Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 marzo 2019, n. 7591

Riduzione del personale - Criteri di scelta - Art. 5, legge n. 223/1991 - Programmi di riconversione industriale

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Nocera Inferiore, con sentenza nr. 1010 del 5.6.2017 accoglieva la domanda volta ad accertare l'illegittimità del licenziamento intimato dalla società S. SUD SRL (di seguito per brevità S.) a R. S., nell'ambito di una procedura di riduzione del personale ex lege nr. 223 del 1991.

2. La Corte di appello di Salerno, con sentenza nr. 773 del 9.11.2017, in accoglimento del reclamo proposto dalla S., ed in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda del lavoratore.

2.1. Per quanto qui rileva, la Corte distrettuale escludeva che la società avesse attribuito un peso «disomogeneo» ai tre criteri di scelta di cui all'art. 5 della legge nr. 223 del 1991 ed osservava come la «concorsualità» degli stessi non fosse sinonimo di eguaglianza ma di contemporanea presenza valutativa.

2.2. Nel caso di specie, dove le esigenze della riduzione del personale erano strettamente collegate a programmi di riconversione industriale, con soppressione di alcune attività all'interno delle aree di produzione, onde evitare la selezione dei soli lavoratori impiegati nei reparti da sopprimere e garantire la comparazione tra tutti coloro che fossero in possesso di professionalità equivalenti, nell'ambito del criterio delle esigenze tecniche, produttive ed organizzative, la società aveva individuato quattro sottocriteri.

2.3. La Corte territoriale escludeva, in particolare, che al sottocriterio della «polivalenza» fosse stato attribuito un punteggio preponderante tale da disvelare un intento discriminatorio; la valutazione della «capacità di svolgere mansioni diverse su reparti diversi» era congruente con i programmi di investimento, riorganizzazione e conversione industriale enunciati nella lettera di avvio della procedura ex lege nr. 223 del 1991; inoltre, a giudizio della Corte di Appello, non era da sottovalutare, da un lato, che la parte sindacale, nel corso dell'intera procedura, non avesse sollevato una specifica opposizione in relazione ai criteri di selezione (il disaccordo aveva riguardato il mancato ricorso agli ammortizzatori sociali) e, dall'altro, che l'annullamento del licenziamento non poteva essere domandato indistintamente da ogni lavoratore ma solo da chi era (recte dimostrava di essere) titolare dello specifico interesse tutelato dalla norma.

3. Avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione R. S., affidato ad otto motivi.

4. Ha proposto controricorso la società S..

5. R. S. ha depositato memoria ex art. 378 cod.proc.civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo - ai sensi dell'articolo 360 nr.4 cod.proc.civ- è dedotta omessa pronuncia sull'eccezione di inammissibilità del reclamo, ai sensi dell'articolo 112 cod.proc.civ.; si censura la decisione nella parte in cui avrebbe trascurato di provvedere in merito alla predetta eccezione, sollevata in relazione ai contenuti dell'atto di gravame, non conforme alle prescrizioni di legge.

1.1. Il primo motivo è privo di fondamento.

1.2. Come affermato da questa Corte in numerosi e condivisi approdi, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sui medesimo, ipotesi che si verifica allorquando, proposta un'eccezione di inammissibilità dell'appello, la sentenza impugnata abbia valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame (in questi termini, vedi in motivazione, ex plurimis, Cass. nr. 5351 del 2007; Cass. nr. 4882 del 2018). Sulla delibata questione, e con riferimento al vizio di omessa motivazione, si è comunque ribadito che la decisione di accoglimento della domanda della parte comporta anche la reiezione dell'eccezione d'inammissibilità della domanda stessa, avanzata dalla controparte, senza che, in assenza di specifiche argomentazioni, sia configurabile un vizio di omessa motivazione, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l'eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. Cass. nr.17956 del 2015).

1.3. Nello specifico deve ritenersi che l'ampia disamina dei motivi di gravame da parte della Corte territoriale sia stata espressione di un rigetto implicito della eccezione di inammissibilità proposta dai lavoratori, onde la pronuncia resiste alla mossa censura.

