Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 marzo 2019, n. 7598

Licenziamento orale - Differenze retributive e indennità varie - Impugnazione - Rito ordinario e c.d. rito Fornero

 

Rilevato che

 

1. L'odierna ricorrente adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Foggia con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., deducendo di avere lavorato alle dipendenze dell'H.G. s.r.l. con mansioni di cameriera ininterrottamente dal 1° gennaio 2008 al 20 maggio 2011, data nella quale deduceva di essere stata licenziata oralmente. Rivendicava il pagamento di euro 38.772,34 a titolo di differenze retributive e indennità varie.

1.1. Il Giudice del lavoro, ritenuta l'applicabilità della legge n. 92 del 2012, procedeva alla conversione del rito ordinario nel c.d. rito Fornero; quindi, in entrambe le fasi del primo grado, rigettava l'impugnativa del licenziamento e dichiarava l'inammissibilità della domanda vertente sulle pretese di natura economica avanzate ex art. 36 Cost..

2. La Corte di appello di Bari rigettava il reclamo proposto dalla lavoratrice avverso la suddetta pronuncia, osservando:

- che, alla data di proposizione del ricorso (settembre 2012), era vigente la legge n. 92/2012 e che, pertanto, l'impugnativa del licenziamento doveva essere regolata dalla disciplina introdotta dalla nuova legge, anche se la cessazione del rapporto era avvenuta anteriormente;

- che doveva essere confermata la statuizione di inammissibilità della domanda concernente le differenze retributive, poiché la nuova legge non consente la proposizione cumulativa di domande di ordine economico fondate su titoli diversi dall'impugnativa del licenziamento;

- che la prova testimoniale e documentale non consentiva di ritenere dimostrato l'assunto della ricorrente, secondo cui il rapporto di lavoro sarebbe proseguito fino al 2011 e sarebbe cessato per licenziamento verbale, anziché per dimissioni rassegnate in data 30 novembre 2009.

3. Per la cassazione di sentenza la G. propone ricorso affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso la s.r.l. H.G., con sede in Siponto - Manfredonia.

4. Con delibera del Commissario Straordinario dell'Ordine degli Avvocati di Bari del 5 ottobre 2017, la ricorrente è stata ammessa, in via anticipata e provvisoria, al patrocinio a spese dello Stato.

5. Il P.G. ha presentato conclusioni scritte, chiedendo che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo la lavoratrice denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1, commi da 47 a 68, della legge n. 92 del 2012 (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) per avere la Corte territoriale ritenuto la fattispecie assoggettata alla legge n. 92 del 2012, entrata in vigore 29 giugno 2012, mentre il licenziamento impugnato, intimato verbalmente, risaliva al 20 maggio 2011, molto tempo prima dell'entrata in vigore della c.d. riforma Fornero. Inoltre, al licenziamento (orale) oggetto dell'impugnativa giudiziale non si applica l'art. 18 Stat. lav., ma la disciplina generale delle obbligazioni e degli artt. 1218 e 1223 cod. civ. in materia di inadempimento.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 48, legge n. 92 del 2012 e dell'art. 112 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) per avere i giudici di merito, previa commutazione del rito, da ordinario a speciale, erroneamente dichiarato inammissibile la domanda avente oggetto le pretese economiche diverse da quelle connesse all'impugnativa del licenziamento, pur essendo la domanda stata correttamente introdotta secondo il rito ordinario.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2 legge 604 del 1966 e degli artt. 1218 e 1223 cod. civ., poiché, in difetto di forma scritta, il licenziamento non è idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro, con la conseguente persistenza dell'obbligo retributivo in capo al datore. La ditta datrice di lavoro non aveva mai comunicato il recesso, né aveva esibito alcun atto in proposito.

4. Il quarto motivo, connesso al precedente, denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) per non avere la sentenza debitamente considerato che il rapporto di lavoro, sorto sulla base di un contratto di lavoro a tempo parziale e indeterminato, non conteneva alcuna data di cessazione e che la prosecuzione del rapporto oltre la data delle presunte dimissioni comporta la loro implicita revoca e la conseguente tacita accettazione della controparte.

5. Il ricorso è inammissibile.

6. Quanto ai primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto vertenti sulla medesima questione processuale, va premesso che, a norma dell'art. 1 comma 47 legge n. 92 del 2012, "Le disposizioni dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall' articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro".

6.1. La ricorrente ha agito per l'accertamento della inefficacia del licenziamento per vizio di forma in impresa non assistita dal regime di stabilità reale. Non risulta dalla sentenza impugnata che la lavoratrice avesse richiesto la tutela di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970, nella versione di testo all'epoca vigente.

