Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 aprile 2017, n. 8793

Imposte di registro, ipotecaria e catastale - Cessione d’azienda - Applicabilità dell'iva - Esclusione

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata in data 29/4/2011 la Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto l'appello col quale (...) s.r.l. e (...) s.r.l. avevano censurato la sentenza di primo grado, sfavorevole alle tesi delle contribuenti, sostenendo la illegittimità della qualificazione, come cessione di azienda, dei distinti negozi giuridici posti in essere tra le società, e dell'impugnato avviso di liquidazione con cui l'Agenzia delle Entrate aveva determinato, in misura proporzionale, le imposte di registro, ipotecaria e catastale, escludendo nel contempo l'applicabilità dell'iva. L'appello è stato accolto con la motivazione che, alla luce dell'art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986, va esclusa la sussistenza di un "collegamento strutturale" e di una "correlazione funzionale" tra la cessione, nel dicembre 2004, degli immobili di (...) (...), e (...), da (...) s.r.l. ad (...) s.r.l., beni dalla prima società medio tempore acquistati, ed il trasferimento, nel giugno 2005, dei tre rami d'azienda facenti capo ad (...) s.r.l., in quanto effettuato "a causa degli eventi successivamente sopravvenuti", come comprovato dal "mutamento radicale dell'attività di entrambe del società in questione", in quanto l'attività d'impresa non ha interessato gli stessi immobili ceduti, ed in quanto l'interpretazione dell'atto da presentare a registrazione "è diversa da quella consentita dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile", stante la natura d' "imposta d'atto" del tributo di registro, che "colpisce l'atto e non il trasferimento", con conseguente divieto di interpretazione extratestuale dell'atto medesimo.

L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con due motivi.

Si sono costituite le società intimate che resistono con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Col primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nonché degli artt. 1 e 2 della Tariffa, Parte I, prevista dal medesimo D.P.R. n. 131 del 1986, dell'art. 1362 c.c. e dei principi in tema di abuso del diritto, anche alla luce degli artt. 41 e 53 Cost., giacché il Giudice di appello ha dato esclusiva rilevanza agli aspetti formali di ciascun negozio, trascurando gli effetti giuridici ed economici effettivamente prodotti, costituendo abuso del diritto qualunque operazione compiuta essenzialmente per conseguire un vantaggio fiscale, essendo l'iva imposta neutrale, essendo rimasta accertata l'intenzione di cedere un complesso di beni costituenti azienda e non già singole distinte porzioni del compendio in questione.

Col secondo motivo deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, giacché il Giudice di appello, ha ritenuto di escludere il collegamento temporale e di strategia aziendale tra la cessione degli immobili ed il trasferimento dei rami d'azienda, senza considerare che l'ufficio di (...) era pacificamente collegato ed accessibile esclusivamente dai locali di (...) , oltre che destinato a sede sociale di cedente e cessionaria, che (...) s.r.l. aveva altrettanto pacificamente avviato i contatti con (...) ; per acquisizione della concessione di vendita del marchio (...) prima del trasferimento immobiliare e che, in tale contesto, l'abbandono del settore auto da parte di (...) s.r.l. costituisce ulteriore elemento a sostegno della operata riqualificazione dei negozi giuridici in termini di cessione di azienda.

I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati e meritano accoglimento.

Secondo la CTR, non sarebbe consentito nel caso di specie qualificare, ai fini dell'imposta di registro, come cessione di azienda, la pluralità di negozi intercorsi tra (...) S.r. I. ed (...) s.r.l., ancorché aventi ad oggetto beni facenti parte dell'originario compendio aziendale della prima società, ripartito in tre rami, intesi come specifici settori dell' attività imprenditoriale esercitata, in (...)f nei locali di (...) (commercio di autovetture), già oggetto di affitto d'azienda, in quelli di (...) (commercio di autovetture), e di (...) (...) (autofficina, noleggio auto e affitto posti auto).

