Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 27 luglio 2016, n. 15620

Tributi - IVA - Cessione di un intero fabbricato composto da unità abitative e da unità ad uso non abitativo - Fabbricato acquistato da terzi e rivenduto senza esecuzione di interventi di ristrutturazione - Cessione soggetta ad aliquota ordinaria

 

Fatto

 

Con atto in data 1 agosto 2003, la s.r.l. B. I., successivamente incorporata nell’odierna ricorrente, ha venduto ad altra società un intero fabbricato, composto sia di unità abitative, sia di unità ad uso non abitativo. Le parti hanno convenuto, quanto al prezzo, che esso fosse ripartito per un importo concernente le unità ad uso abitativo, con applicazione dell’iva al 10% e per altro importo, riguardante le unità ad uso non abitativo, con applicazione dell’aliquota ordinaria al 20%; ne è seguita l’emissione di due fatture.

L’Agenzia delle Entrate ha contestato l’assoggettamento delle cessioni relative alle unità ad uso abitativo all’aliquota ridotta, sostenendo che l’intera operazione, concernente un intero fabbricato, dovesse scontare l’aliquota ordinaria dell’iva. Ne è scaturito un avviso di accertamento col quale l’ufficio ha recuperato la maggiore imposta dovuta, irrogando la correlativa sanzione.

La società ha impugnato l’avviso, senza successo in primo, né in secondo grado. In particolare, la Commissione tributaria regionale ha stabilito che l’aliquota ridotta è applicabile esclusivamente al caso di vendita di immobile da parte di società costruttrici del medesimo immobile. Nel caso in esame, invece, ha soggiunto il giudice d’appello, la società ha comprato da terzi l’immobile ed a terzi lo ha venduto, senza procedere a ristrutturazione.

Avverso questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., cui l’Agenzia reagisce con controricorso.

 

Diritto

 

1. - Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., la società si duole della violazione o falsa applicazione del n. 127 undecies, primo periodo, parte III della Tabella A allegata al d.P.R. n. 633/72, sostenendo che si debba applicare l’iva agevolata, in base al primo periodo della disposizione in questione, in quanto nel fabbricato venduto vi erano unità abitative non di lusso, gli acquirenti delle quali non potevano fruire dell’agevolazione prima casa.

2. - Il 2° comma dell’art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo applicabile all’epoca dei fatti, stabilisce che l'aliquota IVA è ridotta al dieci per cento "per le operazioni che hanno per oggetto i beni e i servizi elencati nell'allegata Tabella A". Per quel che rileva, la parte III della Tabella A, numero 127 undecies contempla fra i beni che possono fruire dell’aliquota agevolata le "case di abitazione non di lusso secondo i criteri di cui al Decreto Ministeriale del Lavori Pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, anche se assegnate a soci da cooperative edilizie e loro consorzi, ancorché non ultimate, purché permanga l'originaria destinazione, qualora non ricorrano le condizioni richiamate nel numero 21) della parte seconda della presente tabella; fabbricati o porzioni di fabbricato, diversi dalle predette case di abitazione, di cui alla L. 2 luglio 1949, n. 408, articolo 13, e successive modificazioni ed integrazioni, ancorché non ultimati, purché permanga l'originaria destinazione, ceduti da imprese costruttrici".

Secondo la società il primo periodo della disposizione consente l'applicazione dell’aliquota agevolata in caso di cessione di unità immobiliari non di lusso indipendentemente dalla qualità soggettiva del cedente. Di contro, l’Agenzia sostiene che l’applicazione dell’aliquota agevolata postuli la qualità di impresa costruttrice del l’alienante; qualità, nella fattispecie assente, in quanto la cedente è un’I. di rivendita.

2.1. - L’interpretazione letterale della disposizione lascia qualche margine di ambiguità, in quanto il primo periodo si riferisce alla vendita di "case abitative non di lusso", il secondo periodo a "fabbricati o porzioni di fabbricato di cui alla L. 2 luglio 1949, n. 408, articolo 13", là dove la norma oggetto di rinvio definisce tali beni immobili come "le case di abitazione, anche se comprendono uffici e negozi, che non abbiano il carattere di abitazione di lusso".

