Giurisprudenza - COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE REGGIO EMILIA - Sentenza 14 luglio 2016, n. 228

Aumento a pagamento del capitale sociale - Conferimento ramo di azienda - Valore complessivo determinato con apposita relazione giurata di stima

 

Fatto

 

Scrive l'Ufficio nell'atto di costituzione in giudizio: con l'atto a ministero del notaio dott. S.A. - rep. N. 272705/22663 del 20/02/2012 - registrato a Reggio Emilia il 14/03/2012 al n. 3703 della Serie IT - l'assemblea straordinaria della società "C. S.R.L." con sede legale in Reggio Emilia, via (...), Codice Fiscale (...), ha deliberato di procedere all'aumento a pagamento del capitale sociale, elevandolo dall'importo di nominali € 10.000,00 a quello di nominali € 3.000.000,00, da effettuarsi mediante il conferimento da parte della società "C. S.p.A.", con sede legale in Dalmine (BG), via (...), Codice Fiscale (...), del proprio ramo di azienda costituito da n. 23 Punti di vendita gestiti direttamente e da n. 8 Punti di vendita concessi in affitto a soggetti terzi, il cui valore complessivo è stato determinato con apposita relazione giurata di stima in € 31.600.000,00. A distanza di 10 giorni, con l'ulteriore atto a ministero dello stesso notaio dott. S.A. - rep. N. 272800/22667 del 01/03/2012, registrato a Reggio Emilia il 28/03/2012 al n. 4371 della Serie IT, la società "C. S.p.A." ha ceduto alla società "L.R. S.R.L.", con sede legale in Fiero (BS), via (...), Codice Fiscale (...), la sua intera quota di partecipazione nella società C. S.R.L. del valore nominale di € 3.000.000,00, per il prezzo concordato di € 31.447.698,00. Ai sensi dell'art. 20 del DPR 131/86, l'Ufficio ha riqualificato ai fini dell'imposta di registro la sequenza di atti sopraddetti da conferimento di ramo d'azienda in newco e successiva cessione delle quote di partecipazione in cessione d'azienda con applicazione dell'imposta proporzionale del 3% (ai sensi art. 9 della Tariffa Parte Prima Allegata al Testo Unico n. 131/1986) in luogo di quella fissa prevista per i singoli atti sottoposti a registrazione. La maggiore imposta ammonta a: 3% di € 31.447.698,00 pari ad € 943.431,00 oltre interessi ed è stata versata dalla società ricorrente in data 20/03/2015 con modello F23, ai sensi dell'art. 13, comma 2, del D. Lgs. n. 471/97. In data 27/03/2015 la società C.C.N. S.C. ha presentato ricorso avverso l'avviso di liquidazione n. 20121T004371000 notificato il 27/01/2015 mediante consegna diretta (prot. n. 14338), e si è costituita in giudizio il 24/04/2015.

Secondo l'Ufficio sarebbe del tutto evidente come, in assenza di valide ragioni economiche, il ricorso ad una concatenazione di negozi giuridici (conferimento e successiva cessione della partecipazione) in luogo di un atto di cessione unitario (trasferimento a titolo oneroso di n. 31 rami d'azienda) abbia il solo scopo di accedere alla più favorevole tassazione in misura fissa in luogo della ben più onerosa tassazione in misura proporzionale.

Per quanto esposto, conclude l'Ufficio, considerata, la quasi contemporaneità fra le disposizioni negoziali, questo Ufficio, in applicazione di quanto disposto dall'art. 20 del T.U. n. 131 del 26/04/1986, ha proceduto alla riqualificazione degli atti evidenziati in premessa considerandoli unitariamente come cessione di ramo di azienda effettuata tra la società "C. S.p.A.", in qualità di cedente, e la società "L.R. S.r.l.", in qualità di cessionaria, per il prezzo di € 31.447.698,00 e, conseguentemente, ha liquidato la maggiore imposta di Registro complementare dovuta in misura proporzionale del 3% ai sensi dell'art. 9 della Tariffa Parte Prima Allegata al T.U. n. 131 del 26/04/1986, oltre ai relativi interessi, sulla base imponibile di € 31.447.698,00.

