Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 maggio 2018, n. 11524

Tributi - Credito d’imposta per l’assunzione di ricercatori - Mancata indicazione nel quadro RU della dichiarazione dei redditi - Decadenza

 

Esposizione dei fatti di causa

 

1. La società T. Srl, in persona del l.r., impugnava la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis D.P.R. 600/73 del M.U. SC 2007 per l'anno di imposta 2006, in esito al quale veniva rilevata l'indebita compensazione di un credito di imposta pari ad euro 186.409,00, quale parte di maggior credito concesso dal MIUR nell'anno 2005 per complessivi euro 200.000,00 compensati in parte nell'anno di imposta 2005 ed in parte nell'anno di imposta 2006, in quanto credito non indicato nel quadro R.U. della dichiarazione dei redditi relativa all'anno di concessione del credito, come previsto a pena di decadenza, sostenendone l'illegittimità per insufficiente motivazione della cartella, sussistenza del credito di imposta come risultante dalla documentazione del Ministero dell'Istruzione mera rilevanza formale della omessa compilazione del quadro RU e validità della compensazione del credito, in quanto la dichiarazione era stata integrata e corretta in data 23.09.2008 ( successivamente alla comunicazione di irregolarità dell'11 settembre 2008).

L'Ufficio contestava la tempestività dell'integrazione della dichiarazione che poteva essere effettuata, a suo dire, solo nel termine di presentazione della dichiarazione, come previsto dall'art. 6 del regolamento n. 275/1998.

La C.T.P. di Perugia accoglieva il ricorso qualificando come mero errore formale la mancata compilazione del quadro RU e ritenendo la tempestività della dichiarazione integrativa, con sentenza impugnata dall'Agenzia delle Entrate.

La C.T.R. di Perugia confermava la sentenza di primo grado sul rilievo che solo le dichiarazioni integrative presentate a favore del contribuente per correggere o rettificare errori o omissioni che abbiano determinato un maggior reddito o un maggiore debito o un minor credito di imposta possono essere presentate entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta, mentre le altre possono essere emendate entro il termine di decadenza di quattro anni previsto per l'azione di accertamento.

Avverso la sentenza n. 141/03/2012, depositata il 16.11.2012, non notificata, l'Ufficio ricorre per cassazione affidato a tre motivi.

Il contribuente resiste con controricorso e deposita memorie ex art. 378 c.p.c.

 

Esposizione delle ragioni di diritto

 

2. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 1 della I. 317/1991, degli artt. 4 e 5 L. 449/97 e dell'art. 6 Decreto Interministeriale n. 257/98, dell'art. 2 commi 8 e 8 bis DPR 322/98, in relazione all'art. 360 n. 3, censurando, in particolare, la sentenza impugnata per aver disatteso il disposto dell'art. 6 D.I. cit. laddove prevede che il credito di imposta è indicato a pena di decadenza nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso e per aver ritenuto che la rettifica operata dalla società non fosse da considerare in suo favore, sebbene avesse proceduto alla correzione della omissione che aveva determinato un minor credito di imposta. L'ufficio deduce, altresì, la violazione della I. 317/1991 e del DPR 322/98 nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto che l'omessa compilazione del quadro RU integrasse una mera violazione formale, dimenticando che l'art. 11 della L. 317/91 prevede che il credito di imposta debba essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale è concesso il beneficio ai sensi della comunicazione di cui all'art. 10 comma 3 che deve essere allegata alla dichiarazione medesima o alla dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta successivo.

Termine decadenziale previsto, secondo l'Agenzia, dalla legge per alcuni crediti di imposta, con la conseguente infondatezza della tesi sostenuta dalla CTR laddove ha ritenuto che l'omissione integrasse un mero errore formale privo di effetti giuridici.

3 Con il secondo motivo, lamentando insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. censura la pronuncia impugnata per aver omesso di valutare che la dichiarazione integrativa era successiva alla contestazione dell'Ufficio, in contrasto con quanto previsto dall'art. 13 D.lgs 472/1997 che prevede il ravvedimento operoso entro il termine di cui all'art. 2 comma 8 bis DPR 322/98 e comunque prima che sia contestata la violazione.