2.2. - Soccorre, peraltro, l’interpretazione logico-sistematica, idonea ad identificare lo scopo della norma fiscale, che è quello di agevolare la cessione di taluni beni in considerazione della loro specifica destinazione funzionale: l'obiettivo, che emerge dal riferimento alla categoria "non di lusso" degli immobili, è quello di favorire l'accesso dei singoli all'acquisto della proprietà dell’unità I. da destinare ad esigenze abitative, e, indirettamente, d’incentivare lo sviluppo della edilizia abitativa. È in questa chiave che si spiega il riferimento alla qualità soggettiva (impresa costruttrice) richiesta al venditore dell'intero fabbricato o di porzioni del fabbricato costruito, qualora esso sia composto sia da unità abitative, sia da locali destinati ad uso commerciale.

La distinzione tra il primo e secondo periodo, in relazione alle caratteristiche del bene, dunque, non va ravvisata nella qualità ''non di lusso" che contraddistinguerebbe le case di abitazione indicate nel primo periodo, rispetto alle unità comprese nei fabbricati o porzioni di essi indicati nel secondo periodo: ciò in quanto il rinvio all’art. 13 della l. 2 luglio 1949, n. 408 comporta che siano "non di lusso" anche le unità abitative che compongono detti fabbricati o porzioni di fabbricato (si veda l’art. 13, Io comma: "le case di abitazione, anche se comprendono uffici e negozi, che non abbiano il carattere di abitazione di lusso").

La distinzione in questione risiede, invece, nella destinazione funzionale "mista" del complesso I., in quanto comprensivo oltre che di unità abitative (non di lusso), anche di locali commerciali (negozi e uffici).

Dunque, il primo periodo differisce dal secondo in relazione alla natura del bene -nel primo caso si tratta soltanto di unità abitative, nel secondo anche di uffici e negozi-; e proprio perché nel secondo caso vi è commistione nella destinazione funzionale del bene immobile, la legge accorda il beneficio soltanto alla impresa costruttrice, al fine di incentivare comunque la costruzione di fabbricati misti composti in prevalenza da unità abitative destinate, in quanto non di lusso, a soddisfare la medesima esigenza sociale presidiata dal primo periodo (espressamente in termini, vedi Cass. 21 maggio 2014, n. 11169).

2.3. - Ad accomunare entrambe le ipotesi contenute nei due periodi, ai fini della fruizione dell’agevolazione fiscale, è la permanenza della originaria destinazione (abitativa) dell'immobile.

Il beneficio difatti, spetta esclusivamente se l’unità I. compravenduta sia stata effettivamente utilizzata dall'acquirente per soddisfare esigenze abitative. Resta in conseguenza esclusa l'attribuzione di un beneficio fiscale a favore di soggetti che acquistino unità abitative non di lusso (primo periodo), oppure interi complessi immobiliari o loro porzioni degli stessi che comprendano case di abitazione e locali commerciali (secondo periodo), per utilizzare le case di abitazione in modo difforme dalla "originaria destinazione" (abitativa); con la precisazione che per "destinazione" si deve intendere -in conformità allo scopo sociale perseguito dalla agevolazione fiscale- non la mera formale destinazione urbanistica, ma l’effettivo e concreto impiego abitativo dell'immobile.

3. - Ne deriva il rigetto del motivo, in quanto la contribuente non contesta né la mancanza della qualità di impresa costruttrice, né ha allegato e provato in giudizio che il complesso I. del quale si discute abbia mantenuto dopo la vendita tale effettiva destinazione abitativa.

4. -Le considerazioni che precedono comportano l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, calibrato sul vizio di motivazione concernente l’applicazione non all’intero fabbricato, ma alle sole cessioni relative alle unità immobiliari dell’aliquota agevolata.

5. - Il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società a pagare le spese, liquidate in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Dichiara la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115 del 2002.