Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 dicembre 2017, n. 29957

Verbale ispettivo - Idoneo mezzo di prova - Contratto di collaborazione autonoma - Qualificazione in termini di subordinazione - Quantificazione del credito da lavoro al lordo delle ritenute fiscali - Riferimento al testo dei contratti o accordi collettivi - Mancata produzione e assenza del potere-dovere di acquisizione di ufficio del contratto - Non sussiste - Contratto collettivo di diritto comune assumibile quale regola di giudizio e non come prova

 

Svolgimento del processo

 

T.G., già titolare della ditta G., appellava la sentenza del giudice del lavoro di storia pronunciata il 23 ottobre 2009, che aveva accolto la domanda di D.R., avente ad oggetto il pagamento di retribuzioni per € 42.206,49, nonché rigettato l’opposizione al decreto con il quale l'I.N.P.S. aveva ingiunto allo stesso T. il pagamento di contributi omessi e delle relative sanzioni, inerenti al medesimo rapporto di lavoro.

La Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 246 in data 21 febbraio / 6 marzo 2012, notificata il 17 maggio 2012, rigettava l'interposto gravame e condannava l'appellante al pagamento delle spese ivi liquidate in favore degli appellati I.N.P.S. e R..

Secondo la Corte distrettuale, tra le parti era intervenuto un rapporto di lavoro subordinato dal 15 maggio 2000 sino al 31 gennaio 2004 e la retribuzione spettante all'attore era quella prevista dal 2° livello del contratto collettivo nazionale di lavoro per 8 ore giornaliere, con riposo al lunedì. La determinazione dei dati utili ai fini della quantificazione del credito, nei suindicati termini, consentiva di superare la censura mossa dall'appellante, secondo il quale vi era stata una sorta di duplicazione della condanna al pagamento della contribuzione, poiché il collegio aveva disposto che l'I.N.P.S. calcolasse il dovuto sulla base dei surriferiti dati, laddove poi le indicate risultanze istruttorie convergevano per la conferma di quanto sostenuto dall'attore, e cioè l'aver iniziato a lavorare sin dal maggio dell'anno 2000 alle dipendenze del convenuto.

Veniva, inoltre, condiviso il principio, secondo il quale il verbale ispettivo, avuto riguardo al suo contenuto, può costituire idoneo mezzo di prova se non in contrasto con altri elementi di segno contrario, sicché lo stesso può essere posto a base della decisione senza che sia necessario accertare le circostanze ivi riferite mediante istruttoria giudiziale.

Nel caso di specie non era emerso alcun elemento che fosse pure astrattamente idoneo a smentire le affermazioni che i testi avevano rilasciato in sede ispettiva, stante la loro sostanziale convergenza.

Quanto all'effettivo rapporto di lavoro intercorso tra le parti, la circostanza del comprovato suo inizio prima della stipula del contratto di collaborazione autonoma consentiva in sé di accedere alla qualificazione in termini di subordinazione, già ritenuta dal primo giudicante. Difettando infatti ogni allegazione sul possibile mutamento delle modalità di svolgimento del rapporto tra il periodo antecedente alla stipula del contratto di collaborazione e quello successivo, non vi era dubbio che il segmento lavorativo era da qualificarsi come svolto in regime di subordinazione. Ad ogni buon conto, le stesse mansioni svolte pacificamente dal R. (soggetto all'orario di lavoro come dai testi all'uopo indicati) consentivano di qualificare effettivamente il rapporto in termini di subordinazione.

Sulla quantificazione del credito veniva richiamata la giurisprudenza, nel senso che quello da lavoro sia al lordo delle ritenute fiscali, salva la determinazione netta al momento del pagamento. Il parametro e la qualifica erano stati correttamente individuati dal giudice di primo grado sulla base della rilevata autonomia esecutiva del R. nei rapporti con i terzi. La quantificazione derivava dalla c.t.u. espletata in prime cure, che aveva tenuto conto dei parametri indicati nel quesito posto dal tribunale.