La difesa eccepisce errata applicazione dell’art. 20 del d.p.r. 131 del 26/04/1986

L'art. 20 del d.p.r. 131/1986 così recita "l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente". Il conferimento d'azienda (o di ramo d'azienda) con successiva cessione della partecipazione nella conferitaria è operazione espressamente disciplinata ai fini delle imposte dirette dagli articoli 176 e 87 del Testo Unico Imposte sui Redditi (TUIR), in forza dei quali: il conferimento d'azienda è soggetto ad un regime di neutralità fiscale; alla successiva cessione delle partecipazioni ricevute in seguito al conferimento, sussistendone le condizioni, si applica il regime della participation exemption; l'operazione non è soggetta al sindacato di elusività previsto dall'art. 37 bis del d.p.r. n. 600/1973, in forza dell'espressa previsione contenuta nell’art. 176, comma 3 del d.p.r. 917/1986. Lo schema negoziale strutturato in conferimento e successiva cessione della partecipazione si può porre quale alternativa alla cessione dell'azienda, nonostante gli effetti giuridici che discendono da ognuna delle due ipotesi siano differenti. Il legislatore con la previsione di cui all'art. 176, comma 3 del Tuir, che sancisce l'irrilevanza ai fini dell'art. 37-bis del Decreto del Presidente della Repubblica 600/1973 del conferimento di azienda, con successiva cessione della partecipazione ricevuta per usufruire dell'esenzione di cui all'art. 87 del Testo Unico Imposte sui Redditi, ha riconosciuto lo schema negoziale in esame quale possibile alternativa concessa al contribuente; ha introdotto per lo schema "conferimento - cessione" della partecipazione una tutela addirittura premiale rispetto a quanto previsto in tema di cessione d'azienda.

A parere della difesa il legislatore in tema di Imposta di Registro non ha dettato alcuna norma derogatoria rispetto alle regole ordinarie. Pertanto i due atti sono da assoggettare autonomamente all'imposta di registro in misura fissa, come previsto rispettivamente dall'art. 4 n. 3 e dall'art. 11 della Tariffa parte prima allegata al d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131 (Testo Unico dell'Imposta di Registro).

Nel merito

L'avviso di accertamento impugnato, prosegue la difesa, è illegittimo per il seguente motivo di merito: sussistenza di valide ragioni economiche.

Nell'avviso di liquidazione l'Agenzia delle Entrate dichiara che l'operazione di conferimento seguita dalla cessione della partecipazione è avvenuta, in assenza di valide ragioni economiche, in luogo di un atto di cessione unitario: il conferimento del ramo d'azienda e la successiva compravendita di partecipazioni societarie in luogo della compravendita del ramo d'azienda assume caratteristiche del tutto distinte, non solo sul piano meramente cartolare ma certamente anche nel "dato giuridico reale" e anche nella sostanza economica. E' evidente che l'importanza e la complessità dell'operazione che le parti intendevano realizzare (conferimento di ramo d'azienda composto da n. 31 punti vendita strutturati quali supermercati alimentari con valore complessivo determinato in Euro 31.600.000) ha reso indispensabile attente valutazioni circa lo strumento più adeguato nel fornire le migliori garanzie giuridiche ed economiche alle parti coinvolte. Le parti hanno pertanto sviluppato scrupolose analisi ponendo attenzione in particolare alle seguenti considerazioni: effetti economici: per effetto della cessione (acquisto) del ramo d'azienda, l'acquirente iscrive fra le proprie attività e passività i valori degli elementi patrimoniali che risultano dall'atto. Come conseguenza, quindi, gli elementi dell'attivo e del passivo oggetto di cessione di azienda determinano effetti reddituali, positivi e negativi, direttamente in capo alla cessionario che ne condizionano il risultato di esercizio. Nulla di tutto questo accade alla cessionario delle quote la quale iscrive nell'attivo il valore di acquisto delle partecipazioni, valore che non intacca l'aspetto reddituale - salvo eventuali svalutazioni e/o rivalutazioni; effetti patrimoniali: l'acquirente delle partecipazioni, in qualità di socio, non può disporre dei beni della società partecipata, non acquisendone il diritto di proprietà o di utilizzo; responsabilità: l'art. 2560 cod.civ. statuisce che l'alienante non è liberato dai debiti inerenti all'azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. E se i debiti risultano dai libri sociali obbligatori, degli stessi ne risponde anche l'acquirente, così come quest'ultimo si espone al rischio di eventuali sopravvenienze passive di tale natura. Nessuna solidarietà ex lege opera, invece, per la cessione delle quote; solidarietà fiscale: l'art. 14 D.Lgs. n. 472/1997, prevede la responsabilità solidale del cessionario di azienda per il pagamento di imposte e sanzioni riferibili all’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti. Nessuna disposizione simile è presente per l’istituto della cessione delle quote; lavoratori: in caso di cessione di azienda, i lavoratori di questa passano direttamente alle dipendenze della cessionario. In caso di cessione di partecipazioni, i lavoratori dell'azienda conferita non vengono assunti dall'acquirente delle quote, con conseguente sorte di ogni aspetto giuslavoristico, previdenziale, sindacale, di mantenimento dell'occupazione, etc.; individuazione del perimetro dei beni che formano oggetto dell'acquisizione e garanzia offerta dalla relazione di stima nell'ambito del conferimento: il conferimento, in particolare quando riguarda un singolo ramo aziendale e non l'intera azienda del conferente, permette, grazie anche alla redazione di un'apposita stima da parte di un perito che si assume le responsabilità di cui all'art. 6412 del codice di procedura civile, una precisa individuazione dei beni che compongono il ramo trasferito.

