Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 06 marzo 2018, n. 5276

Natura subordinata del rapporto di lavoro - Esistenza di un rapporto societario di fatto - Alcun conferimento alla società o partecipazione agli utili - Diversa valutazione delle testimonianze - Ricorso inammissibile

Svolgimento del processo

1) La corte d'appello di Catanzaro, riformando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha accolto la domanda di L.C. ed ha accertato la natura subordinata del rapporto intercorso tra la stessa e G.M., condannando quest'ultimo al pagamento della somma di € 52.220,56 a titolo di differenze retributive e indennità di fine rapporto.

2) La Corte ha ritenuto che gli elementi emersi in causa escludessero l'esistenza di un rapporto societario di fatto, eccepito dal M. e ritenuto dal primo giudice, in quanto la C. non aveva effettuato alcun conferimento alla società, non aveva partecipato agli utili, mentre era emerso che era il M. ad occuparsi dei pagamenti ai fornitori e ad avere comunque la gestione della contabilità. Ha ritenuto la Corte territoriale che la C. svolgesse mansioni di commessa occupandosi del negozio, mentre il M. fosse invece occupato a svolgere prevalentemente l'assistenza esterna della clientela. Pertanto secondo la Corte di merito doveva ritenersi l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti.

3) Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il M. affidato a due motivi. Hanno resistito con controricorso la C. e l'INPS , che ha svolto anche ricorso incidentale.

La C. ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

4) Con il primo motivo di ricorso principale il M. deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 c.1 n 5 c.p.c.. La corte di merito avrebbe contraddittoriamente sostenuto l'esistenza di un vincolo di soggezione della lavoratrice al potere direttivo del datore di lavoro per poi affermare che la C. svolgeva comunque autonomamente la propria prestazione lavorativa. Sarebbe inoltre del tutto superficiale la motivazione della corte territoriale per avere la stessa disatteso le chiare ed univoche circostanze emerse in sede di prova testimoniale, quali la ripartizione degli utili e delle perdite in parti uguali, la possibilità della C. di assentarsi ogni anno per due mesi estivi, il possesso delle chiavi del negozio da parte della stessa e le disposizioni impartite dalla C. direttamente sia al legale che al commercialista, che dimostravano chiaramente la natura del rapporto, non di subodinazione ma societario,

5) Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2967 c.c., in relazione all'art. 360 c.3 c.p.c.. Avrebbe errato la corte di merito nell'aver fatto ricorso, per la qualificazione della subordinazione del rapporto, ai criteri distintivi sussidiari senza prima indagare sulla sussistenza o meno del potere direttivo, gerarchico e di controllo del M. e del vincolo di soggezione della C. a tale potere. La Corte territoriale avrebbe anche errato nella modalità di ripartizione dell'onere della prova, addossando al ricorrente l'onere di provare l'eccepito rapporto societario, deduzione da lui formulata al solo fine di confutare l'esistenza del vincolo di subordinazione vantato dalla C., la sola ad essere invece onerata di tale prova .

6) Il primo motivo è inammissibile per due ordini di ragioni . E' inammissibile in primo luogo per difetto di autosufficienza, in violazione all'art. 366 c.1 n.6 c.p.c. laddove lamenta la superficialità ed erroneità della motivazione della sentenza impugnata per avere la corte d'Appello sovvertito le circostanze decisive, chiare ed univoche, emerse dalle prove testimoniali circa la natura autonoma del rapporto. Ed infatti vengono trascritti in ricorso solo pochi stralci di tali testimonianze, senza che vi sia stata una trascrizione esauriente del verbale della causa di primo grado, dove tutte le testimonianze erano state raccolte, così impedendo un loro esame diretto e completo da parte di questa corte. Nè peraltro vi è stata una precisa indicazione del deposito di tale documento processuale, in violazione anche dell'art. 369 c.1 n.4 c.p.c.