Di conseguenza, difettando ogni contestazione sui conteggi predisposti dall'Inps, la sentenza appellata andava integralmente confermata in relazione alla domanda avanzata dall'attore ed anche in punto di condanna alla regolarizzazione contributiva, salva la quantificazione di quest'ultima nei limiti della cartella esattoriale opposta. Infatti, la pronuncia di condanna generica alla ricostruzione previdenziale era sorretta da un preciso interesse del lavoratore ex articolo 100 c.p.c., mentre la quantificazione della contribuzione dovuta non poteva eccedere quella di cui alla cartella esattoriale, mancando una specifica domanda in tal sensi da parte dell'I.N.P.S.

Avverso l'anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione T.G. come da atto di cui alle relate in data 16 luglio 2012, affidato a sei motivi, cui ha resistito l'I.N.P.S., anche in nome e per conto della Società di cartolarizzazione dei crediti dello stesso Istituto (S.C.C.I. S.p.a.), mediante controricorso in data 22 - 24 agosto 2012, mentre R.D. è rimasto intimato.

Memoria ex articolo 378 c.p.c. è stata depositata soltanto dal ricorrente.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo il ricorrente ha lamentato violazione e falsa applicazione degli articoli 112 c.p.c. e 36 della Costituzione.

Le richieste dell'attore erano state determinate in via principale sulla base del contratto collettivo applicato, che pacificamente non era stato prodotto in giudizio dal lavoratore. L'adito giudice del lavoro di Pistoia aveva dato incarico al c.t.u. di determinare le differenze retributive asseritamente dovute sulla base del c.c.n.I. commercio, anche perché esisteva contestazione sulla intellegibilità dei conteggi in carenza del necessario supporto probatorio. La somma, cui era stato condannato il convenuto, non era stata determinata ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione, ma era esattamente quella precisata dall'ausiliare del giudice sulla base della contrattazione collettiva. Né il Tribunale, né la Corte di Appello avevano escluso l'applicabilità alla fattispecie del contratto collettivo invocato, così come il T.G., condizioni necessarie per poter invocare l'applicazione dell'art. 36 Cost., ma nella specie esisteva in termini incontrovertibili una specifica contrattazione collettiva di categoria. Il contratto collettivo non era stato, pertanto, né poteva essere un mero parametro di riferimento ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione, come invece dedotto dalla Corte di Appello per cercare di superare l'eccezione di nullità della domanda introduttiva del giudizio sollevata dal resistente in ragione dell'evidente impossibilità di determinare Tan e il quantum fatti valere.

L'invocazione dell'art. 36 Cost. nella specie non poteva, pertanto, giustificare la mancata produzione del c.c.n.I. Commercio.

Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'articolo 421 c.p.c., sostenendo che nella specie mancava il potere - dovere di acquisizione di ufficio del contratto collettivo nazionale di lavoro commercio da parte del giudice di primo grado. Di conseguenza, la mancata produzione del contratto collettivo di categoria doveva essere sanzionata con il rigetto della domanda e rilevata dal giudice del gravame anche in ragione del motivo di impugnazione proposto.

Entrambe le anzidette censure, tra loro chiaramente connesse e quindi esaminabili congiuntamente, vanno disattese, siccome in parte inammissibili ed in parte infondate.

Invero, come si legge nella sentenza qui impugnata, il terzo motivo di gravame (lamentata omessa produzione in giudizio del contratto collettivo) veniva respinto, poiché il c.c.n.I. nelle rivendicazioni del lavoratore era stato utilizzato quale mero parametro di riferimento ex art. 36 Cost., mentre per tutti gli altri aspetti gli elementi di concreta possibile contestazione erano contenuti nel conteggio sindacale offerto in comunicazione (v. del resto le conclusioni dell'atto introduttivo del giudizio, riportate a pagina due del ricorso per cassazione: ...somma maggiore o minore che sarà ritenuta più giusta ed equa in applicazione dell'art. 36 Cost.). Peraltro, il ricorrente ha omesso di riportare sufficientemente sia l'intero contenuto del ricorso introduttivo, sia quanto precisamente accertato con l'espletata c.t.u. contabile, con conseguente inosservanza dell'art. 366 (co. I nn. 3 e 6) c.p.c..