L'analisi di tali aspetti ha permesso alle parti di individuare nel conferimento e nel successivo trasferimento della partecipazione le operazioni giuridicamente più rispondenti alle proprie esigenze. In particolare per il compratore questo ha permesso una riduzione dei rischi e delle responsabilità.

Le eccezioni della difesa sono corrette e fondate ed il ricorso deve essere accolto.

La Commissione osserva

Art. 20 DPR 131/86: come va letto: imposta d'atto L’operazione di cessione di quote di una società non può essere riqualificata ai fini del registro come cessione di azienda da tassare in modo proporzionale. Ciò in considerazione dei differenti effetti giuridici dei due atti e della libertà di scelta tra due opzioni entrambe lecite dal punto di visto fiscale. In tale contesto non può quindi essere invocato il divieto di abuso del diritto, né è applicabile l’articolo 20 del Testo unico del registro (Dpr 181/1986) (ndr Dpr 131/1986) (NOTA 1). La circolazione di un complesso aziendale può avvenire non solo per il tramite della sua diretta cessione a terzi (asset deal), ma anche mediante il ricorso a strumenti alternativi (share deal) consistenti in:

- cessione delle partecipazioni della società che possiede il complesso aziendale medesimo, fondendo eventualmente anche le due società successivamente;

- conferimento del complesso aziendale seguito poi dalla cessione delle partecipazioni ricevute;

- scissione della società contenitore con cessione delle partecipazioni della scissa (in cui il complesso aziendale rimanga a quest'ultima) o della beneficiaria.

Non si può sindacare ai fini del registro «la finalità economica di una serie di atti correlati come è previsto dall'articolo 37-bis del Dpr 600/1973» perché manca «nel sistema dell'imposta di registro una norma antielusiva generale», non potendo a tal fine sopperire l'articolo 20 del TUR. La norma guarda solamente alle finalità giuridiche delle operazioni: una circostanza che deriva dal fatto che l'imposta di registro è un imposta d'atto.

Inoltre, la presenza di valide ragioni economiche non può determinare situazioni né di elusività né di abuso del diritto.

Si può dire che sulla vicenda della "latitudine" (NOTA 2) dell'articolo 20 del Dpr 131/1986 vi è più di qualche incomprensione. Secondo la norma, l'imposta di registro è applicata secondo l'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente.

La norma ha una sua storia risalente, visto che nasce, addirittura, con l'articolo 7 della legge 585 del 21 aprile 1862, poi successivamente confermato con l'articolo 8 del regio decreto 3269 del 30 dicembre 1923. Infatti, l'attuale previsione dell'articolo 20 del Dpr 131/1986 deriva proprio da questa storia e, in particolare, dal fatto che negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso si volevano considerare anche gli effetti economici degli atti portati alla registrazione. Proprio per disattendere queste tesi, ora la norma chiaramente prevede che occorre considerare gli effetti giuridici degli atti e, quindi, non quelli economici. In tutto questo l'abuso del diritto e l'elusione non c'entrano nulla.