Le conseguenze di tale inefficacia comportano, per le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 508 del 1999), che il recesso non produce effetti sulla continuità del rapporto e il lavoratore ha diritto non già alle retribuzioni, ma al risarcimento del danno, da determinarsi secondo le regole generali dell'inadempimento delle obbligazioni (v. in tal senso, anche Cass. n. 22297 del 2017).

6.2. La domanda verteva su un (preteso) licenziamento orale avvenuto in data anteriore al 18 luglio 2012. In caso di licenziamento intimato prima dell'entrata in vigore della riforma Fornero, e non rientrante, secondo il precedente regime, tra le ipotesi assoggettata a tutela reale, come il caso il licenziamento orale intimato prima del 18 luglio 2012 da un datore di lavoro con meno di 16 dipendenti, l'impugnazione deve essere proposta ai sensi dell'art. 414 cod. proc. civ..

7. Tanto premesso, deve tuttavia rilevarsi il difetto dei presupposti perché tale vizio processuale possa trovare ingresso, alla stregua del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui la trattazione della controversia, da parte del giudice adito, con un rito diverso da quello previsto dalla legge non determina alcuna nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall'erronea adozione del rito le sia derivata una lesione del diritto di difesa (tra le più recenti, Cass. n. 23682 del 2017; v. inoltre, Cass. n. 1201 del 2012), con specifico riferimento al rispetto del contraddittorio, all'acquisizione delle prove e, più in generale, a quanto possa avere impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario (Cass. n. 13639 del 2013).

7.1. Non risulta in alcun modo allegato che il mutamento del rito operato dal giudice di primo grado abbia comportato (ed eventualmente sotto quale profilo) una lesione del diritto di difesa. Non vi sono deduzioni al riguardo, poiché il motivo di ricorso si limita a denunciare la violazione di ordine processuale senza altro aggiungere.

8. Il terzo motivo verte sulla soluzione offerta dai giudici di merito in ordine alle modalità e all'epoca di cessazione del rapporto di lavoro. La sentenza impugnata dà atto dell'esame della documentazione e delle risultanze della prova testimoniale. La denuncia dell'odierna ricorrente investe, sub specie violazione di legge, l'esito cui è pervenuta la Corte territoriale nell'esame e valutazione delle risultanze di causa.

8.1. Va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E' dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione - e dunque un errore interpretativo di diritto - su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa. Nel caso in esame, la Corte di appello ha dato conto delle fonti di prova utilizzate e il relativo apprezzamento non è affetto da alcun evidente vizio logico, mentre il ricorso in esame sollecita, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede.

9. Il quarto motivo denuncia un errore motivazionale relativo all'interpretazione del contenuto dell'originario contratto di lavoro stipulato tra le parti nel 2008.

9.1. Al riguardo, in limine va rilevato che il ricorso è carente dei requisiti di indicazione e di allegazione, di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., non risultando il documento ritenuto decisivo trascritto né in tutto né in parte.

9.2. Come più volte affermato da questa Corte (ex plurimis, Cass. n. 26174 del 2014, n. 2966 del 2014, n. 15628 del 2009; cfr. pure Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. n. 22302 del 2008, n. 4220 del 2012, n. 8569 del 2013 n. 14784 del 2015 e, tra le più recenti, Cass. n. 6556 del 14 marzo 2013, n. 16900 del 2015), vi è un duplice onere a carico del ricorrente, quello di produrre il documento e quello di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

10. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

11. Risulta dagli atti che la ricorrente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato e pertanto deve dichiararsi, allo stato, che la stessa non è tenuta, pur a fronte della inammissibilità dell'impugnazione, al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, stante la prenotazione a debito in ragione dell'ammissione al predetto beneficio (v. Cass. n. 7368 del 2017, n. 20920 del 2015, n. 18523 del 2014).

11.1. Infatti, anche se la disposizione di cui all'art. 13 citato non prevede esenzioni per tale ipotesi, la norma deve essere interpretata, sistematicamente, pur sempre nel contesto del provvedimento legislativo in cui è stata inserita a seguito della modifica di cui all'art. 1 legge n. 228/2012 e l'art. 13 DPR 30.5.2002 n. 115 statuisce che: "Per effetto dell'ammissione al patrocinio e relativamente alle spese a carico della parte ammessa, alcune sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall'erario. Tra quelle prenotate a debito rientra il contributo unificato nel processo civile e amministrativo" (v. Cass. n. 13935 del 2017).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida della somma di euro 3.500,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza allo stato dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.