Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 novembre 2016, n. 23104

Commercialisti - Compensi da sindaco e revisore senza IRAP - Rimborso Irap relativamente ai compensi per cariche sociali presso aziende terze

 

Fatto e diritto

 

Costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis cod.proc.civ., osserva quanto segue:

La CTR-Lombardia ha disatteso l’appello di S. M.M.G., gravame proposto contro la sentenza n. 75/12/2008 della CTP di Brescia che aveva già integralmente respinto il ricorso del contribuente, e ha così confermato il rigetto dell’impugnazione del silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso di IRAP versata nei periodi d’imposta anni 2005-2006, ricorso proposto sulla premessa che il contribuente, esercente la professione di "dottore commercialista" (come si legge nella pronuncia impugnata), sia carente del presupposto d’imposta dell’autonoma organizzazione.

La CTR, premesso che il contribuente aveva prospettato di avere prodotto reddito prevalentemente dall’attività di sindaco e amministratore di società e aveva formulato la pretesa di "scorporare dall’imponibile IRAP questi ultimi compensi", ha motivato la decisione evidenziando che il contribuente non aveva assolto l’onere probatorio che gli incombeva, atteso che dai modelli di dichiarazione risultavano spese per prestazioni di lavoro dipendente, beni strumentali, canoni di locazione e compensi a terzi, elementi utili a comprovare l’esistenza dell’autonoma organizzazione quale presupposto dell’imposta. Né, secondo la CTR, sarebbe suddivisibile l’attività svolta in due contemporanee professioni, quanto meno per essere l’attività di membro dei collegi sindacali espressamente prevista dall’ordinamento dalla tariffa professionale.

Per la cassazione di tale decisione il contribuente ha proposto ricorso affidato a due motivi; l’Agenzia non si è difesa.

A seguito della notifica della relazione, non è stata depositata alcuna memoria; indi la causa è stata riassegnata ad altro consigliere relatore con decreto prot. n. 130/VI/16 del 29 luglio 2016.

Con i motivi di ricorso il contribuente, in primo luogo denuncia violazione norme di diritto sostanziali (artt. 2, 3 e 8 del D.Lgs. n. 446 del 1997) e assume che il giudice di appello abbia errato nel privare di rilevanza la fonte da cui i compensi professionali provenivano e considerando coinvolto ogni tipo di entrate. Osserva che sono, invece, esclusi i redditi che il professionista percepisca come compensi per le attività svolte all’interno di strutture da altri organizzate e specialmente quelli che il contribuente ha prodotto come presidente di consiglio di amministrazione, oppure amministratore, ovvero sindaco di società, indipendentemente dal fatto che il contribuente esercitasse anche ulteriori attività e fosse pertanto assistito da un’apposita organizzazione. In secondo luogo, denuncia errori di giustificazione della decisione di merito su fatti correlati all’altro mezzo.

Le due censure possono essere esaminate congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connesse, e sono manifestamente fondate. L’assunto impugnatorio dalla parte contribuente si pone in continuità con i principi regolativi della materia compendiati da Cass. n. 4246 del 2016 (e sent. ivi cit.) nel senso che: 1) l’attività del commercialista non è soggetta a IRAP se manchi l’autonoma organizzazione, che sussiste solo se il professionista adopera beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile ovvero ricorre in modo non occasionale al lavoro di terzi; il che accade perché la capacità produttiva aggiuntiva rispetto a quella personale del professionista sconta l’imposizione per il "surplus" di quanto ottenuto mercè una struttura organizzativa che sia servente rispetto all’opera intellettuale svolta con le proprie conoscenze e gli strumenti minimi indispensabili. B) Il commercialista, dunque, che sia anche amministratore, revisore e sindaco di società non è soggetto a IRAP per il reddito netto di tali attività perché è soggetto a imposizione fiscale unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata dell’opera individuale; il che si verifica in quanto per la soggezione a IRAP non è sufficiente che il commercialista operi presso uno studio professionale, atteso che tale presupposto non integra di per sé stesso il requisito dell’autonoma organizzazione.

Già con Cass. n. 10594 del 2007, n. 15893 del 2011 e n. 3434 del 2012 si era chiarito - con riferimento a fattispecie nella quale si discuteva di redditi realizzati dal libero professionista nell’esercizio di attività sindaco, amministratore di società, consulente tecnico - che non fosse soggetto a imposizione quel segmento di ricavo netto consequenziale a quell’attività specifica purché risultasse possibile, in concreto, lo scorporo delle diverse categorie di compensi conseguiti e verificare l’esistenza dei presupposti impositivi per ciascuno dei settori interessati. Tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, solo se congruamente motivato. Sennonché, seguendo l’insegnamento di Cass. n. 1236 del 2006, ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto "statico" della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto "dinamico" della dichiarazione stessa.

Nella specie il giudice d’appello si è limitato all’affermazione anapodittica:

"Né può considerarsi suddivisibile l’attività del ricorrente in due contemporanee e distinte professioni, quanto meno per essere l’attività di membro di collegi sindacali espressamente prevista dell’ordinamento e dalla tariffa professionale dei dottori commercialisti", così trascurando i rilievi fattuali avanzati nel giudizio di merito e riprodotti in ricorso, soprattutto laddove si precisa che i compensi per cariche sociali presso aziende terze inciderebbero per circa il 98% delle entrate del contribuente (ric. pag. 22).

Pertanto il ricorso va deciso con accoglimento per manifesta fondatezza, cassazione della pronuncia impugnata e rinvio alla CTR competente che, in diversa composizione e sulla scorta dei principi sopra enunciati, procederà a nuovo esame della vertenza e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e rinvia, anche per le spese, alla CTR-Lombardia in diversa composizione.