7) Ma comunque il motivo è inammissibile anche perchè il ricorrente in realtà, attraverso la valutazione delle suddette testimonianze sollecita questa Corte ad effettuare un nuovo esame di merito che le è precluso. Nella motivazione la corte territoriale ha invero riportato gli elementi emersi dalle testimonianze, che la stessa ha ritenuto rilevanti per affermare la subordinazione, sottolineando come era il M. ad occuparsi della gestione economica della ditta, rilasciando procura per il recupero crediti, anche provvedendo ad effettuare pagamenti ai creditori, essendo il conto corrente intestato a lui soltanto. Come più volte statuito da questa corte, l'art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce, infatti, alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti, (cfr Cass. n. 12362/2006), potendo questi scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dando prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova (cfr da ultimo Cass. n. 16056/2016).

8) Il secondo motivo di ricorso è infondato. Non può infatti accogliersi la censura del ricorrente laddove ritiene che vi sia stata un'errata qualificazione del rapporto di lavoro e un'errata applicazione del principio dell'onere probatorio. La Corte ha valutato gli elementi che connotano la subordinazione, precisando che la C. operava secondo le direttive di ordine generale impartite dal M., occupandosi di tutte le incombenze del negozio in assenza del titolare , essendo l'unica addetta al negozio, percependo un compenso fisso. In particolare la Corte di merito ha precisato che l' autonomia nello svolgimento dell'attività, ritenuta dal primo giudice, in realtà costituiva l'effetto della sua presenza in qualità di unica commessa presso l'esercizio commerciale.

9) Infine, proprio in ragione della eccepita esistenza di una società di fatto da parte del M., la corte territoriale ha evidenziato l'inconsistenza di tale assunto, stante l'assenza di qualsiasi elemento probatorio che potesse suffragare tale deduzione, a fronte peraltro dell'ammissione del M. nel libero interrogatorio di primo grado, della mancanza di conferimenti alla società da parte della C.. Tali argomentazioni pertanto non costituiscono una violazione del principio dell'onere probatorio della subordinazione, comunque gravante sulla lavoratrice ; onere che la Corte distrettuale ha ritenuto assolto con motivazione non sindacabile, in quanto priva di vizi logici, come prima rilevato .

10) il ricorso principiale deve quindi essere respinto.

11) con il motivo di ricorso incidentale l'INPS ha denunciato la violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.1 n.4 c.p.c. per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda contenuta nella memoria di costituzione in appello , con cui si chiedeva la condanna del M. al pagamento dei contributi dovuti per il periodo dall'1.1.1997 al 30.9.2002 o per altro periodo di lavoro comunque accertato.

12) il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza sancito dall'art. 366 c.1 n.6 c.p.c.. L'Istituto infatti si è limitato a riportare un mero stralcio della memoria di costituzione di appello in cui deduce di aver svolto la domanda di condanna al pagamento dei contributi omessi e delle relative sanzioni, senza tuttavia trascrivere anche la relativa richiesta formulata in primo grado con la memoria di costituzione, dove la domanda andava svolta, neanche avendo specificato la collocazione di tale atto nel fascicolo di parte (cfr Cass. 22607/2014) . Tale omissione non consente pertanto di verificare se effettivamente la domanda fosse stata svolta tempestivamente in primo grado e quindi solo reiterata in appello. Questa corte ha più volte osservato che allorquando sia denunciato un "error in procedendo", la cassazione è anche giudice del fatto, ma che non potendo il vizio essere rilevato d'ufficio, "è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il "fatto processuale" di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale "( cfr da ultimo cass. n. 2771/2017) .

13) il ricorrente principale, soccombente nei confronti della controricorrente C., va pertanto condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, in favore della stessa, mentre possono compensarsi tra il ricorrente principale e l'INPS le spese, non avendo spiegato difese il M. con riferimento al ricorso incidentale dell'Istituto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e condanna il ricorrente M. al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della C., che liquida in 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale dell'INPS e compensa le relative spese con il M..