In particolare, tra l'atto di vendita delle predette unità immobiliari di (...), e di quella di (...), registrato il 21/12/2004 (operazione assoggettata ad iva), ed il successivo atto di cessione dei rami d'azienda, registrato il 24/6/2005 (operazione assoggettata ad imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura proporzionale), sempre a favore di (...) s.r.l., sarebbe mancato un collegamento, vuoi di natura funzionale, vuoi di natura temporale, in quanto il trasferimento dei rami d'azienda nel 2005 era stato determinato da "eventi sopravvenuti", come comprovato dal "mutamento radicale dell'attività di entrambe le società in questione", ed in quanto l'attività d'impresa non avrebbe interessato tutti gli immobili acquistati nel 2004, essendo il ramo di azienda di (...) esercitato in locali di proprietà della Cassa per le pensioni dipendenti enti locali, condotti in locazione e quello di (...) ¡n locali di proprietà della stessa società (...).

La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso di escludere che l'art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986 sia disposizione predisposta al recupero di imposte "eluse", perché l'istituto dell'abuso del diritto" - ora disciplinato dall'art. 10 bis L. n. 212 del 2000 - presuppone una mancanza di "causa economica" che non è viceversa prevista per l'applicazione dell'art. 20 citato, disposizione la quale semplicemente impone, ai fini della determinazione dell'imposta di registro, di qualificare l'atto, o il collegamento di più atti, in ragione del loro intrinseca portata, cioè in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio o dal collegamento negoziale, come può appunto avvenire con la cessione di beni, attività e passività aziendali atomisticamente considerati, atti che se funzionalmente e cronologicamente "collegati" possono essere senz'altro idonei a realizzare "oggettivamente" gli effetti della vendita e cioè il trasferimento di cose dietro corrispettivo del pagamento del prezzo, tanto più ove la cedente abbia cessato di operare.

La fattispecie regolata dall'art. 20 D.P.R. n. 131 del 1986 nemmeno ha a che fare con l'istituto della simulazione, atteso che la riqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio o quel dato collegamento negoziale, e ciò perché quel che conta sono gli effetti oggettivamente prodottisi (ex multis, Cass. n. 9582/2016 ; n. 10211/2016; n. 9573/2016; n. 18454/2016; n. 2050/2017).

Questa Corte, inoltre, ha chiarito che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l'interprete a privilegiare, nell'individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma e, quindi, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti, con la conseguenza di dover riferire l'imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali, atomisticamente considerati (Cass. n. 10216/2016; n. 1955/2015; n. 14150/2013; n. 6835/2013).

A questa interpretazione si è giunti tenendo conto dell'evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa, avente come oggetto l'atto inteso nella sua forma documentale, e come contenuto una determinata quantità di denaro da riscuotere in corrispettivo del servizio di registrazione, a quello dell'imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica.

Inserendosi nell'ambito di una simile evoluzione, gli artt. 1 e 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 vanno interpretati nel senso che l'oggetto dell'imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell'art. 1 agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati per la registrazione, nella sostanza, è costituito dagli effetti giuridici di tali atti, ma l'imposta si collega all'atto come negozio e non all'atto come documento (Cass. n. 3481/2014).

Né, in senso contrario, vale il riferimento alla diversità dei criteri interpretativi utilizzabili ai fini tributari, rispetto a quelli civilistici, in quanto va pur sempre attribuita preminenza, in applicazione dell'art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, <<alla causa reale dell'operazione economica rispetto alle forme negoziali adoperate dalle parti, sicché, ai fini della individuazione del corretto trattamento fiscale, è possibile valutare, ai sensi dell'art. 1362, secondo comma, c. c., circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali>> (Cass. n. 6405/2014), di guisa che <<gli stessi concetti privatistici sull'autonomia negoziale regrediscono a semplici elementi della fattispecie tributaria>> (Cass. n.19752/2013; n. 10660/2003; n. 14900/2001).

Ed allora, priva di rilievo risulta la ricerca delle ragioni economiche giustificatrici dell'operazione in quanto, una volta riconosciuto, alla luce dei principi dapprima enunciati, che nella fattispecie ci si trova di fronte ad un caso di cessione d'azienda, non è richiesta alcuna valutazione circa l'esistenza o meno di valide ragioni economiche atte a giustificare l'operazione medesima, né tantomeno incombe sull’Amministrazione finanziaria alcun onere probatorio al riguardo.