4. Con il terzo motivo, formulato in via subordinata, censura l'omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c., lamentando che i giudici di secondo grado hanno omesso di considerare che la dichiarazione integrativa era stata presentata successivamente alla comunicazione di irregolarità.

5. II primo motivo del ricorso è fondato e va accolto, assorbiti gli altri motivi.

6. L’art. 5 legge n. 449 del 1997, al fine di potenziare l'attività di ricerca, ha accordato alle piccole e medie imprese un credito d'imposta a partire dal periodo in corso al 1 gennaio 1998, per ogni nuova assunzione a tempo pieno, anche con contratto a tempo determinato, di soggetti titolari di dottorato di ricerca o di altro titolo di formazione post-laurea, ovvero di laureati con esperienza nel settore della ricerca (comma 1, lett. a); o per ogni nuovo contratto per attività di ricerca commissionata ad università, consorzi e centri interuniversitari, altri enti e fondazioni private ivi indicati (comma 1, lett. b).

La stessa norma ha demandato alla successiva decretazione ministeriale il compito di stabilire le modalità attuative, di controllo e regolazione contabile dei crediti stessi (comma 7). Tale disciplina è stata dettata col d.m. 22 luglio 1998, n. 275, il quale, all'art. 6, ha stabilito che: a) «il credito di imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso» (comma 1).

Nel descritto contesto normativo la dichiarazione richiesta al contribuente non risulta assimilabile ad una dichiarazione di scienza attraverso cui far valere un credito originato delle ordinarie poste fiscali riportate nelle dichiarazioni, ma integra un atto negoziale diretto a manifestare la volontà di avvalersi del beneficio fiscale in ragione dell'affermazione della rispondenza dell'attività svolta alle finalità perseguite dal legislatore( tant'è che alla dichiarazione va allegata la relativa documentazione).

7. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno, quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall'erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile, anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall'amministrazione» (Cass. n. 7294 del 11/05/2012; Cass. n. 1427 del 22/01/2013; Cass. 22673 del 2014; Cass. n. 883 del 2016; Cass. n. 10239 del 26/04/2017).

In particolare, questa Corte ha avuto modo di affermare che il credito fiscale previsto dalla normativa sopra indicata rileva unicamente ai fini della compensazione con i debiti tributari (in quanto non autonomamente rimborsabile) e il beneficiario, alla stregua del riportato primo comma dell'art. 6, D.M. 22 luglio 1998, n. 275, decade dalla suddetta possibilità di fruizione ove non indichi il credito nella dichiarazione relativa al periodo di imposta di concessione del beneficio.

E’ stato precisato che trattasi di decadenza contemplata dalla disciplina speciale dell'istituto, per cui risulta incongruo invocare il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale, in quanto l'emendabilità, finanche con atti rilevanti in sede processuale, non consente di superare il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze all'atto del definitivo riconoscimento del principio anzidetto (così come affermato dalle sezioni unite con sentenza Sezioni unite con sentenza n. 13378 del 2016)

8. Si è dunque condivisibilmente rilevato nella giurisprudenza di questa Corte che «il credito fiscale de quo non deriva dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo, ma da un beneficio appositamente accordato a fronte di precise scelte politiche, finalizzate a incentivare un determinato settore: in un contesto di tal genere il legislatore è libero di orientare la propria scelta stabilendo altresì le condizioni per la fruizione del beneficio medesimo, in rapporto alla correlata ratio di definire entro un tempo egualmente determinato l'onere finanziario inerente, altrimenti suscettibile di rimanere sospeso a tempo indefinito» (Cass. 14/11/2012, n. 19868; Cass. 24/10/2014, n. 22673; Cass. 19/01/2016, n. 883; Cass. 13/01/2016, n. 389; Cass. 26/04/2017, n. 10239).

Non può condividersi pertanto il principio in senso contrario affermato da Cass. 21/12/2016, n. 26550, secondo cui «in tema di incentivi fiscali per la ricerca scientifica, il credito d'imposta concesso dall'art. 5 legge n. 449 del 1997 può essere opposto dal contribuente in sede giudiziaria anche qualora egli sia incorso nella decadenza di cui all'art. 6 d.m. n. 275 del 1998 per non aver indicato il credito nella pertinente dichiarazione dei redditi o in una tempestiva dichiarazione integrativa, sempre che in giudizio i requisiti sostanziali del credito d'imposta siano provati dal contribuente o incontestati dal fisco»: principio bensì riferito alla emenda in sede contenziosa, ma tuttavia fondato su premesse che, se condivise, non potrebbero che condurre a riconoscere l’ininfluenza della maturata decadenza rispetto al diritto al credito di imposta.

