Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 luglio 2016, n. 15621

Tributi - IVA e IRAP - Reddito d’impresa - Cessione di immobile - Rettifica del valore - Accertamento induttivo - Antieconomicità del prezzo dichiarato - Presunzione di occultamento di corrispettivo - Comparazione quotazioni OMI e prezzi censiti dalla Federazione Italiana Agenti Immobiliari

 

Fatto

 

L’Agenzia delle Entrate ha rideterminato, in applicazione dell’art. 35 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, il valore di un immobile ceduto dalla contribuente nel 2004 in base alle quotazioni rilevate dall'Osservatorio del mercato immobiliare.

Ne è scaturito un avviso di accertamento col quale l’Agenzia ha recuperato maggiore iva e maggiore irap, che la società ha impugnato, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Di contro, quella regionale ha accolto l’appello dell’ufficio, facendo leva, oltre che sullo scostamento dai valori rilevati dall’OMI, anche sui prezzi più elevati censiti per la zona dalla Federazione Italiana degli Agenti Immobiliari, sulla modestissima redditività della società rispetto al suo volume d’affari, sul "ben scarso" incremento di valore del prezzo indicato rispetto al prezzo di carico, perdipiù in anni di rilevantissimi rincari nel settore immobiliare, anche per il passaggio dalla lira all’euro. A tanto il giudice d’appello ha aggiunto considerazioni relative alla natura innovativa e quindi non retroattiva della legge comunitaria n. 88/2009 che ha espunto dall’art. 35 dinanzi citato il riferimento al valore normale.

Avverso questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso.

 

Diritto

 

1.- Inammissibile, perché non congruente col contenuto della decisione è il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., col quale la società si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 54, 2° co., del d.P.R. 633/72 e dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/73, sostenendo che il valore normale si debba considerare come elemento meramente indiziario, inidoneo a fondare una presunzione qualificata di occultamento di corrispettivo in caso di accertamento immobiliare.

Ciò in quanto, come evidenziato in narrativa, il giudice d’appello non ha fatto leva, come vorrebbe la ricorrente, sul mero scostamento tra quanto dichiarato ed i dati dell’osservatorio del mercato immobiliare, ma ha ritenuto suffragati tali dati dalla valutazione degli ulteriori elementi ivi indicati.

A tanto va aggiunto, con riguardo al profilo concernente l’iva, che indubbiamente è vero che non è possibile applicare direttamente e automaticamente all’iva i principi espressi in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa con riferimento all’antieconomicità, a ciò ostando la particolare natura del tributo, informato al principio di neutralità, il quale induce a privilegiare quanto l’acquirente ha pagato o si è impegnato a pagare (tra varie, Cass. 4 giugno 2014, n. 12502, nonché, quanto alla giurisprudenza comunitaria, specialmente Corte giust. 22 giugno 2016, causa C-267/15, Gemeente Woerden c. Staatssecretaris van Financién).

Vero altresì è, tuttavia, che l’incongruità del prezzo convenuto per la cessione può rilevare, come nella fattispecie è rilevato, come indizio di non verità del prezzo effettivamente convenuto o corrisposto; indizio, che il giudice d’appello ha ritenuto confortato dagli elementi di fatto richiamati in narrativa.

2.- Le considerazioni che precedono escludono la rilevanza della censura introdotta col terzo motivo di ricorso, di rilievo prodromico rispetto al secondo, mediante il quale la società, ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 73, 2° co., della direttiva 2006/112/Ce, recepita dall’art. 24 l. 7 luglio 2009, n. 88, là dove la Commissione tributaria regionale ha applicato una norma abrogata per effetto del recepimento della direttiva.

Ciò in quanto il fondamento della decisione risiede nella valutazione comparata del compendio di indizi indicati in narrativa, in relazione ai quali l’affermazione, senz’altro errata, della irretroattività dell’espunzione della nozione di valore normale è mero argomento di contorno.

3.- Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., col quale la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 3 e 10 della l. n. 212 del 2000 facendo leva, per escludere la debenza dell’imposta, sull’affidamento derivante dall’applicazione di una circolare dell’amministrazione.

Bastino al riguardo le considerazioni che la circolare invocata è del 2010, ben successiva ai fatti di causa risalenti al 2004 ed allo stesso avviso di accertamento, che la società assume notificato nel 2008; che anche la condotta conforme a circolare è destinata ad incidere soltanto sul trattamento sanzionatorio giustappunto in base alle norme invocate dello statuto dei diritti del contribuente e che, perdipiù, il fatto che la Commissione abbia valorizzato il compendio indiziario richiamato esclude in radice ed anche per questo profilo la rilevanza della circolare.

3.- Il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna la società a rifondere le spese, liquidate in euro 3500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.