Come questa Corte ha precisato in altra fattispecie, <<L'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 attribuisce preminente rilievo all'intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell'atto, rispetto al suo titolo ed alla sua forma apparente, sicché l'Amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società, senza essere tenuta a provare l'intento elusivo delle parti, attesa l'identità della funzione economica dei due contratti, consistente nel trasferimento del potere di godimento e disposizione dell'azienda da un gruppo di soggetti ad un altro gruppo o individuo>> (Cass. n. 24594/2015).

E l'indirizzo giurisprudenziale al quale il Collegio intende dare continuità non appare scalfito dalla recente sentenza n. 2054/2017 di questa Corte, che individua un limite alla attività riqualificatoria dell'Ufficio nella insuperabilità dello schema negoziale tipico in cui l'atto presentato alla registrazione risulti inquadrabile, di tal che, in mancanza di prova, a carico della Amministrazione finanziaria, del disegno elusivo, ricorrerebbe piuttosto "un'ipotesi di libera scelta di un tipo negoziale invece di un altro".

Al di là delle specifiche caratteristiche del caso concreto e della ritenuta sufficienza della motivazione in punto di prova della sussistenza di un "collegamento negoziale preordinato ad eludere la tassazione dell'imposta di registro", l'isolato approdo giurisprudenziale non considera che è la stessa formulazione dell'art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986 a consentire il superamento dell'individuato limite all'attività di interpretazione dell'atto riconosciuta all'Amministrazione finanziaria, che l'intento elusivo non è essenziale ai fini qui considerati, e che la proposta lettura della disposizione si scontra con il principio costituzionale della capacità contributiva ed ignora l'evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell' imposta.

Va, pertanto, ribadito il principio secondo cui <<l'incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l'incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell'effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano>> (Cass. n. 3562/2017 citata).

In conclusione, la impugnata decisione si appalesa fallace perché muove dall'erronea premessa di considerare in una chiave esclusivamente atomistica l'esaminato programma negoziale, perché omette di valutare l'efficacia interpretativa e probatoria di tutti gli elementi fattuali dedotti dall'Agenzia delle Entrate a fondamento della causa unitaria di cessione aziendale, così come perseguita dai negozi dedotti in giudizio, perché dà rilevanza a circostanze marginali o comunque ininfluenti, quali il pregresso contenzioso tra (...) s.r.l. e le società (...) e (...) circa la proprietà degli immobili di (...), nonché l'intenzione di (...) s.r.l. di lasciare il settore del commercio delle autovetture, che - in tesi - escluderebbero la dedotta preordinazione della vendita immobiliare rispetto alla cessione dei più volte menzionati rami aziendali in favore di (...) s.r.l., invece, destinata ad ampliare la propria attività, in quanto finalizzata al mero ripianamento delle perdite accumulate nel periodo pregresso. Invero, per la qualificazione degli atti come cessione di azienda, nel caso in cui i beni ceduti siano nella loro complessità potenzialmente utilizzabili per una attività d'impresa, neppure rilevano l'assenza dell'attualità dell'esercizio dell'impresa e la mancata cessione delle relazioni finanziarie, commerciali e personali (Cass. n. 9162/2010) e, per quanto dedotto dalle parti, l'attività d'impresa è comunque proseguita nei locali di (...) , già oggetto di affitto d'azienda da parte di (...) s.r.l., e di (...) , oggetto invece di preventiva compravendita.

E per quanto sopra detto, l'accertamento della natura, dell'entità, delle modalità e delle conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (ex multis, Cass. n. 7074/2006; n. 14611/2005).

Nel caso in esame, invece, il Giudice di appello ha trascurato l'efficacia interpretativa e probatoria di tutti gli elementi fattuali dedotti dall'Agenzia delle Entrate a fondamento della causa unitaria di cessione di azienda, così come perseguita dai negozi dedotti in giudizio, e la sentenza va, pertanto, cassata.

Dovendosi procedere al discernimento di una tipica quaestio facti si impone il rinvio ad altra sezione della medesima CTR, la quale rivaluterà la fattispecie, alla luce dei principi di diritto sopra ricordati, e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.