Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 aprile 2017, n. 8821

Lavoro - Licenziamento - Reintegrazione nel posto di lavoro - Cessione di ramo di azienda - Prosecuzione del rapporto di lavoro

 

Fatti di causa

 

1. E. D. impugnava il licenziamento intimatogli in data 18 marzo 2009 dalla Sistemi Informativi s.p.a. deducendone l'illegittimità, chiedendo di essere reintegrato nel posto di lavoro e la condanna della società convenuta al risarcimento del danno.

2. Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda e ordinava la reintegrazione del lavoratore condannando la società al risarcimento del danno che quantificava in tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegrazione, maggiorate di interessi legali e rivalutazione monetaria, detratto quanto percepito medio tempore a titolo di retribuzioni o cassa integrazione guadagni.

3. Il giudice di primo grado, preso atto del fatto che con sentenza n. 3706 del 2008 era stata dichiarata la nullità del contratto di cessione di ramo di azienda dalla Sistemi Informativi s.p.a. alla S. s.p.a. del 30.12.2004 e che con la stessa sentenza era stata dichiarata la prosecuzione dei rapporti di lavoro con la società cedente, accertava che l'assenza del D. era pienamente giustificata atteso che, alla data del febbraio 2009, il lavoratore era ancora in servizio presso la cessionaria e che, successivamente, era stato da questa collocato in CIGS a zero ore sicché, giustificatamente, aveva reperito un'altra attività che, peraltro, non era risultata in concorrenza con la cedente.

4. La sentenza era impugnata sia dalla Sistemi informativi s.p.a. che, con appello incidentale, dal D..

5. La Corte di appello di Roma rigettava l'eccezione di nullità dell'appello principale, ritenendo che la procura alle liti, apposta a margine del ricorso di primo grado, fosse valida anche per l'appello; osservava infatti che, per mero errore materiale, nel ricorso si era indicato che la procura era stata apposta in calce al ricorso. Inoltre tale procura, rilasciata dal legale rappresentante in primo grado e mai revocata, non aveva perso di efficacia per effetto del mutamento della persona investita della rappresentanza legale della società. Riteneva tardivamente prodotta in appello la trascrizione del colloquio intercorso tra le parti il 19 febbraio del 2009 per concordare la ripresa del servizio. Accoglieva quindi il ricorso principale della società e rigettava la domanda originariamente proposta dal D. ravvisando nella condotta tenuta dal lavoratore una giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 222 e 225 del contratto collettivo di categoria.

6. In particolare riteneva che dall'istruttoria svolta sarebbe emerso che deliberatamente, ed ingiustificatamente, il D. non avrebbe ripreso servizio nel termine assegnatogli; che nel corso dell'incontro finalizzato a concordare la ripresa del servizio si sarebbe rifiutato di sottoscrivere la documentazione a tal fine predisposta, riservandosi ogni decisione al riguardo e che dopo quel colloquio non si era fatto più vivo; riteneva attendibile la testimonianza resa in tal senso dalla teste P. L. nonostante la denuncia per falsa testimonianza proposta dal D. confermata da altre dichiarazioni escludendo che potessero rilevare, al contrario le dichiarazioni rese da testi non presenti agli incontri. Sotto altro profilo, poi, la Corte di merito ha escluso la tardività del provvedimento espulsivo (del 18.3.2009), avuto riguardo alla documentata corrispondenza intercorsa tra le parti in ordine al ripristino del rapporto successivamente alla scadenza del termine ultimo fissato per la ripresa del servizio (19.2.2009).

7. Per la cassazione della sentenza ricorre E. D. che articola cinque motivi cui resiste la Sistemi Informativi s.p.a. con controricorso. Il ricorrente ha depositato note alle quali ha allegato documentazione - notificata alla controparte - relativa al procedimento penale nei confronti della teste D. Inoltre ha presentato note illustrative ai sensi dell'art. 378 cod.proc.civ.

 

Ragioni della decisione

 

8. Deve essere preliminarmente dichiarata inammissibile la produzione documentale allegata alle note del 1 aprile 2016 e del 7 giugno 2016, pur notificata alla controparte, relativa alla formulazione di imputazione a carico della teste denunciata per falsa testimonianza,alla richiesta di rinvio a giudizio ed alla fissazione dell'udienza di comparizione. In disparte ogni considerazione circa la decisività di tale documentazione relativa ad un giudizio ancora in corso ed alla circostanza che, in ogni caso, il vigente ordinamento giuridico appresta lo specifico rimedio di cui all'art. 395 n. 2 cod. proc. civ. per il caso di una sentenza resa in base a prove che successivamente siano riconosciute o dichiarate false, va in via del tutto assorbente osservato che tale documentazione, contrariamente a quanto previsto dall'art. 372 cod. proc. civ., non attiene a profili di inammissibilità del ricorso né ad aspetti di nullità della sentenza. Nel procedimento per cassazione, che non consente alcuna forma di istruzione probatoria, è preclusa la produzione di documenti ovvero di altre cose materiali che servano come mezzi di prova di fatti posti a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti miranti ad introdurre nuove circostanze che non siano quelle riguardanti la nullità della sentenza o I inammissibilità del ricorso e del controricorso (cfr. Cass. 17/03/2014 n. 6177, Cass. 24/03/2004 n. 5915, Cass. 05/12/2003 n.18595, Cass. 23/04/2003 n. 6476).

9. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 83 c.p.c. e conseguente nullità dell'appello e della sentenza impugnata. Sostiene il ricorrente che l’appello risulta proposto dalla società rappresentata da un soggetto diverso da quello che aveva rilasciato la procura in primo grado e che questa non poteva conservare validità non essendo stata mai sottoscritta dal nuovo legale rappresentante, restando irrilevante la circostanza che la procura rilasciata in primo grado non risultasse revocata.

10. La censura è infondata alla luce del condivisibile l'insegnamento di questa Corte secondo il quale "la procura, conferita al difensore dall'amministratore di una società di capitali "per ogni stato e grado della causa", è valida anche per il giudizio di appello e resta tale anche se l'amministratore, dopo il rilascio del mandato e prima della proposizione dell'impugnazione, sia cessato dalla carica, in conformità al principio secondo cui la sostituzione della persona titolare dell'organo avente il potere di rappresentare in giudizio la persona giuridica non è causa di estinzione dell'efficacia della procura alle liti, la quale continua ad operare a meno che non sia revocata dal nuovo rappresentante legale" (cfr. Cass. 23/05/2014 n. 11536 ed ivi le richiamate Cass. 17/09/2001 n. 11635, nonché Cass. 13/08/2008 n. 21563, in motivazione; cfr. anche Cass. 13/09/2002 n. 13434, 07/04/2006 n. 8281, 08/03/2007 n. 5319 e 22/05/2007 n. 11847).

11. In sostanza la sostituzione della persona titolare dell'organo avente il potere di rappresentare in giudizio la persona giuridica non è causa di estinzione dell'efficacia della procura alle liti, la quale continua ad operare a meno che non sia revocata dal nuovo rappresentante legale. Poiché nel caso in esame non è contestato che la procura alle liti, apposta a margine del ricorso di primo grado, sia stata rilasciata dall'allora legale rappresentante della società e che fosse estesa anche al secondo grado del giudizio, la sopravvenuta cessazione dalla carica in capo alla persona fisica che rappresentava la società, non ha alcuna conseguenza sull'atto, che va invece imputato direttamente a quest'ultima e mantiene intatta la sua validità in mancanza di prova di una revoca di tale originaria procura da parte del nuovo legale rappresentante.

12. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 in relazione all'art. 1206 ed agli artt. 2094, 2104 e 2013 cod. civ.. Erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto che la datrice di lavoro non era tenuta a specificare nella lettera di invito a riprendere servizio inviatagli il 6.3.2008 le mansioni alle quali il lavoratore sarebbe stato assegnato sul rilievo che si trattava delle medesime attribuite al momento della cessione del ramo di azienda poi dichiarata nulla. Al contrario, all'atto della ripresa del servizio era indispensabile specificare la postazione ed i compiti assegnati atteso che erano trascorsi cinque anni dalla cessione dichiarata illegittima. Pertanto, sostiene il ricorrente, di aver messo in mora il datore di lavoro presentandosi nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e che era onere della società specificare i compiti a cui lo assegnava. In mancanza di tale specificazione, anche nell'ultima lettera di convocazione del 5.2.2009, il lavoratore non era tenuto a presentarsi in servizio non potendo supplire alle direttive mai assegnate nella comunicazione del 2008 con la quale ci si limitava ad informare il lavoratore dell'esito del giudizio relativo alla cessione e dell'accoglimento della pretesa di proseguire il rapporto con le medesime mansioni ricoperte in precedenza. In definitiva sostiene il D. che in tale situazione complessivamente descritta l'assenza non poteva essere considerata ingiustificata. Precisa infine che il termine di trenta giorni di cui all'art. 18 citato è stabilito nell'interesse del lavoratore e dunque la risoluzione è ammissibile solo nel caso in cui l'invito sia sufficientemente specifico. Tale non può essere considerata la generica disponibilità della società a riassumere il lavoratore e pertanto l'attesa di tale invito specifico per controllarne il contenuto non può essere interpretato come un implicito rifiuto.

13. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata poi la violazione dell'art. 2119 cod. civ. in relazione agli artt. 2094 cod. civ., dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 e dell'art. 1175 cod. civ.. Sostiene il ricorrente che erra il giudice di appello nel ritenere che integri giusta causa di licenziamento il rifiuto del lavoratore di sottoscrivere la documentazione necessaria per la ripresa del servizio senza aver verificato, in concreto, la rilevanza di tali documenti. Ribadisce poi che era onere della società dare disposizioni per il ripristino del rapporto.

14. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 cod. civ. e degli artt. 222 e 225 del C.C.N.L. - Aziende del terziario. Ancora una volta sostiene il ricorrente che la mancata ripresa del lavoro era giustificata dalla mancata specificazione dei concreti compiti ai quali sarebbe stato assegnato. Sottolinea che tutti i testi escussi avevano riferito che la ricollocazione non sarebbe stata immediata perché si doveva verificare chi era interessato a riprendere servizio, e che pertanto non gli furono fornite informazioni sulle mansioni alle quali sarebbe stato assegnato e dunque non vi erano i presupposti per la risoluzione in tronco del rapporto.

15. Con il quinto motivo infine è denunciata la violazione dell'art. 2119 cod. civ. e l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod. proc. civ. per non aver tenuto conto del fatto che il D. aveva chiesto esplicitamente e per iscritto (con lettera dell'11.3.2009 in replica alla contestazione disciplinare) che gli fossero comunicate le mansioni evidenziando che tale condotta era di per sé idonea ad escludere l'inerzia colpevole contestatagli.

16. Le censure possono essere esaminate congiuntamente in quanto attengono tutte, pur sotto diversi profili, alla valutazione della condotta posta a fondamento del licenziamento ed alla sua riconducibilità nella nozione di giusta causa di licenziamento.

17. Al riguardo va evidenziato che la Corte territoriale, in esito ad un accertamento di fatto in questa sede non censurabile ha verificato che in esito all'annullamento con sentenza n. 3706 del 2008 della cessione del ramo di azienda da parte della Sistemi Informativi s.p.a. alla S. s.p.a. il D. era stato convocato dalla odierna controricorrente che con una prima lettera del 6 marzo 2008 (cui ne erano seguite altre di analogo contenuto) era stato invitato a proseguire nel rapporto di lavoro con le medesime mansioni in precedenza ricoperte come statuito nella sentenza che aveva accertato la nullità della cessione. In sostanza il giudice di appello ha accertato che, contrariamente a quanto ancora oggi sostenuto, il primo invito a riprendere servizio, formulato dalla società al dipendente, era sufficientemente specifico e che tale invito era stato reiterato successivamente con esplicito rinvio a quella originaria comunicazione. Del resto lo stesso ricorrente nell'odierno ricorso, contravvenendo all'obbligo di formulare specifiche censure, non riproduce la lettera del 6 marzo 2008, ma solo parte del contenuto dell'ultima convocazione in ordine di tempo (quella del 5.2.2009) cui era seguita, infine, la contestazione dell'addebito e, quindi, il licenziamento. Ne segue che per tale profilo le censure formulate prima ancora che infondate sono inammissibili.

18. Quanto alla mancata sottoscrizione della documentazione necessaria per la ripresa del servizio è appena il caso di rilevare che tale circostanza di fatto non viene valutata dal giudice come una condotta che autonomamente ha determinato il datore di lavoro a risolvere il rapporto, ma costituisce piuttosto un elemento di contorno che concorre nella valutazione del complessivo comportamento del lavoratore che, pur ripetutamente sollecitato, si è sottratto alla ripresa dell'attività lavorativa con una condotta che si pone in contrasto con i doveri di correttezza e buona fede che devono.

regolare tutte le attività anche quelle che sono necessariamente preordinate all'esecuzione della prestazione. Ancora una volta la valutazione delle condotte è riconducibile a quell'apprezzamento riservato al giudice di merito e precluso in questa sede.

19. Neppure è ammissibile la censura con la quale ci si duole della violazione dell'art. 2119 cod. civ. in correlazione con il disposto degli artt. 222 e 225 del C.C.N.L. delle aziende del settore del terziario che non è allegato al presente ricorso in violazione degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. . peraltro nell'esposizione del motivo ci si duole ancora una volta inammissibilmente dell'apprezzamento delle prove da parte della Corte di appello.

20. Ancora recentemente questa Corte ha ribadito che "l'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata." (cfr. Cass. 02/08/2016 n. 16056 ed anche Cass. 21/07/2010 n. 17097).

21. Quanto alla denunciata violazione dell'art. 2119 cod. civ. e dell'art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ. in relazione all'omesso esame del fatto decisivo - consistito nella richiesta formulata in sede di giustificazioni di comunicare le specifiche mansioni cui il ricorrente sarebbe stato adibito - va ribadito ancora una volta che la Corte di merito ha verificato che nelle reiterate comunicazioni che avevano preceduto l'ultima convocazione tale specificazione era stata effettuata con specifico riferimento alle mansioni già rivestite prima della cessione.

22. Non sussiste pertanto né la denunciata violazione dell'art. 2119 cod.civ. né tantomeno il vizio di motivazione posto che ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il vizio denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti presuppone che abbia carattere di decisività - vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (cfr. Cass. s.u. 07/04/2014 n. 8053 e molte altre successive). E' proprio tale ultima caratteristica che manca nel caso in esame atteso che non è decisiva, ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro, la valutazione dell' ennesima richiesta di chiarimenti a carattere meramente dilatorio, formulata nonostante l'accertata e risalente indicazione di tutti gli elementi utili ad una ripresa dell'attività lavorativa.

23. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. La proposizione del ricorso in data successiva al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000,00 per compensi,oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.