1.4. In ogni caso, il motivo difetta di specificità, per carente trascrizione dell'atto di reclamo, non essendo sufficiente, invece, il suo deposito ( in argomento, Cass., sez.un., nr.2243 del 2015).

2. Con il secondo motivo -ai sensi dell'art. 360 nr.4 cod.proc.civ. - è dedotta, ai sensi dell'art. 112 cod.proc.civ. - omessa pronuncia su una (delle) causae petendi della domanda proposta, non esaminata dal giudice di primo grado ed espressamente riproposta nel giudizio di reclamo.

2.1. Nello specifico, si denuncia il vizio di omesso esame della questione relativa all'incompleta indicazione delle modalità con cui la società aveva attribuito il punteggio relativo al «criterio delle esigenze tecniche, produttive e organizzative»; ciò in quanto, la parte datoriale riportava unicamente il punteggio complessivamente attribuito ad ogni lavoratore con riguardo al predetto criterio e non anche il punteggio assegnato per ciascuno dei sottocriteri in cui esso andava a scomporsi («a. presenza; b. posizioni dichiarate in esubero; c. polivalenza; d. provenienza attività dismesse ») così venendo meno all'obbligo di rendere esplicite le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'art. 5 co. 1 della legge nr. 223 del 1991ed impedendo qualsivoglia esame anche comparativo con gli altri lavoratori.

2.2. In disparte profili di specificità del motivo ( non è trascritta la comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, della legge nr. 223 del 1991, documento sul quale si fondano i rilievi, e neppure risultano trascritti integralmente, o quanto meno nei passaggi qui significativi, gli atti difensivi del giudizio di merito e la sentenza di primo grado, per valutare la rituale devoluzione della questione alla Corte di Appello), la censura è inammissibile per essere estranea al perimetro del mezzo impugnatorio di cui all'art. 360 nr. 4 cod.proc.civ.

2.3. Il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell'art. 112, cod. proc. civ., può dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un'eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per «error in procedendo», censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360 nr. 4 cod. proc. civ.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull'eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni sottoposte al suo esame nell'ambito di quella domanda o di quell'eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod. proc. civ., tempo per tempo vigente; l'erronea sussunzione nell'uno piuttosto che nell'altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l'inammissibilità del ricorso (Cass. nr. 7268 del 2012; in motivazione, paragg. 2 e ss., Cass. nr. 23161 del 2018).

2.4. La deduzione che la parte datoriale avrebbe dovuto attribuire un punteggio in relazione a ciascun sottocriterio, in cui andava a scomporsi il criterio delle esigenze tecniche, produttive e organizzative, al fine di rendere palese le modalità di scelta, integra una questione all'interno della prospettata domanda di illegittimità del licenziamento per violazione dei criteri di scelta e non un'autonoma domanda rispetto alla quale sia denunciabile il vizio di mancanza di corrispondenza della pronuncia.

3. Con il terzo motivo è dedotta - ai sensi dell'articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.- violazione o falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge nr. 223 del 1991 nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c.

3.1. Secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe eluso il principio secondo cui quando i dipendenti sono in possesso di professionalità equivalenti la riduzione di personale deve investire l'intero ambito aziendale e non limitarsi ai dipendenti addetti ai reparti in esubero; in particolare, la Corte di appello avrebbe sottovalutato il «peso» attributo, nell'ambito del criterio delle esigenze tecniche, produttive e organizzative, ai parametri «posizioni dichiarate in esubero» e «provenienza da attività dismesse negli ultimi due anni» che, di fatto, a parità di professionalità, finiva per privilegiare i lavoratori dei reparti non soppressi rispetto a quelli provenienti dai reparti dismessi.

3.2.Il motivo è, nel complesso, da respingere.

