art. 21 septies della I. n. 241 del 1990, sia perché a seguito della contrattualizzazione l'ente esercita i poteri propri del datore di lavoro privato, sia in quanto la nullità dell'atto per carenza di attribuzione è configurabile solo nelle ipotesi di assenza di qualsivoglia norma giuridica attributiva del potere. Al contrario la incompetenza determina la mera annullabilità dell’atto, che può essere sanata dalla ratifica effettuata dall'organo competente.

2 - I primi due motivi, che per la stretta connessione logico-giuridica devono essere congiuntamente trattati, sono fondati nei limiti e per le ragioni di seguito precisate.

La Corte territoriale ha valutato la legittimità del provvedimento adottato dalla Giunta Comunale sulla base di quanto previsto dalle disposizioni, sostanziali e procedimentali, del d.p.r. n. 3 del 10 gennaio 1957 ed ha evidenziato che l'ente locale avrebbe dovuto consentire alla C., ex art. 129 comma 3, di presentare le proprie osservazioni, ed avrebbe dovuto valutare, sempre ai sensi del richiamato d.p.r., la possibilità dì utilizzare la dipendente in altri compiti attinenti alla qualifica.

In realtà il giudice di appello ha errato nella individuazione del quadro normativo e contrattuale di riferimento poiché ha innanzitutto omesso di considerare che l'art. 130 nella sua interezza e l'art. 129, commi 4 e 5, del d.p.r. n. 3 del 1957 sono stati abrogati dall'art. 20 del d.p.r. 20.10.2001 n. 461, con il quale è stato approvato il regolamento per la semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell'equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie.

L'art. 15 del richiamato d.p.r., intitolato "accertamenti di idoneità ed altre forme di inabilità", precisa che detti accertamenti devono essere condotti nelle forme disciplinate dall'art. 6 dello stesso decreto ed aggiunge, al comma 3, che "in conformità all'accertamento sanitario di inidoneità assoluta a qualsiasi impiego e mansione, l'Amministrazione procede, entro trenta giorni dalla ricezione del verbale della Commissione, alla risoluzione del rapporto di lavoro e all'adozione degli atti necessari per la concessione di trattamenti pensionistici alle condizioni previste dalle vigenti disposizioni in materia".

Si deve, pertanto, ritenere che, avendo il legislatore dettato una compiuta disciplina del procedimento, abrogando anche l'art. 130 del R.D. che si riferiva alla dispensa dal servizio per motivi di salute, prevedendo il diritto del dipendente di farsi assistere da un medico di fiducia, l'art. 129 sia rimasto in vigore con riferimento al diverso istituto dallo stesso disciplinato, ossia alla dispensa dal servizio per "persistente insufficiente rendimento".

2.1 - Risulta parimenti errato il richiamo contenuto nella sentenza impugnata agli artt. 70 e 71 del d.p.r. n. 3 del 1957, poiché anche dette disposizioni non erano più applicabili al momento della adozione del provvedimento impugnata essendo state espressamente disapplicate, a norma dell'art. 72, comma 1, d.lgs n. 29 del 1993, dall'art. 47, lett. q, del CCNL 6 luglio 1995 per il comparto degli enti locali, che all'art. 21 ha disciplinato il potere del datore di lavoro di risolvere il rapporto, non solo nei casi di inidoneità allo svolgimento di qualsiasi proficuo lavoro, ma anche nella ipotesi di inidoneità alla mansione, purché accompagnata dalla impossibilità di assegnare il dipendente ad altri compiti nell’ambito della amministrazione di appartenenza.

L'art. 21 del CCNL richiamato è stato, poi, modificato dall'art. 10 comma 2, del CCNL 14.9.2000 e dall’art. 13 del CCNL 5.10.2001 che, inserendo il comma 4 bis, ha previsto espressamente che la risoluzione del rapporto possa essere disposta " ove non sia possibile procedere ai sensi del precedente comma 4 oppure nel caso che il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro".

La legittimità del provvedimento adottato dal Comune di Mezzojuso deve, essere, pertanto valutata alla luce delle disposizioni normative e contrattuali sopra richiamate, considerando anche che, all'esito del procedimento avviato dalla C. per ottenere la pensione di inabilità ex art. 2, comma 12, della legge n. 223/1995 la commissione medica, pur escludendo la sussistenza dei requisiti necessari per il riconoscimento della prestazione pensionistica richiesta, aveva accertato " ai fini del dispensa dal servizio" che la dipendente non era "idonea in modo assoluto e permanente a svolgere qualsiasi proficuo lavoro nell’ambito della amministrazione di appartenenza".