Il conferimento di un ramo d'azienda e il successivo trasferimento delle partecipazioni non costituisce operazione elusiva ai fini dell'imposta di registro. Quest'ultima imposta ha per oggetto gli effetti giuridici degli atti presentati per la registrazione e non i suoi effetti economici. (NOTA 3)

L'articolo 20 del Dpr 131/1986 non ha nulla a che vedere, di conseguenza, con l'elusione né con l'abuso del diritto. Il nuovo concetto di abuso del diritto individuato dai decreti attuativi della delega fiscale 23/2014 ha una portata generale (tanto che verrà inserito nello Statuto del contribuente) e, quindi, deve riguardare anche l'imposta di registro. Non è nemmeno pensabile che un criterio generale possa ammettere che per un comparto impositivo (imposte sui redditi) il conferimento d'azienda e il successivo trasferimento delle partecipazioni non costituisca abuso del diritto (elusione), mentre le medesime operazioni risultano "abusive" per l'imposta di registro.

Il nuovo articolo 10-bis dello Statuto, (NOTA 4) delinea l'abuso non più come un limite all'autonomia negoziale ma come garanzia della libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti un diverso carico fiscale e, quindi, della facoltà di optare anche per quella meno onerosa. Questa nuova concezione, non più come disciplina recante obblighi o divieti ma come procedura di garanzia per il contribuente, è evidenziata anche dal posizionamento della normativa in questione nell'articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente, e cioè a cavallo tra l’articolo 10 che si occupa dell'affidamento del contribuente e l'articolo 11 che si occupa dell'interpello in generale. Inoltre, introducendo questa nuova concezione dell'abuso, il legislatore ha inteso delineare una figura residuale, configurabile nei casi in cui non vi sia una violazione di legge (nei quali si configura invece l'evasione). Infine, con la codificazione della nozione di abuso, si intende contrastare il rischio dell'indeterminatezza nella gestione del potere dell'amministrazione e si introduce una procedura di garanzia per il contribuente nel caso di contestazione dell'abuso, pena la nullità degli atti amministrativi emanati in difformità da detta procedura. Sono dunque anzitutto elusive le operazioni che siano «prive di sostanza economica», ed è l'amministrazione che deve dame prova. Si tratta dell'adeguatezza degli strumenti giuridici prescelti dal contribuente rispetto agli obiettivi e agli effetti economici che si intendano perseguire con una data operazione. Vale a dire che si deve avere: una "non coerenza" tra la qualificazione delle singole operazioni e il loro fondamento giuridico; e una "non conformità" degli strumenti giuridici utilizzati rispetto a normali logiche di mercato.

Il vantaggio fiscale indebito

Per esserci elusione (o abuso), vi devono essere «vantaggi fiscali indebiti»: e cioè vantaggi non vietati, ma comunque "disapprovati" dal sistema tributario: si tratta cioè della realizzazione di benefici che debbono essere stati realizzati formalmente in conformità a disposizioni fiscali, ma che, nella sostanza, sono in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario (come è evidenziato, ad esempio, dal fatto che vi sia, nel caso concreto, una oggettiva assenza di sostanza economica).

Il concetto di «essenzialità»

Si ha quindi elusione, nel momento in cui un' operazione persegua «essenzialmente» vantaggi fiscali indebiti.

Pertanto, non possono essere considerate abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondano a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente. In tal modo l'articolo 20 torna quindi alla sua originaria funzione (quella di tassare la sostanza negoziale, al di là della forma apparente) e si deve chiudere definitivamente ogni questione sul punto se si debba aver riguardo anche agli effetti economici delle operazioni oltre ai loro effetti giuridici, in quanto la codificazione della nozione di abuso.

La lite potrebbe, quindi, assumere carattere di temerarietà da parte dell'Ufficio: se infatti l'accertamento poteva in qualche modo essere soltanto dichiarato nullo, o, a seconda della giurisprudenza, accolto, prima della emanazione delle nuove norme, successivamente l'Ufficio avrebbe dovuto correttamente dare corso all'atto di autotutela.

Infatti l'Ufficio non può non sapere che ai fini dell'imposta di registro non può trovare applicazione la (presunta) norma antielusiva generale di cui all'articolo 37-bis del Dpr 600/1973. Inoltre, la presenza di valide ragioni economiche non può determinare situazioni né di elusività né di abuso del diritto.