3.3. In primo luogo, occorre rammentare il principio per cui, in tema di licenziamento collettivo, il relativo annullamento per violazione dei criteri di scelta ( id est: illegittimità dei criteri di scelta) ai sensi dell'art. 5 della I. n. 223 del 1991, non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati ma soltanto da coloro che, tra essi, abbiano in concreto subito un pregiudizio per effetto della violazione, perché avente rilievo determinante rispetto al licenziamento ( Cass. nr. 24558 del 2016).

3.4. Di tale preliminare questione si occupa la sentenza impugnata, laddove osserva che «l'[...] annullamento del licenziamento per violazione dei criteri di scelta non può essere domandato indistintamente da ciascun lavoratore. Ove un'eventuale violazione per altri lavoratori non abbia influito, infatti, sulla collocazione in mobilità del lavoratore ricorrente, questi resterebbe titolare, sul piano sostanziale, piuttosto che dello specifico interesse protetto dalla norma, di un indifferenziato interesse alla legalità dell'azione del datore di lavoro [...] non è stato prodotto, dal ricorrente che ne aveva l'onere, un prospetto generale su tutti i lavoratori in esubero dal quale possa evidenziarsi un alterno esito - più o meno favorevole - per lo S. rispetto a tutti gli altri lavoratori [...].» (cfr. sentenza impugnata, parte finale dell'undicesima pagina e terzultima pagina).

3.5. Tanto più a fronte di siffatte argomentazioni, la parte ricorrente avrebbe dovuto, quanto meno, dedurre che la «neutralizzazione» dei criteri che assume illegittimi avrebbe impedito la sua collocazione in mobilità, così da dimostrare la sussistenza di un preciso interesse ad agire.

3.6. La carente allegazione del profilo in oggetto rende, invece, il motivo inammissibile per difetto di interesse.

3.7. In ogni caso, nella sentenza impugnata non si colgono statuizioni in contrasto con i principi che questa Corte ha elaborato in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, quando il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda.

3.8. Al riguardo, è stato affermato che la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Di contro, il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto o settore se essi siano idonei - per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. nr. 203 del 2015; Cass. nr. 22655 del 2012).

3.9. Tuttavia, la Corte territoriale ha escluso, come già riportato nello storico di lite, l'attribuzione di un peso «disomogeneo» ai tre criteri di scelta di cui all'art. 5 cit. ed osservato come tutti e tre i criteri legali ( id est: i criteri dei carichi di famiglia, dell'anzianità e delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative) fossero stati considerati.

3.10. Ha, quindi, valutato come l'articolazione del criterio delle esigenze tecniche, produttive ed organizzative in quattro «sottocriteri», con attribuzione di «diversificati punteggi» (recte parametri a sua volta corrispondenti a punteggi) rispondesse proprio alla funzione di comparazione tra tutti i lavoratori aventi mansioni equivalenti nei vari settori di attività produttiva, escludendo, in particolare, una preponderante valutazione del sottocriterio di polivalenza ( intesa come capacità di svolgere mansioni diverse su reparti diversi) rispetto agli altri sottoscriteri o ai criteri di scelta «sociali».

3.1. Il giudizio in tal senso reso, confinato nell'area dell'apprezzamento di merito, non è censurabile in questa sede, se non nei ristretti limiti di cui all'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.

4. Con il quarto motivo -ai sensi dell'articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.- è dedotto l'omesso esame di uno o più fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

4.1. E' riproposta, in effetti, la censura di cui al motivo che precede; si imputa alla Corte di merito di aver confuso i «parametri» con i «punteggi» e di non aver considerato che i «sottocriteri» hanno finito per privilegiare i dipendenti non addetti ai reparti dichiarati in esubero, attribuendo agli stessi un «vantaggio » assolutamente sproporzionato, in grado di annichilire, di per sé, la rilevanza dei criteri concorrenti dell'anzianità e dei carichi di famiglia.

4.2. La censura, tuttavia, prospettata come vizio di motivazione, non indica, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. ( applicabile alla fattispecie) il «fatto storico», non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo ( Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014) e non è, pertanto, ammissibile.

5. Con il quinto e sesto motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta violazione o falsa applicazione dell'art. 4, comma 9, della legge nr. 223 del 1991 nonché degli artt. 1175, 1375 e 2103 cod.civ.