Detta diversa valutazione dovrà essere compiuta dal giudice di merito, comportando la stessa accertamenti in fatto che esulano dall'ambito del giudizio di legittimità.

3 - Il terzo motivo, con il quale è stato censurato il capo della sentenza relativo alla ritenuta nullità del provvedimento, perché adottato dalla Giunta anziché dal Dirigente, è egualmente fondato nella parte in cui evidenzia che, una volta privatizzato il rapporto di impiego, l'incompetenza non può determinare di per sé la invalidità dell'atto.

Occorre premettere che la Regione Sicilia è titolare di potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali ed il fondamento giuridico di tale potestà è da rinvenire nell'art. 14 dello Statuto, approvato con legge costituzionale 26.2.1948 n. 2 ( e successivamente modificato sempre con leggi costituzionali) che, all'art. 14, comma 1 lett. o), riserva alla Regione " Il regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative" ed all'art. 15, dopo avere precisato che "l'ordinamento degli enti locali si basa... sul Comuni e sui Liberi Consorzi comunali..", aggiunge che " spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizioni, ordinamento e controllo degli enti locali".

La sentenza impugnata è, quindi, errata nella parte in cui richiama l'art. 107, comma 3, del d.lgs n. 267 del 2000, senza accertare se analoga disposizione sul poteri del dirigente sia stata adottata dalla Regione, anche attraverso il recepimento della normativa nazionale.

3.1 - Tuttavia non è corretta la ricostruzione del quadro normativo operata dal Comune ricorrente per sostenere che l'atto del quale qui si discute rientrava, al momento della sua adozione, nella competenza della Giunta comunale.

Va detto, infatti, che la l.r. 9.8.1998 n. 23 con l'art. 2 ha dato attuazione nella Regione siciliana alla legge 15.5.1997 n. 127 ed in particolare all'art. 6 della legge richiamata che, a sua volta, ha modificato l'art. 51 della legge n. 142 del 1990, stabilendo che " spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri dettati dagli statuti e dal regolamenti che si uniformano ai principio per cui I poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti" ai quali sono riservati, tra l'altro, " gli atti di amministrazione e gestione del personale".

Ne discende che la risoluzione del rapporto per la sopravvenuta inidoneità detta dipendente doveva essere disposta dal dirigente e non dalla giunta.

3.2. - Il motivo di ricorso è, però, fondato nella parte in cui evidenzia che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto di poter configurare nella fattispecie un difetto di attribuzione.

Va detto, infatti, che il difetto di attribuzione, riferibile agli atti amministrativi, postula la cosiddetta carenza di potere in astratto ed è ravvisabile solo qualora l'amministrazione eserciti un potere che nessuna norma le attribuisce, non già allorquando il potere stesso spetti senz'altro all'ente, che lo eserciti attraverso atti adottati da un organo incompetente ( si veda in tal senso C.d.S. 18.11.2014 n. 5671).

In tal caso, infatti, come chiarito anche in precedenti pronunce di questa Corte, si configura soltanto una violazione della norma di azione che definisce la competenza dell'organo, cioè il quantum di funzioni allo stesso spettante (Cass. 20.9.2006 n. 20409), con la conseguenza che, ove l'atto abbia natura negoziale, lo stesso non potrà essere ritenuto, in difetto di una diversa previsione della legge, né nullo né insistente, ma solo annullabile ad istanza dell' ente al quale il medesimo si riferisce (Cass. 9 maggio 2007 n. 10631 - che sottolinea anche come l'atto sia suscettibile di ratifica attraverso la dichiarazione dell'organo che sarebbe stato competente - ed in motivazione Cass. 5.3.2003 n. 3254 con riferimento al contratto di lavoro stipulato da soggetto incompetente).

Detti principi devono valere anche nella fattispecie, poiché il provvedimento adottato esula dall'ambito disciplinare, nel quale anche la incompetenza rileva quale causa di nullità per l'espressa previsione contenuta nell'art. 55 del d.lgs n. 165 del 2001, e perché, in relazione alla natura detratto adottato, non si ravvisa alcun interesse sostanziale del dipendente che sia stato leso in conseguenza dell'esercizio del potere da parte di organo incompetente.

4 - La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.