Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 novembre 2016, n. 24379

Tributi - Imposte sui redditi - Determinazione reddito d’impresa - Compensi agli amministratori sproporzionati rispetto al volume d’affari - Indeducibilità

 

Ritenuto in fatto

 

A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l'Agenzia delle Entrate di Perugia notificava alla società P.A. s.r.l., esercente l'attività di commercializzazione di prodotti pubblicitari, un avviso di accertamento di maggior reddito imponibile ai fini Ires, Irap ed Iva relativamente all'anno di imposta 2004. In particolare l'Ufficio contestava la non inerenza di una quota di costi, pari ad euro 450.000, relativi a compensi che la società aveva corrisposto agli amministratori, nell'anno 2004, per l'importo complessivo di euro 600.000, importo ritenuto sproporzionato rispetto all'ammontare del volume degli affari e dei ricavi dichiarati nel 2004, di gran lunga inferiori a quelli dell'anno 2003 in cui i compensi corrisposti agli amministratori erano stati determinati dalla società nel minore importo di euro 150.000.

La società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Perugia che lo accoglieva con sentenza n. 217 del 2007.

L'Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale di Perugia che lo rigettava con sentenza del 20.5.2010. In particolare il giudice di appello riteneva la deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori in quanto consentita a norma dell'art. 95 comma 5 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917; osservava che i compensi agli amministratori avevano contemporaneamente costituito un costo deducibile per la società ed un corrispettivo imponibile in capo agli amministratori, senza produrre alcun danno alle casse dell'erario.

Contro la sentenza della Commissione tributaria regionale l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione deducendo, con unico motivo, violazione dell'art. 53 Cost, degli artt. 39 comma primo lett. d), 41 bis e 64 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, degli artt. 72, 75, 95 e 109 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ. nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che all'Amministrazione finanziaria non sia consentita alcuna valutazione in ordine alla congruità dei compensi corrisposti agli amministratori, nonché nella parte in cui ha attribuito rilievo alle maggiori imposte versate dagli amministratori in ragione dei più elevati compensi percepiti.

La società P.A. s.r.l. resiste con controricorso, chiedendo di dichiarare inammissibile o di rigettare il ricorso. Deposita memoria con cui ribadisce l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso, ammissibile quanto ad osservanza del principio di autosufficienza ed al tipo di censura svolta, è fondato nei termini di seguito indicati.

Questo Collegio intende dare continuità alla prevalente giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di determinazione del reddito di impresa, rientra nei poteri dell'amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d'impresa; pertanto la deducibilità dei compensi degli amministratori di società, stabilita dall'art. 62 (ora 95 comma 5) del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, non implica che l'Amministrazione finanziaria sia vincolata alla misura indicata nelle deliberazioni della società, competendo all'Ufficio la verifica della attendibilità economica di tali dati. Inoltre, ai fini della generale deducibilità dei costi non è sufficiente che il contribuente fornisca la prova della effettività dei componenti negativi (ossia che essi non sono inesistenti) dovendo anche fornire la prova della loro inerenza, anche in senso quantitativo, alla produzione di ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito (art. 109 comma 5 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917); anche sotto tale profilo l'Amministrazione finanziaria è legittimata a negare la deducibilità parziale di un costo ritenuto sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa e rispetto al quale la società non fornisca plausibili ragioni a giustificazione dell'ammontare del medesimo (in tal senso Sez. 6-5, Ordinanza n. 9036 del 15/04/2013, Rv. 626305; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 3243 del 11/02/2013, Rv. 625078; Sez. 5, Sentenza n. 9497 del 11/04/2008, Rv. 602909).

Il difforme orientamento minoritario muove dall'assunto che l’art. 62 (ora 95) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - a differenza del previgente art. 59, terzo comma del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, per il quale i compensi ai soci amministratori erano deducibili "nei limiti delle misure correnti per gli amministratori non soci"-, non contiene alcun riferimento a limiti massimi di spesa per i compensi, superati i quali sia esclusa la deducibilità; da tale premessa viene tratta la conclusione che all'Amministrazione finanziaria non è riconosciuto un potere di valutazione di congruità, salva la possibilità per l'Erario, in presenza di compensi che appaiano insoliti o sproporzionati, di fare ricorso alla disciplina della simulazione e dei negozi in frode alla legge. (Sez. 5, Sentenza n. 24957 del 10/12/2010, Rv. 615768). In senso contrario si osserva che il mancato riferimento, nel vigente art. 95 comma 3 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, a tabelle o indicazioni vincolanti che pongano limiti massimi di spesa per i compensi agli amministratori di società od enti di cui all'art. 73, non costituisce valida ragione per derogare alle regole generali in materia di indeducibilità di costi sproporzionati, in quanto tali mancanti del necessario requisito della inerenza in senso quantitativo.

Pertanto deve essere accolta la censura di erronea interpretazione degli artt. 95 e 109 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, con riguardo alla pronuncia del giudice di merito che ha affermato la deducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori di una società a responsabilità limitata per il solo fatto che essi siano stati deliberati, e senza possibilità per l'Amministrazione finanziaria di sindacarne la congruità ed inerenza.

La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell'Umbria in diversa composizione, perché proceda a nuovo giudizio attenendosi al principio di diritto indicato. Con regolazione del giudizio di legittimità all'esito del nuovo esame.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale dell'Umbria in diversa composizione.