9. La premessa da cui origina la pronuncia contraria si fonda sul principio recentemente enunciato dalle Sezioni Unite in tema di emenda delle dichiarazioni fiscali (Cass. Sez. U n. 13378 del 2016, cit.) e sulla ritenuta natura formale della decadenza comminata dall'art. 6 d.m. n. 275 del 1998, la quale non sarebbe afferente agli elementi costitutivi del diritto sostanziale, come fissati dall'art. 5 legge n. 449 del 1997, integrando una decadenza meramente amministrativa.

In realtà, l'arresto delle S.U. precisa che il principio di generale emendabilità delle dichiarazioni dei redditi deve considerare la specificità delle discipline ed il loro diverso campo di applicazione e muove dalla considerazione della dichiarazione dei redditi come «atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio» ( S.U. n. 13378 del 2016) e non è pertanto invocabile nel diverso campo delle dichiarazioni aventi contenuto e valore negoziale, in relazione alle quali eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex art. 1428 cod. civ. (norma che trova applicazione, ai sensi dell'art. 1324 cod. civ., anche agli atti negoziali unilaterali diretti ad un destinatario determinato: cfr. Cass. 11/05/2012, n. 7294; Cass. 01/10/1993, n. 9777).

10. In tale prospettiva va indubbiamente letta anche la già menzionata precisazione contenuta nell'esaminato arresto delle Sezioni unite del 2016 secondo la quale «il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, come nell'ipotesi prevista nei d.m. 22 luglio 1998 n. 275, il quale, all'art. 6, stabilisce che il credito di imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso (Cass. n. 19868 del 2012)».

Tale precisazione — in quanto espressamente riferita all'ipotesi del credito d'imposta per l'incentivo alla ricerca scientifica — non può intendersi limitata al campo dell'accertamento, dovendosi invece escludere (citando all'uopo Cass. 2012/19868) espressamente l'invocabilità del principio di generale emendabilità per la dichiarazione di che trattasi, anche in sede contenziosa.

11. In conclusione, il credito d'imposta concesso, al fine di incentivare il commercio, dall'art. 11 della Legge 27 dicembre 1997, n. 449, deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta nel corso del quale il beneficio è accordato. Poiché esso è riconosciuto a titolo di agevolazione fiscale, l'indicazione ha valore di atto negoziale, integrando una dichiarazione di volontà e non di scienza, con la conseguenza che la decadenza prevista in caso di omessa tempestiva indicazione è connaturata alla struttura e alla ratio dell'istituto e determina l'irretrattabilità della dichiarazione, alla quale, pertanto è inapplicabile il principio della generale emendabilità delle dichiarazioni fiscali.

12. Tornando dunque al caso in esame, pacifico essendo che il contribuente abbia omesso l'indicazione del credito in parola nella dichiarazione relativa all'anno d'imposta cui lo stesso si riferisce e dovendosi in parte qua la dichiarazione ritenere espressione dell'autonomia negoziale, erroneamente i giudici di merito hanno ammesso l'irrilevanza dell'omissione e l’emendabilità, a favore del contribuente, attraverso dichiarazione integrativa, la quale, come per l'appunto precisato dalla citata sentenza delle Sez. U n. 13378 del 2016, par. 23, avrebbe dovuto considerarsi priva di effetto quand'anche fosse stata presentata nel termine previsto dal comma 8-bis dell'art. 2 d.P.R. n. 322 del 1998 (Cass. n. 610/2018; Cass. n. 30172/2017; Cass. n. 21242/2017; Cass. n.10239/2017; Cass. n. 26550 del 2016; Cass. n. 18180/2015; Cass. n.22673/2014).

13. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.

Sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di merito, tenuto conto dell'esito finale del giudizio.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originario ricorso del contribuente;

- compensa le spese del giudizio di merito;

condanna la società T. srl alla refusione delle spese sostenute dall'ufficio che liquida in euro 2.900,00, oltre spese prenotate a debito.