D'altro canto, la violazione degli artt. 112 e 421 c.p.c. integra errores in procedendo, che vanno quindi ritualmente denunciati ai sensi dell'art. 360 co. n. 4 c.p.c., univocamente in termini di nullità (cfr. Cass. sez. un. civ. n. 17931 del 24/07/2013, in senso analogo v. tra le altre II civ. n. 24247 del 29/11/2016).

Peraltro, nelle cause soggette al rito del lavoro l’acquisizione del testo dei contratti o accordi collettivi può aver luogo anche in appello, sia attraverso la richiesta di informazioni alle associazioni sindacali, la quale non è soggetta al divieto di cui all'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., non costituendo un mezzo di prova, sia attraverso l'esercizio da parte del giudice del potere officioso, riconosciuto dal medesimo art. 437, secondo comma, di invitare le parti a produrre il contratto collettivo, ove non ne risulti contestata l'applicabilità al rapporto (Cass. lav. n. 15653 - 01/07/2010, V. altresì Cass. lav. n. 18261 del 12/08/2009, secondo cui nel rito del lavoro, il contratto collettivo di diritto comune - anche anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006 - in quanto assumibile quale regola di giudizio, si distingue dai semplici fatti di causa e può essere richiesto, senza preclusione e discrezionalmente, d'ufficio dal giudice alle associazioni sindacali, ai sensi dell'art. 425 quarto comma, cod. proc. civ., restando onere della parte che lamenti il mancato esercizio di detto potere indicare, con il ricorso per cassazione, il momento ed il modo con cui ne abbia sollecitato l'esercizio.

In senso analogo, Cass. lav. n. 1246 del 20/01/2011, secondo cui nelle cause soggette al rito del lavoro, l'acquisizione del testo dei contratti o accordi collettivi può aver luogo anche in appello, sia attraverso la richiesta di informazioni alle associazioni sindacali, la quale non è soggetta al divieto di cui all'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., non costituendo un mezzo di prova, sia attraverso l'esercizio da parte del giudice del potere officioso, riconosciuto dal medesimo art. 437, secondo comma, di invitare le parti a produrre il contratto collettivo, ove ne risulti contestata l’applicazione al rapporto.

Cfr. ancora Cass. VI civ. - L, ordinanza n. 6610 del 14/03/2017, secondo cui nel rito del lavoro, ove sia stata omessa, o sia errata, l'indicazione del contratto collettivo applicabile, non ricorre la nullità del ricorso introduttivo di cui all'art. 414 c.p.c., in quanto rientra nel potere-dovere del giudice acquisirlo d'ufficio ex art. 421 c.p.c., qualora vi sia solo contestazione circa la sua applicabilità, non comportando tale acquisizione una supplenza ad una carenza probatoria su fatti costitutivi della domanda, ma piuttosto il superamento di una incertezza su un fatto indispensabile ai fini del decidere).

Con il 3° motivo il ricorrente ha, poi, lamentato violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. - articolo 360 numero 5 c.p.c., sostenendo che era onere del lavoratore e dell'I.N.P.S. provare la natura subordinata del rapporto, ciò che non era venuto.

Il giudice del gravame aveva ritenuto la sostanza della subordinazione senza motivare alcunché la ragione dell'avvenuto raggiungimento della prova dei requisiti tipici della subordinazione; si era limitato affermare che la sussunzione della fattispecie nell'ambito dell'articolo 2094 c.c. era possibile per il fatto che le mansioni svolte dal lavoratore erano soggetto ad orario. La configurazione della subordinazione nella fattispecie da parte della Corte di Appello era stata asserita come principio di diritto, senza però riferimento alcuno alle risultanze istruttorie del processo che andavano tutti in senso contrario.