Secondo la norma, l'imposta di registro è applicata in base all'intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponde il titolo o la forma apparente. Si può riconoscere, infatti, all'articolo 20 la possibilità di riqualificare l'atto o gli atti (considerando anche eventuali "concatenazioni") per individuare l'esatta natura giuridica rispetto a quella inesatta, oppure utilizzata erroneamente o artatamente. Ma questo nulla ha a che vedere con la possibilità di riconoscere la presunta valenza economica o, addirittura, l'abuso o l'elusione.

Ora, è fuori discussione che il nuovo articolo 10-bis si applichi anche alle imposte indirette. Ove non bastasse a testimoniarlo la collocazione della norma (in contrapposizione a quella del previgente articolo 37-bis del Dpr 600/1973), la relazione al Dlgs 128/2015 non lascia dubbi in proposito, precisando che le disposizioni di nuova introduzione assumono «valenza generale con riguardo a tutti i tributi», conferendo ad esse «la forza di principio preordinato alle regole previste nelle discipline dei singoli tributi»; un altro elemento certo è che la riforma, avendo unificato i concetti di abuso ed elusione (si veda la rubrica stessa dell'articolo 10-bis) non lasci più alcuno spazio a norme con valenza generale antielusiva, restando in vita solo quelle disposizioni specificamente volte a evitare abusi su singole fattispecie concrete (si pensi al riporto delle perdite nelle fusioni o scissioni, ai conferimenti a catena nell'Ace, e così via), di natura ben differente da quella che si vorrebbe attribuire all'articolo 20 del Tur. Negli ultimi 15 anni - cambiando nettamente orientamento rispetto al passato - la Cassazione ha attribuito all'articolo 20 del Tur una «funzione antielusiva» (così espressamente definita) tale da superare l'autonomia contrattuale delle parti e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi, perseguendo la valorizzazione degli effetti economici che il fisco ritiene siano sottostanti alla fattispecie globale realizzata (ordinanza 6835/2013, sentenza 14900/2001 e molte altre pronunce). Ma questa funzione, ora, rientra in toto nell'ambito applicativo dell'articolo 10-bis, giacché è innegabile che la «riqualificazione complessiva degli atti» operata dagli uffici altro non è che la contestazione dell'uso distorto di strumenti giuridici (in sé perfettamente legittimi) per giungere a un risparmio d'imposta considerato indebito. Da questi ragionamenti si possono trarre alcune conclusioni: se all'articolo 20 del Tur si continua a riconoscere quella amplissima funzione antielusiva emersa prepotentemente nella giurisprudenza degli ultimi 15 anni, allora il nuovo articolo 10-bis dello Statuto non può che aver implicitamente abrogato tale disposizione, in quanto norma più recente volta a disciplinare anche tale fattispecie; diversamente, occorre individuare un ambito di sopravvivenza dell’articolo 20 che possa giustificarne la mancata abrogazione da parte del Dlgs 128/2015, ripristinando il suo utilizzo come norma di interpretazione intrinseca del (singolo) atto sottoposto a registrazione. Viceversa, se si dovesse continuare a utilizzare l'articolo 20 come norma antielusiva generale (nonostante le ultime pronunce neghino sorprendentemente questo approccio), il rischio di contenzioso sarebbe molto elevato, e i contribuenti che invocassero il mancato rispetto delle procedure previste dall'articolo 10-bis avrebbero più di una ragione da far valere.

Il Collegio ritiene che, dopo l'introduzione delle nuove norme sull'abuso di diritto di fine 2015 L'Agenzia avrebbe avuto il dovere di annullare l'accertamento in autotutela.

Il ricorso è quindi da accogliere seguendo le spese la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso condannando parte soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 8.000,00 (ottomila/00).

Non si ritiene richiedere fidejussione o garanzia alcuna a parte ricorrente stante la patrimonializzazione del gruppo.

La sentenza è immediatamente esecutiva.

 

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Note:

(1) A.T. commento a sent. 3466/49/2014 della Ctr Lombardia (presidente L., relatore P.)

(2) D.D.

(3) Lo stabilisce la Ctr Lombardia, con sentenza n. 1453/34/2015, depositata il 13 aprile 2015 (presidente S., relatore C.).

(4) Notariato nazionale