Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 febbraio 2017, n. 2835

Tributi - Contenzioso tributario - Accertamento - Reddito d’impresa - Studi di settore

Motivi della decisione

 

L'Agenzia delle Entrate ha rideterminato il reddito della impresa contribuente, attraverso una diversa valutazione dei ricarichi sulla vendita di auto nuove ed usate per l’anno 2005, recuperando di conseguenza IVA ed IRAP sui valori ritenuti effettivi.

Il reddito è stato determinato in base ad elementi presuntivi, ed in particolare in base alla differenza che i ricarichi dichiarati (6,97%) presentavano rispetto a quelli ricavabili dagli studi di settore (12,7%).

Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento del nuovo e diverso reddito, ottenendo ragione in primo grado, dove i giudici hanno ritenuto congruo il ricavo dichiarato.

L’Agenzia ha presentato appello facendo valere l’argomento per cui l’entità dello scostamento tra il ricavo dichiarato e quello risultante dalla studio di settore era indice di antieconomicità.

La CTR ha accolto l’appello.

L'impresa propone dunque ricorso per cassazione con due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo l’impresa ricorrente eccepisce la violazione degli articoli 10, 11, 53 del D.lvo n. 546 del 1992 ritenendo nullo l’atto di appello per difetto di sottoscrizione. L’impugnazione infatti è sottoscritta da funzionario delegato dal Direttore dell’Agenzia, ma non risulta né la delega né la posizione assunta dal delegato nell’ambito della organizzazione dell’Ufficio.

Il motivo però non appare fondato alla luce anche della giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale in tema di contenzioso tributario, l’ufficio periferico dell'Agenzia delle entrate è rappresentato in giudizio dal titolare dell'organo che, qualora non intenda trasferire il potere di rappresentanza processuale ad altro funzionario, può demandare, nell'esercizio dei poteri di organizzazione e gestione delle risorse umane, la sola materiale sottoscrizione dell'atto difensivo ad un "delegato alla firma", mero sostituto nell'esecuzione di tale adempimento, sicché, ove l'atto difensivo sia stato sottoscritto dal delegato alla firma con la chiara indicazione della relativa qualità (ad esempio, con formula "per il dirigente"), l'ufficio periferico deve presumersi ritualmente costituito in giudizio a mezzo del dirigente legittimato processualmente, non essendo sufficiente la mera contestazione per fare insorgere l'onere in capo all'Amministrazione finanziaria di fornire la prova dell'atto interno di organizzazione adottato dal dirigente. Salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio appellante o, comunque l'usurpazione del potere di impugnare la sentenza (Cass. n. 15470 del 2016).

E’ nella fattispecie, l’impresa si limita ad eccepire l’insufficienza della delega, senza provare l’usurpazione del potere di firma da parte del sottoscrittore.

Con il secondo motivo la contribuente denuncia violazione dell’art. 39 2° comma DPR n. 600 del 1973. Osserva che non v’erano indizi gravi per poter disattendere la dichiarazione dei ricavi fatta dall’impresa, anche se diversa da quella risultante dagli studi di settore.

Il motivo però è inammissibile in quanto richiede una diversa valutazione del fatto da parte di questa corte.

La sufficienza, invero, degli indizi atti a sostenere una presunzione, ed in questo caso la questione degli elementi usati ad indizio dall’Agenzia, è questione di fatto, censurabile in cassazione se non adeguatamente motivata.

E’ del resto orientamento di questa Corte che sebbene il semplice scarto tra la percentuale ricavata e quella risultante dagli studi di settore non sia di per sé motivo di rivalutazione del reddito, tuttavia, giustifica una rideterminazione quando lo scarto e tale da risultare o abnorme o irragionevole (Cass. 20201 del 2010; Cass. 27488 del 2013).

L’apprezzamento di tale dato (di irragionevolezza) è questione di merito, e, come si è detto, censurabile solo -se irragionevolmente motivato.

In tal, a differenza di quanto postulato nella memoria, non può dirsi che abbia irragionevolmente presunto la CTR nel ritenere che uno scarto dal 7% al 12% sia abnorme e tale da giustificare la revisione del reddito dichiarato.

Il ricorso va pertanto rigettato e le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di 2300,00 euro per spese legali, oltre spese prenotate a debito. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato da parte del ricorrente soccombente.