La censura, per come formulata, appare inconferente, atteso che l'art. 2697 disciplina l'onere probatorio e non già il merito della valutazione inerente al risultato di quanto comunque emerso all'esisto dell'attività istruttoria espletata, laddove d'altro canto parte ricorrente sul punto nemmeno individua specificamente il fatto (di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., secondo il testo in vigore dal 2-3-2006 all'undici agosto 2012, ratione temporis qui applicabile), trascurato o insufficientemente valutato dai giudici di appello.

Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 111 della Costituzione, degli articoli 115 e 116 c.p.c., degli articoli 2697 e 2094 c.c., nonché lamentato vizio di motivazione.

Nella decisione impugnata la valutazione circa l'inizio del rapporto di lavoro si fondava su dichiarazioni raccolte in sede ispettiva, che però erano state chiarite e/o smentite e/o rettificate nel corso della prova testimoniale, oltre che dal contesto travisamento di altre dichiarazioni rese nel giudizio di 1° grado anche in relazione alla documentazione prodotta e/o di cui era stata offerta la produzione. Il giudice non aveva neppure motivato la ragione per cui valutava irrilevante che fosse integrata la produzione della documentazione relativa glia contabilità inizio commercio animali inducendo il T. a ritenere sufficientemente già prodotto la documentazione necessaria a provare la circostanza. Ad ogni modo, nessuno dei testi aveva collocato l'inizio della prestazione lavorativa del R. al 15 maggio 2000 in sede ispettiva. La Corte di Appello non aveva valutato nessuna delle risultanze emerse dalla lunga istruttoria, ma con una motivazione estremamente scarna aveva ritenuto di poter valutare il verbale ispettivo come mezzo di prova perché non di segno contrario a quanto emerso giudizialmente, quando invece il materiale istruttorio raccolto in primo grado apportava ad elementi di conoscenza della fattispecie assolutamente contrastanti e diversi. Inoltre, non era stato considerato il principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui i verbali redatti dal pubblico ufficiale incaricato di ispezioni, anche per l'accertamento di eventuali infrazioni amministrative, fanno prova fino a querela di falso della provenienza del documento da colui che lo ha formato, nonché dei fatti che questi attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre non hanno alcun valore probatorio, ma sono liberamente apprezzate dal giudice nel contesto del complessivo materiale raccolto (pertanto mai quali fonti esclusive del proprio convincimento), le circostanze che il pubblico ufficiale indichi di aver appreso dalle dichiarazioni altrui o che siano il frutto di sue deduzioni.

Anche tale doglianza va disattesa, poiché con le critiche ivi mosse parte ricorrente tende in effetti, ma inammissibilmente in questa sede di legittimità, ad ottenere una rivisitazione di quanto in punto di fatto motivatamente accertato ed apprezzato dai giudici di merito, i quali hanno valutato complessivamente tutto il materiale probatorio acquisito in atti, concludendo per la natura subordinata del rapporto nei sensi dettagliatamente indicati, soprattutto nella seconda pagina dell’impugnata sentenza, perciò considerando anche, ma non solo, le risultanze dell'accertamento ispettivo, giudicate quindi sostanzialmente conformi agli esiti della espletata prova testimoniale o almeno non incompatibili con quest'ultima.

