Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 20 aprile 2017, n. 10036

Imposte indirette - IVA - Accertamento - Controversie - Norme comunitarie imperative

Fatti di causa

G.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la C.T.R. della Campania ha confermato la decisione di primo grado di rigetto del ricorso proposto dal contribuente avverso l'avviso di rettifica relativo ad IVA per l'anno 2010 emesso dall'Ufficio delle Dogane di Napoli relativo a vari tributi per l'irregolare introduzione di merce.

L'Agenzia delle Dogane resiste con controricorso.

A seguito di proposta ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell'adunanza della Corte in camera di consiglio, ritualmente comunicate, il ricorrente ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Preliminarmente il Collegio ritiene di non condividere i dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 380 bis c.p.c. sollevati dal ricorrente in memoria.

E' già stato, condivisibilmente, statuito (cfr. Cass. del 10.1.2017 n. 395), che << è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale — sollevata in riferimento all'art. 24 Cost. — dell'art. 380-bis c.p.c. (nel testo introdotto dal dl. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla L. n. 197 del 2016), costituendo non irragionevole esercizio del potere legislativo di conformazione degli istituti processuali la scelta di assicurare un contraddittorio solo cartolare alla decisione, in sede di legittimità, di questioni prive di rilievo nomofilattico, all'esito di una mera proposta di trattazione camerale da parte del consigliere relatore che, in quanto semplice ipotesi di esito decisorio, non è vincolante per il collegio, il quale, pertanto, ove intenda porre a base della decisione una questione rilevata d'ufficio, può ripristinare l'interlocuzione delle parti secondo il paradigma dell'art. 384, comma 3, c.p.c., deponendo in tal senso una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dello stesso art. 380-bis c.p.c.>>.

2. Con il primo motivo si deduce la violazione ed errata applicazione dell'art. 29 d.lgs. n. 546/1992 per avere la C.T.R. rigettato la richiesta di riunione sulla base di una motivazione apparente.

La censura è inammissibile. Per giurisprudenza consolidata l'esercizio —in senso negativo o positivo- del potere di disporre la riunione non è censurabile in cassazione, dal momento che i relativi provvedimenti hanno natura ordinatoria e si fondano su valutazioni di mera opportunità (Cass. n. 14885/07).

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e processuali, ai sensi dell'art. 360 n.3 e 4 c.p.c., laddove la C.T.R. aveva negato l'applicazione dell'efficacia esterna del giudicato costituito da sentenze della CTR della Liguria.

3.1. Il motivo è infondato. Ed invero, oltre alla circostanza che la C.T.R. non ha ritenuto, correttamente, vincolante il giudicato costituito dalle sentenze della Commissione regionale ligure, in quanto relativo a diverse operazioni doganali e quindi, a distinti rapporti giuridici, in materia è consolidato il principio per cui le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall'art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08, la certezza del diritto non può tradursi in una violazione dell'effettività del diritto euro-unitario.(Sentenza n. 8855 del 04/05/2016; Sentenza n. 16996 del 05/10/2012).

4. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 7 della legge n. 212/2000 per mancata allegazione al verbale di accertamento dell'intero processo verbale.

La censura, oltre che poco intelligibile e dunque inammissibile, muovendo dal presupposto che la C.T.R. abbia indicato l'esistenza di un pvc allegato all'avviso di accertamento e non all'avviso di rettifica che non trova riscontro nella motivazione della sentenza- in cui si parla di avviso di rettifica dell'accertamento e di processo verbale di constatazione- e manifestamente infondata nel merito, avendo questa Corte ripetutamente chiarito che l'art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nel prevedere che debba essere allegato all'atto dell'Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione (cfr. ex plurimis, Cass. n. 407/2015).

Peraltro, la C.T.R. ha accertato che l'avviso di rettifica motivato per relationem, con riferimento alle risultanze del p.v. di constatazione (e dal quale era conseguita anche richiesta di rinvio a giudizio a carico del C.) ed, in particolare, l'attività di indagine compendiata in quest'ultimo atto aveva ricostruito integralmente la vicenda posta a base della pretesa fiscale in tal modo ritenendo, con accertamento di fatto non contestato dalla parte ricorrente, la piena idoneità dell'atto ad assolvere la funzione di conoscenza degli elementi indicati dall'ufficio a sostegno della richiesta impositiva. Ciò che conferma vi è più l'infondatezza del motivo.

4. Con il quarto motivo si deduce la violazione ed errata applicazione degli artt. 201, 202, 203 e 213 del codice doganale comunitario. La censura e manifestamente inammissibile ed infondata.

La parte ricorrente contesta, sotto il paradigma della violazione della disciplina doganale in tema di responsabilità del debitore doganale e dei principi in tema di presunzione, le valutazioni compiute dalla C.T.R. in ordine al ritenuto coinvolgimento del C. nell'attività frodatoria.