5.1. Assume la parte ricorrente che la Corte di appello avrebbe errato nell'attribuire alla «polivalenza» quale articolazione del criterio delle esigenze tecniche organizzative il significato di «capacità di svolgere mansioni diverse sui reparti diversi» e nel ritenere il criterio coerente con la conversione aziendale che esigeva la permanenza di lavoratori che avessero già maturato una esperienza professionale nel settore in cui si sarebbe sviluppato l'investimento riorganizzativo.

5.2. La parte ricorrente osserva come il decisum non sia coerente con il contenuto della comunicazione inviata dalla società ai sensi dell'art. 4 comma 9 della legge nr. 223 del 1991 e non considera ( sesto motivo in particolare) che il requisito della «polivalenza» si otteneva attraverso lo svolgimento di una pluralità di mansioni «per almeno sei mesi nell'ultimo anno».

5.3. I motivi sono inammissibili.

5.4. Ferme le considerazioni in punto di difetto di interesse ad agire, si imputa, nella sostanza, al giudice di merito di aver attribuito al criterio della polivalenza un significato errato perché desunto da un'inesatta interpretazione degli atti della procedura ed, in particolare, della comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, legge cit.

5.5. Ribadita l'omessa trascrizione, nelle parti salienti, della comunicazione in oggetto, con violazione degli oneri di allegazione e specificazione di cui agli artt. 366 nr. 6 e 369 nr. 4 cod.proc.civ., la parte ricorrente, a ben vedere, sollecita una differente interpretazione di un atto negoziale che costituisce, invece, attività riservata al giudice di merito ( ex plurimis, Cass. nr 11699 del 2013; Cass. nr. 4178 del 2007), incensurabile in sede di legittimità, se non attraverso la specifica deduzione ( non affatto contenuta nei morivi di ricorso) del modo in cui vi sarebbe stata violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod.civ., ovvero con denuncia di un vizio di motivazione, indicando - evenienza che non ricorre nella specie - il fatto storico che, se esaminato, avrebbe condotto sicuramente ad un esito differente.

6. Con il settimo motivo - ai sensi dell'art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. - è dedotta la violazione dell'art. Ili Cost. nonché dell'art. 132 cod.proc.civ., denunciandosi un'anomalia motivazionale in riferimento alla valutazione della prova testimoniale.

6.1. L'anomalia motivazionale, come chiarito dalle sezioni Unite di questa Corte ( pronuncia nr. 8053 e 8054 del 2014) integra un «error in procedendo» che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili», di «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione.

6.2. E' stato, inoltre, precisato che di «motivazione apparente» o di «motivazione perplessa e incomprensibile» può parlarsi laddove essa non renda «percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (Cass., sez. un., nr. 22232 del 2016).

6.3. Situazioni queste che non si riscontrano nella sentenza impugnata perché la Corte territoriale ha spiegato in maniera chiara le ragioni della decisione evidenziando come il ricorrente non avesse svolto mansioni differenti tali da integrare la condizione della «polivalenza» (il ricorrente aveva sempre svolto compiti di addetto all'assemblaggio, assegnato a linea da dismettere, sicché, sia in relazione al contenuto professionale della prestazione (oggetto) che in relazione all'arco temporale di riferimento (nel tempo) mancava il requisito della «polivalenza»).

6.4. Il motivo, come si ricava agevolmente dalla illustrazione della censura, al di là della sua formale rubricazione, impinge nel merito della valutazione della prova testimoniale, censurando -in modo inammissibile- l'apprezzamento dei fatti da parte del giudice di merito.

7. Con l'ottavo motivo, è dedotto - ai sensi dell'art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. - l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

7.1. Le censure di cui al settimo motivo sono riproposte anche sotto forma di vizio di motivazione senza tuttavia che sia illustrato il fatto storico non esaminato e decisivo.

8. In conclusione, il ricorso va respinto.

9. L'alterno esito dei giudizi di merito giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

10. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. nr. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.