D'altro canto, quanto alla valenza degli accertamenti eseguiti in via amministrativa, va osservato che secondo la giurisprudenza di questa Corte, pur incombendo all’I.N.P.S. l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva, fondata su rapporto ispettivo, a tal fine il rapporto ispettivo dei funzionari dell'ente previdenziale, ancorché non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine -in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi - restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori (Cass. lav. n. 14965 del 06/09/2012. V. parimenti Cass. lav. n. 9251 del 19/04/2010: i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o dell'Ispettorato del lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro presenza o da loro compiuti, mentre, per altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di avere accertato - ad esempio, per le dichiarazioni provenienti da terzi qauli i lavoratori, rese agli ispettori - il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal giudice, unitamente alle altre risultanze istruttorie raccolte o richieste dalle parti).

Con il quinto motivo il ricorrente si è doluto della violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 2697 e 2108 c.c., e di vizio di omessa motivazione, sostenendo che non era stata indicata la ragione per cui era stato ritenuto provato lo svolgimento dell'orario straordinario da parte del R. Non una parola era stata spesa al riguardo. Sul punto l'onere che gravava sul lavoratore era rigoroso, ma non era stato assolto.

Il motivo risulta formulato in modo assolutamente insufficiente, visto che la sentenza di appello non affronta specificamente la questione straordinario, avendo però confermato, mediante il rigetto dell'interposto gravame, la pronuncia di accoglimento della domanda dell'attore. Di conseguenza, il ricorrente avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 366 co. 1 c.p.c. (che sanziona le relative carenze con l'inammissibilità dell'impugnazione), precisare sul punto quanto richiesto dal R. con l'atto introduttivo del giudizio, le risultanze della c.t.u. e le ragioni della conseguente decisione di primo grado in proposito, nonché quanto e dove per l'effetto specificamente dedotto dall'art. 434 del codice di rito (in base al testo in vigore dal 4-7-1998 all'11-8-2012), ciò che non risulta in atti debitamente indicato (cfr. in part. pagine 40/41 del ricorso, laddove non è stato nemmeno rappresentato l'importo che si assume riconosciuto a titolo di lavoro straordinario, per cui tuttavia il ricorrente si è limitato a dedurre effetti economici disastrosi in proprio danno). Ne deriva l'inammissibilità anche di tale doglianza.

Infine, con la sesta censura (pagg. 41/42) il ricorrente ha lamentato omessa e/o insufficiente o contraddittoria motivazione su circostanze rilevanti per il giudizio, violazione dell'articolo 111 della Costituzione, dell'articolo 132 c.p.c. e dell'articolo 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura.

Nella decisione impugnata era stata omessa qualsiasi motivazione sulla censura mossa alla decisione di primo grado, confermata in appello, e per cui erano state accolte integralmente la domanda del lavoratore e dell'I.N.P.S., pur non essendo esse sovrapponibili. Le conclusioni formulate dal lavoratore e dall'Istituto infatti si fondavano su di una ricostruzione del rapporto di lavoro in termini diversi sia per la durata del contratto, che per i tempi di lavoro, che per l'orario straordinario, oltre che la qualifica attribuibile al lavoratore. Inconciliabili quindi erano i fatti rilevanti della causa per l'Inps rispetto a quelli dedotti dai R. Evidente, poi, il conseguente difetto di rigore consequenziale nel dar conto delle preposizioni discusse e decise nonché la mancanza di rigoroso nesso di strumentalità tra l’esposizione delle ragioni e la decisione espressa nel dispositivo onde evitare divagazione non pertinenti e obiter dieta. Era impossibile trovare quell'unico percorso argomentativo da seguire, la cosiddetta giustificazione interna della decisione (nesso che fonda la decisione finale sulla base del collegamento tra fatto e diritto) quanto la cosiddetta giustificazione esterna (ossia l'esteriorizzazione del criterio di scelta di quelle promesse di fatto e di diritto messe in collegamento tra loro ai fini di cui sopra), essendosi voluto mettere insieme e confermare circostanze fattuali divergenti.