Orbene, risulta evidente che la contestazione riguardi l'attività valutativa della C.T.R. e l'esistenza stessa degli elementi indicati dalla C.T.R., senza avvedersi della circostanza che tale censura non integra una violazione di legge, ma piuttosto una contestazione sull'attività' valutativa del giudice di merito che avrebbe richiesto la deduzione del vizio di motivazione, nei limiti in cui lo stesso e consentito.

Peraltro, la censura e infondata laddove ipotizza un errore del giudice di merito in ordine alla qualità di debitore doganale attribuita al C..

Ed infatti, questa Corte, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia-v.Corte giust.17 novembre 2011, causa C-454/10-, è ferma nel ritenere che in tema di dazi all'importazione, l'art. 202, comma 3, del codice doganale comunitario di cui al Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913/92, applicabile "ratione temporis", qualifica come debitori per l'obbligazione doganale sorta in seguito all'irregolare introduzione di merce in ambito comunitario, oltre a colui o coloro che vi hanno proceduto anche le persone che ad essa hanno partecipato "sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare", con la conseguenza che tali soggetti rispondono, solidalmente con questi, dell'obbligazione doganale, quando si possa ragionevolmente presumere che sapessero o dovessero ragionevolmente sapere che l'introduzione era irregolare- cfr. Cass. n. 11181/2010; Cass. n. 5159/2013-.

Orbene, nel caso di specie la C.T.R. ha specificamente collegato la responsabilità del C. all'operazione doganale, individuandolo come soggetto direttamente coinvolto nell'organizzazione transnazionale che, utilizzando società di comodo, importava merci dalla Cina dichiarandone un valore nettamente inferiore a quello reale, realizzando poi i pagamenti effettivi attraverso altre società dislocate in Cina. Ha poi specificamente indicato gli elementi dai quali ha tratto il convincimento che il C. fosse impegnato nella gestione delle società di comodo che avevano effettuato l'importazione, individuandoli specificamente effettivo trasferimento del denaro all'estero necessario per pagare la merce giunta in Italia sulla base della documentazione bancaria sequestrata, documentazione dalla quale risultava il ruolo svolto all'interno dell'organizzazione del C., indicato col suo nome di battesimo, al quale erano riferibili le società di comodo che eseguivano le operazioni di importazione -.

Nel farciò, pertanto, la C.T.R. non e incorsa nella prospettata violazione di legge, ne ha male applicato la disciplina in tema di presunzioni.

Ed e appena il caso di aggiungere che spetta al giudice del merito apprezzare l'efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che devono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all'esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (cfr. Cass. n. 22801/2014).

Ora, nel caso di specie la parte ricorrente disconosce la valenza indiziaria degli elementi esaminati dalla C.T.R. e vorrebbe che questa Corte si sostituisse al giudice di merito nell'apprezzamento della valenza indiziaria dei fatti, senza avvedersi che siffatta attività trascende dal sindacato riservato al giudice di legittimità quando il giudice di merito ha dapprima analiticamente selezionato gli elementi riconosciuti dotati di potenziale efficacia probatoria ed ha successivamente vagliato complessivamente tutte le emergenze precedentemente isolate.

Certo, il sindacato di questa Corte sulla violazione di legge di cui all'art. 2729 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., c.1 n. 3 permane nell'ipotesi in cui il giudice di merito abbia direttamente violato la norma in questione, deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti. E parimenti questa Corte deve valutare se il giudice di merito abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza sussumendo, cioè, sotto la previsione dell'art. 2729 cod. civ., fatti privi dei caratteri legali e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della "fattispecie astratta", ma erroneamente applicata alla "fattispecie concreta" (cfr. Cass. S.U. n. 8054/2014).

Ma, nel caso di specie, gli elementi valorizzati dal giudice di merito, dai quali la C.T.R. ha tratto il convincimento che la singola operazione di importazione realizzata da società di comodo controllate anche dal C., indicato come elemento dell'organizzazione, escludono il prospettato vizio, proprio perché la C.T.R. ha agganciato al solido compendio indiziario relativo alla partecipazione del ricorrente all'associazione criminosa la diretta responsabilità nell'operazione posta in essere proprio in forza dei principi giurisprudenziali sopra richiamati in ordine alla responsabilità in ambito doganale.

Le superiori considerazioni superano i rilievi difensivi della parte ricorrente esposti in memoria.

Il ricorso va, quindi, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Si da atto della ricorrenza dei presupposti di cui all'art.13 comma 1 quater del dPR n. 115/2002 per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dell'Agenzia delle entrate in euro 1.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Da atto della ricorrenza dei presupposti di cui all'art.13 comma 1 quater del dPR n.115/2002 per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.