Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 giugno 2016, n. 11555

Tributi - IVA - Accertamento - Omessa contabilizzazione di operazioni passive

 

Osserva

 

La CTR di Napoli ha accolto gli appelli dell’Agenzia - appelli proposti contro le sentenze n. 568/01/2011 e 567/01/2011 della CTP di Napoli che avevano già accolto il ricorso della società "M. srl" - ed ha così confermato gli avvisi di contestazione per sanzioni relative ad IVA per gli anni 2004 e 2005 irrogate per "omessa contabilizzazione di operazioni passive (autofatturazione)", atti conseguenti al PVC di data 22.10.2009 della GdF Napoli ed adottati coevamente all’adozione di altri avvisi di accertamento relativi ad imposte IRES-IVA-IRAP. La predetta CTR - dato atto che la parte contribuente si era doluta della violazione del principio del divieto di doppia imposizione, in quanto l’atto impugnato altro non era se non la riproduzione dell’avviso di accertamento dianzi richiamato e del quale l’Ufficio aveva riconosciuto l’illegittimità, provvedendo ad annullarlo in autotutela - ha motivato entrambe le proprie decisioni nel medesimo preciso senso, e cioè che non risultava esserci alcuna duplicazione né di imposta né di sanzione: infatti con l’atto di contestazione impugnato in primo grado l’Ufficio "eccepisce l’omessa fatturazione di acquisti, sulla base del PVC redatto dalla GdF di Napoli del 29.10.2009, ed irroga la sanzione per la mancata regolarizzazione", nel mentre con l’avviso di accertamento relativo all’anno 2004 ovvero con quello relativo all’anno 2005 l’Ufficio si era limitato "a contestare l’omessa fatturazione di ricavi e non di costi (acquisti di merci)".

La "M. srl" ha interposto unico ricorso per cassazione avverso entrambe le sentenze, affidato a unico motivo.

L’Agenzia si è difesa con controricorso.

Il ricorso - assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc - può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Infatti, con il motivo unico di impugnazione (centrato sulla violazione degli art. 132 e 156 cpc) la parte ricorrente si duole del fatto che la CTR non abbia assolto al dovere di motivare le sentenze a riguardo della censura formulata contro gli avvisi separatamente impugnati (e cioè, che si trattasse di contestazioni fondate sul medesimo presupposto degli avvisi di accertamento), limitandosi ad una motivazione apparente che non coglieva la differenza, tanto più che la stessa amministrazione aveva annullato gli avvisi di accertamento di cui si è detto.

Il motivo di impugnazione appare infondato e da disattendersi.

Come è già chiaro, il motivo di impugnazione è nella sostanza incentrato sul vizio di nullità della sentenza impugnata, per difetto assoluto dell’elemento della motivazione. Siffatto difetto non pare sussistere, avendo il giudice dell’appello chiarito adeguatamente - nella parte motiva della decisione, indipendentemente dal fatto che quest’ultima possa considerarsi succinta e sinteticamente redatta - le ragioni per le quali è giunto a dichiarare l’infondatezza dell’appello, sulla premessa (correttamente individuata) di quelle che erano le ragioni di doglianza della parte contribuente.

Il motivo di impugnazione appare quindi non condivisibile appunto perché una motivazione (di senso compiuto e perfettamente intelligibile) nella sentenza impugnata esiste e ne integra gli elementi costitutivi, proprio a mente delle disposizioni che la parte ricorrente invoca a sostengo dell’impugnazione.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza,

Ritenuto inoltre:

- che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

- che la sola parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa, una prima per l’udienza originariamente fissata del 16.3.2016 ed una seconda sia per quella del 28.4.2016, sia pur depositandola nel collegato procedimento n. 7573/2014 R.G. che è stato chiamato alla medesima udienza di discussione;

- che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione a riguardo del primo motivo di impugnazione, mentre a riguardo del secondo motivo ritiene di evidenziare che questo, più che inammissibile appare infondato. Invero la parte ricorrente (sia pure richiamandosi alla regola secondo cui "nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza medico-legale, specie a fronte di una domanda di parte in tal senso costituisce una grave carenza nell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza": si veda, per tutte, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17399 del 01/09/2015) ha implicitamente allegato l’esistenza di una violazione degli art. 61 e 191 cpc, per quanto non menzionati. E tuttavia, detta prospettazione appare - nella specie di causa - priva di adeguato supporto argomentativo, appunto per non avere la parte ricorrente (come ha evidenziato il relatore) giustificato e comprovato le ragioni per le quali l’accertamento in questione si sarebbe concretamente imposto, nel difetto di qualsivoglia diverso mezzo di prova. Benvero, la parte ricorrente ha affermato che la imprescindibilità della consulenza deriverebbe dall’impossibilità per essa ricorrente di dimostrare "che ciascuna somma esistente sul conto dei soci non sia riferibile alla società", senza avere però allegato in che modo il nominando consulente (che per il giudice costituisce strumento di valutazione dei fatti acquisiti in causa e non di acquisizione alla causa delle fonti di prova) avrebbe potuto concretamente assolvere al compito invocato e perciò senza avere dimostrato che il giudicante abbia fatto erroneo governo dei poteri ordinatori del processo allorché ha evidenziato di non poter ovviare all’assolvimento degli oneri che incombono alle parti;

- che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in € 8.000,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 11.115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.