Orbene, la censura, negli anzidetti pressoché testuali termini formulata, si appalesa assolutamente generica, concretizzandosi invero in mere affermazioni apodittiche ed astratte, però senza alcuno specifico e puntuale riferimento rispetto a quanto comunque motivato in fatto ed in diritto con la pronuncia di appello qui impugnata (cfr. Cass. lav. n. 12052 del 23/05/2007: il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve contenere - in ossequio al disposto dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ., che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto - la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d'illogicità, consistenti nell'attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l'insanabile contrasto degli stessi. Ond'è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all'opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’ "iter" formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d'aver omesse l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacché né l'una, né l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa all'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo V. pure Cass. III civ. 15279 del 13/10/2003: il ricorso per cassazione con cui sono denunciati vizi di motivazione della sentenza impugnata, a norma dell' art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve contenere, in ottemperanza al disposto di cui all' art. 366 n. 4 cod. proc. civ., la specifica indicazione o delle lacune nelle argomentazioni costituenti la ratio decidendi, o delle illogicità delle stesse nell' attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori del senso comune, ovvero delle ragioni di incoerenza tra le medesime, con conseguente assoluta inconciliabilità razionale di tali argomentazioni, in insanabile contrasto tra loro.

Cass. V civ. n. 10945 del 25/07/2002: non soddisfa il requisito di cui all'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., che prescrive l'indicazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza, la generica affermazione che la decisione difetti di motivazione sostanziale, occorrendo ai fini dell'illustrazione del motivo di ricorso di cui all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., che il ricorrente indichi le specifiche ragioni per le quali la motivazione appaia omessa - o insufficiente o contraddittoria - su un punto decisivo della controversia. Conformi: Cass. V civ. n. 7820 del 29/05/2002, III civ. n. 4113 del 22/03/2001. V. inoltre Cass. II civ. n. 610 del 22/02/1969, secondo cui non basta che il ricorrente affermi apoditticamente che la sentenza denunciata e affetta da omessa o insufficiente motivazione, ma occorre che egli, a norma dell'art. 366, n. 4, dello stesso codice, specifichi la doglianza, in modo da consentire al giudice di legittimità di individuare la ragione per cui si chiede l'annullamento della sentenza e, in particolare, quale sia il punto decisivo della causa, che si assume non esaminato o non sufficientemente esaminato.

Cfr. ancora Cass. IlI civ. n. 7237 del 29/03/2006, secondo cui il vizio di genericità ed indeterminatezza dei motivi del ricorso per cassazione, che lo rende inammissibile, non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all'art. 378 cod. proc. civ., la cui funzione è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli originariamente generici e, quindi, inammissibili. Conformi Cass. n. 574 del 1983, III civ. n. 8749 del 15/04/2011, VI civ. - 3 n. 3780 del 25/02/2015.

V. pure Cass. I civ. n. 20454 del 21/10/2005: l'onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., qualunque sia il tipo di errore - "in procedendo" o "in iudicando" - per cui è proposto, non può essere assolto "per relationem" con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto. Conformi Cass. n. 252 del 1996, n. 13258 del 2000, n. 14075 del 2002, II civ. n. 1406 del 23/01/2007 e n. 4021 del 21/02/2007.

Cfr inoltre Cass. I civ. n. 24298 del 29/11/2016, secondo cui il vizio della sentenza previsto dall'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev'essere dedotto, a pena d'inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell'art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l'indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell'ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata. In senso analogo Cass. I civ. n. 5353 in data 8/3/2007, Cass. n. 11501 del 2006 nonché VI civ. - 3 n. 16038 del 26/06/2013, VI - 5 n. 25419 in data 01/12/2014 nonché Sez. lav. n. 287 del 12/01/2016).

Pertanto il ricorso va respinto con conseguente condanna del soccombente al pagamento delle relative spese a favore del solo controricorrente Istituto, essendo rimasto il R. intimato senza lo svolgimento di alcuna difesa nel suo interesse.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore dell'Istituto controricorrente in euro 4000,00 per compensi ed in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.